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Cava de’ Tirreni (SA) – Lamezia (CZ). Lettere d’amore ai tempi del coronavirus. Incoronata la squadra del “De Filippis – Galdi”

E Alfonso Di Somma vince con un monito della Luna agli Umani: “Avete rubato questo mondo ai vostri figli


È decisamente una “squadra fortissimi” quella degli studenti del Liceo “De Filippis Galdi” di Cava de’ Tirreni. Quando partecipano ad un concorso eccoli lì, sempre in zona scudetto o Champions League.

Belle vittorie, belle affermazioni, ma l’importante non è che vincano, è che i loro campioni sono pur sempre la punta dell’iceberg di un lavoro costantemente di stimolo e di qualità prodotto da tutto l’Istituto. I fiori e i frutti, in fondo, sono pur sempre imprescindibili dall’humus del terreno di coltura…

L’ultima fioritura è venuta a Lamezia, dove il locale Lions Club aveva lanciato un Concorso nazionale riservato alle scuole sul tema Lettere d’amore ai tempi del coronavirus: l’accoppiata vincente di un argomento di stringentissima attualità e di un sentimento come l’amore che coinvolge a tutto tondo i giovani, sia per il calore dei sentimenti connessi, sia per il turbinio degli ormoni in piena azione aerobica.

I nostri campioncini del “Galdi” se ne sono tornati con il cestino pieno di premi:

Sul podio, Alfonso Maria Di Somma (con “Tramontata è la luna”), diciottenne in odore di maturità ( V B Classico), e Letizia Savarese (con “Cara Itaca”), germoglio del primo anno (I B Classico), appena spuntato e già pieno di petali. I loro lavori saranno ovviamente anche pubblicati sul volume curato da Grafichè Editore, così come la “Lettera al Covid 19” di Ilaria Mancino (quarta A di Scienze Umane) e la lettera di Franziska Dura, 4 B classico, che ha ottenuto una menzione speciale. Segnalazioni speciali anche per Kateryna Odnorih (1 C classico), Francesca Paolillo (2 B classico), Luisa Calenda (4 A linguistico), Anna e Claudia Adinolfi, Anna Boccitto, Angela Imparato, Gaia Marzano, Paola Rescigno (3 A Scienze Umane), Ilaria Bisogno (4 A musicale).

A confermare come questi riconoscimenti non vengono dal caso, alcune eclatanti concomitanze. Alfonso Maria Di Somma, medaglia d’argento, e Franziska Dura, menzione speciale, sono anche i vincitori assoluti dei due premi più importanti assegnati agli studenti di Cava nella prima parte di questo tormentatissimo anno scolastico.

Di Somma, con un racconto bellissimo sulla conversione “etica” di un ragazzo immerso nella mala, confermando il trionfo dell’anno precedente, ha vinto “alla Ronaldo” il Concorso “Le parole sono ponti”, dedicato alla memoria dell’indimenticabile prof. Elisabetta Sabatino. Franziska ha fatto il pieno di scudetti al Premio Badia (miglior concorrente, migliore prova creativa, miglior tweet), classificandosi seconda nella prova di Critica. In più, nel 2019, Alfonso si era classificato sul podio del Concorso Nazionale “La Piazzetta”, a confronto con adulti di tutta Italia, mentre Franziska ha ottenuto una menzione speciale al Concorso Nazionale “Disarmiamo l’ignoranza”, anche questo aperto a tutte le età, giungendo a pari merito con un ultraottantenne narratore del Nord Italia.

Credo però che la conferma più grande venga dalla lettura diretta degli scritti di questi ragazzi.

Senza far torto a nessuno, a titolo di esempio prendiamo in considerazione solo la Lettera di Alfonso Maria di Somma, Tramontata è la Luna. Il suo titolo si proietta nella notte dei tempi, nei versi della poetessa Saffo, che, pur vissuta duemilacinquecento anni fa, rimane pur sempre “una di noi”. Da quei versi egli prende lo spunto per una “strigliata d’Amore e di Rabbia” dell’Astro d’Argento nei confronti di noi terrestri.

Lo sguardo della Luna, intenso come quando è piena e sembra che ci voglia entrare in casa, è rivolto sulla storia umana e sulla dimensione stessa dell’essere umano, che tante volte ha acceso la luce dell’amore ma troppe volte l’ha spenta ed ha mostrato la sua difficoltà ad “essere umano veramente”.

Il respiro dei secoli, parole “da teatro della vita” quelle della Luna: “Coi miei raggi illuminavo la polverosa piana di Troia, quando gli uomini erano dei e gli dei uomini, portando speranza alle fatiche di Eracle e a quelle di Schindler; c’ero ad illuminare le pennellate notturne di Van Gogh e ad ascoltare il canto del pastore errante dell’Asia, c’ero a dare il tempo ai battiti del cuore di tutti gli ascoltatori dei notturni di Chopin e Beethoven, ero io a brillare sull’infelice amore di Tosca e prima degli indovinelli di Turandot, fui io la lanterna a scaldare i cuori di Amore e Psiche, l’unica silente testimone dei baci rubati di Romeo e Giulietta, sono io a splendere ugualmente sui virtuosi e sui peccatori, sui miracoli di San Francesco e sulle avventure di don Giovanni. Purtroppo sono sempre io a vegliare ogni volta che l’uomo si è macchiato e ricade nella colpa di Caino, perché ogni volta che succede è la più oscura di tutte le notti, ma per ogni Abele io verso una mia piccola lacrima d’argento ed ogni notte ne inondo il cielo. È questo il modo per dire che l’Universo ha a cuore i suoi figli, sempre. Ho brillato nel fango, sul freddo e sulla paura dei soldati nelle trincee e sul tepore delle comode case, sui grossi ventri assopiti di chi da lì, da candidi letti di lana, comandava sui fronti.“

E poi, dopo altri tocchi illuminanti come questi, i tocchi e i rintocchi del dubbio e della saggezza.
“Vi conosco da sempre, eppure non smetterete mai di stupirmi, forse è per questo che è difficile amarvi ma impossibile odiarvi: come è possibile che la stessa specie abbia scritto “L’infinito” e sganciato la bomba atomica? La stessa mano che ha scritto la Bibbia ha lasciato la penna e ha premuto il grilletto…”

E il discorso alla fine da storico diventa incisivamente etico e profondamente umano, intriso di evangelico trasporto.

Mi verrebbe da ridere a veder sbuffare qualcuno di voi, “stremato” dal troppo stare in casa, se non fossi impegnata a piangere per tutti gli altri che non hanno un tetto sotto il quale consumare un pasto caldo e per quelli che non hanno un pasto, né caldo né freddo.

Nessuna felicità è possibile per l’umanità finché “il nostro vicino rimarrà a digiuno”.

La nostra Felicità, ci ammonisce la Luna, è nascosta dietro il sorriso di chi grazie a voi non ha più freddo, perché Felicità è una pietra che brilla di più, riflessa negli occhi del tuo prossimo, è quel riflesso il bagliore divino e dolce è la vita, che cantava Pindaro (e io c’ero quando lo cantava), è quel riflesso che illumina d’immenso, che fa gridare al Dottor Faust, rivolto all’attimo: “Sei così bello, fermati! Gli evi non potranno cancellare l’orma dei miei giorni terreni. Comprendendo una gioia tanto grande, io godo ora l’attimo supremo”.

Non manca alla fine la speranza d’Amore, scatenata dalle contraddizioni dell’emergenzavirus.

Affido ai primi raggi del sole queste mie parole: esse mi incalzano: fa’ che quest’alba che sta per sorgere sia l’inizio di un nuovo giorno, un giorno di risveglio, di rinascita, di cambiamento… e se mai al tramonto ti sentirai solo o triste o perso, alza gli occhi e mi troverai, amata e fedele compagna al tuo destino.

Da sempre e per sempre tua”…

Ed è solo una parte di questo viaggio affascinante ed emozionante, di questa Luna della coscienza. L’arco di storia e di umanità che in poche pagine le parole di Alfonso Di Somma sono riuscite a coprire è una lezione di cultura anche per il mondo degli adulti ed ha tutto il sapore del Grande monito che viene dalla Vita Vissuta di fronte alle luci purtroppo lontane della Vita possibile ed alle ombre purtroppo vicine della Vita Temuta così come è stata preparata dall’Uomo di oggi.

Terribili le parole della Luna: “Non avete ereditato questo mondo dai vostri antenati, ma l’avete rubato ai vostri figli: fossi in voi, inizierei a preoccuparmi delle condizioni in cui lo restituirete…

Vengono i brividi a pensare che tutto questa dimensione che taglia il Cuore e la Mente sia stata prodotta da un giovane di soli diciotto anni. E vengono i brividi anche quando da tali esempi si capisce quale giardino di fiori la scuola stessa sa produrre e potrebbe produrre, e quali sterpaglie invece troppe volte lascia che coprano il suo fertile terreno. A pensarci, se fossi la Luna, mi spegnerei e me andrei, per protesta.

Ma, pensando ai fiori che comunque nascono, non resta che dire “Chapeau!”, abbracciare tutti questi fiori e sperare che “i fiori coprano sempre di più le sterpaglie del giardino”…

Non solo a scuola, ma nel mondo intero …

CAVA DE’ TIRRENI (SA). Solidarietà al tempo del Covid: donazioni “sanitarie” del Comitato Cittadino di Carità

Un ventilatore all’Ospedale, schermature a Medici di base, Croce Rossa e Mani Amiche.


La solidarietà è l’unico investimento che non fallisce mai, diceva con saggio senso di umanità il filosofo Thoreau. Ed è bello e significativo che , dopo tanta clausura e separazione, proprio nel nome della solidarietà e in un felice connubio tra fede religiosa e civica laicità, si è riaperto a Cava de’ Tirreni, sia pure con tutti i crismi della sicurezza, il fronte delle cerimonie civili pubbliche. Infatti la mattina di sabato 6 giugno, nel bel cortile del cinquecentesco complesso della Madonna dell’Olmo adiacente al cinquecentesco Ospedale fondato dalla tardo trecentesca Confraternita, il Comitato Cittadino di Carità, nato nel 1865 ma suo discendente diretto, ha offerto il suo bel contributo al filo rosso della mano tesa, tanto necessario in questo periodo.

Infatti, con la somma raccolta tra i ventuno comiti di oggi unita ai fondi già in cassa, il Comitato ha donato: all’Ospedale Maria SS. dell’Olmo uno strumento ossigenante e ventilante molto utile per la fase di preterapia intensiva; al Distretto sanitario cavese, presieduto dal Dott. Pio Vecchione, settantadue schermi protettivi; alla Croce Rossa Italiana nove schermi protettivi; all’Associazione Mani Amiche ha donato novanta schermature per il volto. La consegna è avvenuta sotto la direzione di Paolo Gravagnuolo, Governatore Capo del Comitato oltre che motore di cultura ed esponente di una storica famiglia metelliana, alla presenza del Sindaco Vincenzo Servalli, del Vicario vescovile don Osvaldo Masullo anche a nome di S.E. l’Arcivescovo Orazio Soricelli, del parroco della Madonna dell’Olmo Padre Giuseppe Ragalmuto, Padre spirituale del Comitato, dei Governatori effettivi supplenti del Comitato Giuseppe Rotolo, Roberto Catozzi ed Ernesto Malinconico (assente solo Angelo Sarno per motivi di famiglia), di vari comiti come Il Segretario Carlo De Martino,dei neocomiti Maria Lucia Clarizia, Emiddio Siepi, Marcello Murolo e Daniele Fasano (che era anche stato delegato dal Dott. Vecchione).

A dare un particolare significato alla cerimonia già di per sé gravida di calore e di umanità, la dedica in toto alla memoria del carissimo comite dott. Antonio De Pisapia, stroncato dal Covid durante il terribile periodo di emergenza e ricordato con particolare affetto, oltre che per la sua professionalità, per la sua dimensione umana e sociale.

E purtroppo, anche se in assenza e in invisibilità, il convitato di pietra di tutta la manifestazione è stato proprio il coronavirus attraverso i segni tipici del suo tagliente giro per il mondo: i volti coperti in mascherina, le sedie a distanza sociale, la tipologia dei doni, cui aggiungeremmo il velo di smarrita tristezza che avvolgeva lo sguardo affacciato sopra l’orlo delle mascherine.

Eppure, nonostante l’incombere del convitato di pietra, alla fine la vera protagonista è risultata la speranza. Una speranza intrisa di consapevolezza che dopo la caduta risalire si può, che sia pure con tutti i limiti del caso si può tornare a fare incontri collettivi, almeno all’aria aperta, che noi ci siamo ancora, con tutto il pessimismo dell’intelligenza ma anche con tutto l’ottimismo della volontà. E non c’è nulla di più convincente della solidarietà collettiva e del reincontro delle pupille per recuperare una comunità dopo l’asfissia della clausura forzata e rinvigorire le energie in vista delle battaglie mediche e soprattutto sociali che sono in agguato nei prossimi mesi.

Del resto, ognuno faccia la sua parte… e che l’estate prossima sia almeno una mezza primavera …

CAVA DE’ TIRRENI (SA). La scomparsa di Ugo Mughini, già Dirigente Agesci e Mani Amiche, scout della Vita e partigiano della solidarietà

Fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce: così recita il vecchio, amaro e realistico adagio.

Vi si intonano pienamente la figura e la persona di Ugo Mughini, scomparso all’età non avanzatissima di settantacinque anni, presso l’Ospedale San Leonardo di Salerno, dopo una lacerante odissea post operatoria di circa due mesi, tristemente solitaria, come purtroppo in questi dolorosi tempi di pandemia succede anche a chi col Covid non ha niente a che fare.

Ugo non faceva rumore, ma costruiva “foreste” solide, ora seminando ora facendosene albero dalle radici “armate”. Le costruiva con la forza di una personalità granitica e con l’energia di un’identità etica a prova di piccone, plasmatasi alla luce dei valori più alti del Cristianesimo militante e cementata da un senso del dovere “kantiano”, il tutto iniettato dalla crescita in Seminario, dagli studi classici presso il Liceo “Marco Galdi” di Cava de’ Tirreni, da una formazione culturale rigorosa e di ampio respiro, che traspariva già dal suo linguaggio, colto, raffinato, a volte altisonante, ma sempre preciso ed efficace. E, nel suo retroterra, come dimenticare la vicinanza ad una generazione ruggente, paladina della Cultura e sognatrice di un Mondo Nuovo? Quella stessa generazione di cui suo fratello Achille, storico leader politico di sinistra, è stato protagonista e anche “giardiniere”, nel territorio e non solo …

Già in gioventù Ugo Mughini nella “sua” Cava de’ Tirreni cominciò a piantare “semi di foresta”, come militante, come dirigente, come “testimone”, nell’ambito dell’Azione Cattolica, dell’attività Diocesana e in particolare dell’Agesci dei boy scout e delle guide.

Proprio la divisa dei baldi giovani di Baden Powell ha tracciato per tutta la vita solchi profondi su di lui e gli ha permesso di tracciarne di altrettanto profondi.

Non a caso nel corso della cerimonia funebre don Francesco Della Monica ha delineato la sua figura umana e sociale proprio attraverso la Legge degli Scout. Come è noto, essa chiede di: porre l’onore nel meritare fiducia, rendersi utile agli altri, amare e rispettare la natura, comportarsi con cortesia verso il prossimo, comportarsi con amicizia e cortesia verso tutti e spirito di fratellanza verso i commilitoni, saper sorridere e cantare anche di fronte alle difficoltà, saper rispettare i ruoli gerarchici, essere laborioso, economi, puri di pensieri, parole e azioni.

Un ritratto del tutto congruente. Chi ha conosciuto Ugo ha visto in lui uno “scout della vita”, spinto dalla convinzione che i valori scout fossero quelli giusti nella vita.

Perciò è sempre stato scout, dalla prima giovinezza alla pensione, e oltre. Ma intanto aveva costruito un’altra foresta solida nel suo lavoro di ragionieristica precisione amministrativa, svolto prima come funzionario IRI. e poi in privato, fondando la Società Italgenio e offrendo prestazioni sempre affidabili relative alla gestione di condomini, contratti assicurativi, contabilità varie, e via dicendo.

Questo comunque era un lavoro tecnico individuale, ma Ugo Mughini non rinunciava, non ha mai rinunciato alla sua proiezione nel sociale. Ci piace ricordarlo, come un protagonista della meritoria azione quasi trantennale di Mani Amiche, vale a dire uno dei fiori più profumati del volontariato civile, impegnato nel supporto al trasporto dei malati e nel sostegno materiale verso cittadini in emergenza fisica. Ricordo con piacere la passione e la competenza con cui coordinò, in occasione del ventennale, il Concorso poetico, letterario e artistico legato alla figura dell’indimenticabile presidentissimo Antonio Lodato. Ricordo con emozione la gioia con cui donarono un’autoambulanza ad un paese gemellato africano, arricchita dalla soddisfazione di essersi procurati un’altra macchina supero moderna.

Ugo era così: quando prendeva un impegno, lo faceva “suo” e nello stesso tempo si scioglieva generosamente nel collettivo, con un profondo senso della comunità.

Nel definire la sua navigazione sociale, però, non bisogna mai prescindere dalla sicurezza, dal calore e dall’affidabilità che gli derivava dal porto di partenza, cioè dalla dimensione familiare, che era l’altare della sua anima, la sua “foresta” più cara. Una foresta carica di frutti, seminata e rafforzata insieme con la carissima moglie Marisa Avagliano (docente di lettere, anche lei portatrice sana e formatrice di spina dorsale …) , la densa e colorata “Luna curiosa” degli scout, conosciuta e amata già ai primi tempi da esploratori e poi diventata la sua carissima compagna della vita, sinergica alleata nella costruzione di una famiglia basata su valori e ruoli che vengono da lontano e nello stesso tempo capace di guardare e lanciare lontano. E ne sanno qualcosa i figli, Rolando, Manuel e la stessa Miriam … ne sanno qualcosa gli altri familiari … ne sapranno qualcosa anche i dolci e cinguettanti nipotini, oggi Passerotto, Usignolo e Chicco di caffè, ma domani aspiranti aquile, grazie anche ai lanci dei nonni seminatori.

La forza della famiglia rende ancora più lacerante e “senza parole” il dolore del lungo distacco “senza parole”. E sono proprio quelle non dette le parole che pesano di più, come ha affettuosamente osservato la figlia Miriam alla fine del rito funebre. Un vuoto paradossale in rapporto ad un uomo che “di parole ne aveva sempre avute tante” e di tutti i tipi …

Forse, sarà proprio questo silenzio forzato il terreno su cui fiorirà in futuro la presenza di Ugo. Forse, accadrà quanto evocato dalle emozionanti e liriche parole del poeta Rugolo:

L’amore, negato, offeso,
fuggì senza allontanarsi,
ritornò senza essere partito,
perché la memoria potesse ricordare
e le parole avessero un senso
e i gesti una vita
e i fiori un profumo
e la luna una magia. Così, mentre il tempo moriva,
restava l’amore…

Nulla potrà cancellare il dolore della mancanza, così lacerante e quasi repentina, ma il valore e i valori e l’eredità d’affetti che Ugo ha lasciato sono stati tanto forti che la sua presenza in vita non potrà mai trasformarsi in assenza dopo la vita.

Passi pure il tempo, poi il dolore di oggi sarà il segno della felicità di ieri … e il cuore ricomincerà a respirare … e comunque resterà l’Amore, a creare nuove foreste …

CAVA DE’ TIRRENI (SA). Coronavirus e canzoni di giovinezza: la musica di una vita

Su You Tube, un canale con le canzoni di Marco Criscuolo, docente in Piemonte e cavese doc.


Marco Criscuolo, docente di lettere in Piemonte, quarantenne o giù di lì, cantautore e poeta, fresco protagonista con la sua chitarra e le sue canzoni di un canale tutto suo, una finestra aperta su You Tube nei giorni della quarantena.

È stato un piacere, una bella emozione, rivederlo, riascoltarlo, ritornare col pensiero fino a vent’anni fa e oltre, tra i banchi di scuola e non solo, sorridere a sentirlo ripescare nel passato per alleggerire il presente e occhieggiare al futuro.

Marco oggi è piemontese di adozione,ma è cavese doc e, prima che collega, mi è stato “compagno di scuola” come alunno, in una solare terza, quarta, quinta A del Liceo Scientifico “Genoino”. Di fine secolo scorso. Ed è da lì che partono, come flash, le note dei ricordi.

Marco con la chitarra, con la musica e la poesia ci è cresciuto, alimentando per di più la sua creatività in una classe talentuosa multitasking, dove, solo per citare il “suo” campo, si sono formati, tra gli altri: Valeria Monetti, poi attrice e cantante, esplosa a venti anni nel primo Amici di Maria De Filippi (allora chiamato Saranno famosi) e subito dopo protagonista al Teatro Brancaccio di Roma nel musical Sette spose per sette fratelli; Roberto Senatore, che proprio nei giorni della maturità arrivò in finale come avatar di Vasco Rossi nello show Momenti di gloria di Maike Bongiorno. E aggiungiamo anche Giovanna Rispoli, che a più riprese ha coltivato la sua passione per la poesia con riconoscimenti significativi ben oltre i confini della nostra città.

Marco già allora amava cantare e comporre, tanto è vero che alcune delle canzoni da lui presentate su You Tube sono state battezzate proprio in quegli anni ruggenti. Già allora con le sue performance si faceva apprezzare dai compagni e qualche volta è venuto in classe proprio con la sua chitarra.

Con quella chitarra si è presentato addirittura all’esame di maturità, introducendo il suo colloquio con Ehi uomo!, uno dei quattro assi (e più) del fresco poker-scala reale su You Tube.

Con quella chitarra qualche volta ci ha accompagnati nei gruppi di ascolto, dove era protagonista con le sue storie e le sue esperienze a battito di cuore… e di cuori, in linea sia con la sua dimensione di ragazzo i cui ormoni ballavano l’aerobica e che lasciava le ragazze “sotto la botta impressionate”, sia anche con la sua interiorità lirica e sognante, sensibile verso le problematiche e le contraddizioni della società e del mondo di allora.

Come dimenticare la sua “chitarrata” in una lezione-gruppo di ascolto svolta addirittura in riva al mare di Vietri in un solare primo pomeriggio di primavera? E come dimenticare che in quella stessa aula dove si era formato e aveva sognato e fatto sognare, in quella stessa aula dove aveva trasformato il fuoco distruttivo di Cecco Angiolieri in una poetica carezza bionda, proprio in quell’aula trascorse il suo primo giorno di tirocinio all’insegnamento, sviluppando un filo rosso tra le canzoni medievali e l’animo moderno e poi facendosi ammirare come aspirante prof cantautore alla Vecchioni?

Con quelle canzoni e con la sua band partecipò alle rassegne giovanili, tra cui, sempre con Ehi uomo!, a Mille chitarre contro la guerra. Era forte, ed è tornato forte il suo grido contro l’autolesionistica tendenza dell’uomo, per l’avidità di bigliettoni fatti vendendo fumo nero e discariche di grande quantità, ad uccidere se stesso e la natura macchiando così la miracolosa bellezza della vita che è a sua piena disposizione. Questa polemica, estesa alle ingiustizie sociali, poi è proseguita più virulenta in un’altra aggressiva canzone riproposta ora su You Tube, Merda e sangue, con un titolo che buca l’orecchio ed un testo rock rombante che esprime tutto il disagio dei giovani per il mondo corrotto di imbrogli e infamità, di mani sporche e vaccinate, di luride anime che producono merda e sangue nei nostri cuori, luce nera tra i colori.

Musica di protesta, perché egli era fermamente convinto della forza ideale insita nei giovani pronti a cambiare il mondo. Lo conferma in Quale libertà?, canzone non ancora edita sul web: Tra fucili e canzoni noi combattiamo con le nostre canzoni… Non puoi credere nella libertà, se pensi che nel mondo qualcosa cambierà e se qualcuno… resta là!

Come si vede, i brani da lui presentati oggi su You Tube vengono da lontano. E li ha riportati alla luce perché guardano lontano e lui stesso vuole guardare lontano, sia rimettendosi in pista personalmente sia per creare il ponte di conoscenza verso suo figlio che ora sta crescendo che vorrà, dovrà conoscere il padre come persona che ha una storia, e vorrà, potrà capire che cosa sta veramente succedendo in questi mesi di pandemia e di rivoluzione del mondo e dei cuori.

Lo spunto primario dell’affacciata di Marco su You Tube è stato infatto offerto proprio dal Coronavirus e dai tempi del Covid. Infatti al figlio dedica il suo video più attuale, composto nei primi tempi della quarantena, quando lo slogan era Tutto andrà bene, ma intanto la paura di non farcela, le colonne di camion pieni di bare e i numeri in salita ci svangavano il cuore e già tra i letti d’ospedale svolazzavano quegli angeli in corsia pur sempre troppo umani a sostenere il volo dei malati, sia verso la guarigione che verso la solitaria chiusura degli occhi per l’abbraccio della morte. Nonostante tutto, non si indebolisce il grido di speranza di Marco. Tutto andrà bene! Un grido lanciato non a caso all’aperto, in mezzo ad un verde giardino. un grido cantato con il suo caratteristico stile: ritmo intenso e incalzante, chitarra battente, voce squillante con semitoni alla Battisti.

La summa del Marco di ieri e di quello di oggi la si ritrova in una quarta canzone, cioè Solitudine, scritta da lui vent’anni, cantata, ottimamente, dall’amico Guglielmo Sansonna. Vi si sentono la sensibilità musicale e il ricamo lirico del giovane che, dopo un’adolescenza rombante, ricca di luci ed ombre emozionali ed esistenziali, gravida di socialità e di protezioni affettive, si trova ad affrontare il grande salto verso una vita nuova, fuori dal porto. E non può evitare dubbi, striscianti malinconie, speranze e timori, la necessità di fare i conti con se stesso. Del resto la stessa riproposizione oggi è la voglia di un primo bilancio dopo quelle vaghe nebbie giovanili…

Di me che sono nessuno adesso, resterà almeno il riflesso? … Questi mondi,il verde, le case e poi… chissà se un giorno le rivedrò mai… e lei starà con me?… mi perdeò nel vento? Dalla finestra del mondo non si vede fino in fondo… La vita continua a ridere… ma… un attimo e poi il silenzio c’è dentro te: Solitudine”. Belle parole di ieri, in un video ben montato oggi, tutto da assaporare, emozionato ed emozionante, arricchito da immagini di silhouette in contro luce, di famiglie felici e di un Marco meditabondo, di nostalgiche immagini della “sua” Cava, della “sua” famiglia”, della “ua” classe, del “suo mondo”.

Parole poetiche, di un animo che non vuole rinunciare alle vibrazioni del verso puro, che mostra dita aperte alla luna ancora lontana, che sente l’ispirazione anche grazie ai grandi della letteratura, i morti amici che da pagine bianche parlano, con le loro illustri parole che lo spingono lontano dalla giovinezza, a contemplare l’infinito tra terra e cielo.

Un animo che non ha rinunciato a sognare e far sognare ed ha riaperto un ponte tra il suo mondo di oggi e quello di ieri, con la speranza forse di aprirsi praterie verso il mondo di domani. Un mondo, quello “d.C.” (non “dopo Cristo”, ma “dopo Corona”) che purtroppo è ancora pieno di incognite, ma che ci auguriamo sia meno pieno di “merda e sangue” e che in esso si possa gridare “Ehi uomo!” per sorridere ed abbracciare il fratello e non per urlare al fratello che uccide il fratello. ..

Intanto il nostro Marco il suo tassello di poesia, musica della vita, di rinnovamento sociale e personale lo sta mettendo. E viene naturale un abbraccio. Non virtuale, ma reale. Un abbraccio forte, che dia slancio a lui… e anche a noi…

Grazie, Marco… e buon viaggio nella tua vecchia vita nova!

CAVA DE’ TIRRENI (SA). I novant’anni del Dott. Silvio Gravagnuolo, Cavaliere della Repubblica … e degli affetti familiari

In questi tempi di sconvolgimenti, in cui tanto si è parlato e si parla dei medici e della medicina nella nottata della pandemia, ci fa veramente tanto piacere festeggiarne uno, un nostro concittadino, in pieno sole, senza i tuoni della malattia e col sorriso bello della vita. Ci riferiamo al dottor Silvio Gravagnuolo, anzi al Cavaliere della Repubblica Silvio Gravagnuolo, che è stato proclamato tale il 2 giugno del 2010 in una solenne cerimonia per i suoi meriti professionali, civili ed umani, e che il 16 maggio taglia a braccia alzate il traguardo dei novant’anni.

Lo taglia non solo a braccia alzate, ma con pedalate vigorose, dato che ancora partecipa con qualità e passione all’attività del Laboratorio di analisi cliniche, a sostegno dei titolari attuali, che sono i figli Raffaele e Eugenio. In questo Studio, grande tutto l’arco della vita, la sua presenza è l’anima stessa di una struttura efficiente ed a misura d’uomo, così come egli ha sempre concepito la professione medica e per certi versi anche il comportamento “esistenziale”. E possono ben testimoniarlo le migliaia di utenti che hanno avuto usufruito delle sue prestazioni personali e laboratoriali, ricavandone la soddisfazione di responsi affidabili ed il sorriso della comunicazione e dell’amicizia.

Gravagnuolo comunque ha avuto modo di far emergere la sua professionalità e la sua esuberante personalità anche all’interno dell’Unità Sanitaria Locale, nel cui poliambulatorio è stato un protagonista per oltre trent’anni, durante la seconda metà del secolo scorso.

Lunga e feconda è stata anche la sua presenza nel sociale, iniziata fin dai primi anni Cinquanta, quando, nella sua qualità di Consigliere dell’Ente Comunale di Assistenza, egli ha proposto e realizzato numerose iniziative miranti ad alleviare le sofferenze dei meno abbienti: tra queste, l’assistenza gratuita, l’assegnazione temporanea degli alloggi, l’istituzione della Mensa di Carità.

A completare il ritratto, ricordiamo la sua partecipazione attiva alla vita cittadina, sia come Consigliere dell’Azienda di Soggiorno e Turismo, sia come Dirigente della squadra di calcio della Cavese, di cui è sempre stato “amico e tifoso”, sia soprattutto come membro dell’Ente Comitato organizzatore della Festa di Monte Castello. Grazie anche alla forza di un grande squadra dirigente e dalle ricche disponibilità economiche di “cinque italie fa”, fu durante il periodo della sua collaborazione che avvenne l’incontro, generatore di edizioni memorabili, con il grande regista televisivo Enrico Tovaglieri (tra l’altro, lo scenografo de “I promessi Sposi” nell’edizione televisiva con Alberto Sordi, Dario Fo e Franco Nero) ed il prestigioso fuochista Panzeri, colui che curò lo spettacolo folkloristico ai Campionati Mondiali di Calcio di Roma ’90.

Per tutto questo Silvio Gravagnuolo è stato proclamato Cavaliere, ma noi siamo certi di interpretare i suoi sentimenti festeggiandolo soprattutto con un caldo abbraccio per quello che è stato, ed è, come persona e nella vita familiare.

Se la “navigazione” nella vita sociale ed in quella lavorativa è stata intensa, serena e produttiva, il faro di ogni luce per Silvio Gravagnuolo è stato collocato nel dolcissimo porto della famiglia, alla quale non a caso due anni fa, in segno di gratitudine e di affetto, e per godersene i frutti non “nella memoria” ma ancora nella pienezza della vita, egli ha dedicato una calda e intensa pubblicazione “autobiofotografica” dal titolo La mia bella vita con voi.

Una famiglia unita e felice, con tre figli (Raffaele, Eugenio e Annalisa) e sei nipoti e successiva fioritura di pronipoti, una famiglia guidata e illuminata per cinquantotto anni dalla coppia d’oro e d’acciaio di Silvio e della sua carissima Gianna (scomparsa quattro anni fa, lasciando un incolmabile “buco nero”): una coppia testimonial del matrimonio, della famiglia, dei valori più caldi e profondi della vita. Tutti insieme, hanno formato un nucleo che ha esaltato la luce dell’essere senza mai rifiutare quella dell’avere, con la coscienza che l’avere è la luce riflessa dell’essere, e non viceversa.

A cementare questa dimensione, valgano le parole bellissime che egli ha rivolto ai suoi familiari nella già citata autobiografia. Dopo aver espresso la sua soddisfazione per la nomina a cavaliere egli tiene a precisare: Eppure vi giuro che “non me sono salito nemmeno di un centimetro”. Io non mi sono sentito più importante di prima né ho considerato che quell’evento pubblico fosse più importante dei miei affetti privati e della passione che ho sempre messo e contino a mettere nel mio lavoro. La cosa più importante per me (e scusate se sto ripetendo volutamente tante volte questa parola) è stata sentire quanto io sono importante per voi e quanto voi siete importanti per me. E non certo perché sono Cavaliere, ma perché io sono Silvio. Papà, nonno, dottore, zio, amico, ma comunque prima di tutto semplicemente Silvio.

Parole da abbracciarlo con tutto il sorriso del cuore… Anche perché è bello sapere che Silvio c’è…

Cin cin, carissimo Silvio… e buona continuazione del viaggio… e della “tua bella vita con loro”!