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CAVA DE’ TIRRENI (SA). Coronavirus: una Messa dal Castello, benzina di speranza, ricordando la peste del 1656
Un segno forte di identità e di speranza, carico di evocazioni storiche e sociali, l’evento che ha aperto la Settimana Pasquale a Cava de’ Tirreni.
Alle 9,30 del 5 aprile, Domenica delle Palme, Monsignor Orazio Soricelli, Arcivescovo dell’Arcidiocesi Amalfi-Cava de’ Tirreni, ha celebrato la Messa nella Cappella di Monte Castello. Una Cappella quasi vuota, come si addice a questi tempi, alla presenza di pochi addetti, come il concelebrante don Rosario Sessa, il cerimoniere don Pasquale Pagano, il Vicesindaco Armando Lamberti, Mario Sparano Presidente dell’Ente Montecastello, promotore dell’iniziativa, il Coordinatore della Protezione Civile Francesco Loffredo,
Vuota la Cappella, ma piena e attenta tutta la Valle Metelliana, grazie al microfono che ha espanso parole e suoni tra Borgo e casali, e grazie al collegamento in diretta con le antenne di Quarta Rete RTC, che hanno idealmente aperto a tutti le porte del Castello. Soprattutto, pieni i cuori, perché quella benedizione che ha concluso il rito ricorda la benedizione analoga avvenuta al tempo della pestilenza che dimezzò quasi la popolazione cavese nel 1656. Allora, il parroco dell’Annunziata, don Angelo Franco, salì in processione sulla montagna per benedire il popolo e scongiurare il diffondersi del contagio e della strage.
Nell’ìmmaginario popolare, la processione ci fu durante la peste e frenò il disastro, facendo gridare al miracolo e aprendo la strada alla rievocazione che da allora ogni anno si effettua durante la Festa del Santissimo Sacramento, nell’Ottava del Corpus Domini. In realtà, come attestano alcuni autorevoli storici, Salvatore Milano in testa, pare che la processione reale ci sia stata l’anno successivo, per ringraziare dello scampato pericolo e chiedere di essere preservati in futuro da flagelli del genere.
La discussione è ancora aperta, ma sinceramente possiamo dire che questo non cambia nulla rispetto al significato e alla portata della Celebrazione di domenica 5 aprile. Tutti i cavesi, al diffondersi della benedizione ed al suono delle campane (di recente recuperate, anche grazie all’iniziativa del benemerito don Peppino Di Maio, che da poco ci ha lasciati), si sono sentiti uniti da questo filo di dolore e di speranza che li lega ai loro antenati e soprattutto al filo di dolore e di speranza che li lega tra loro oggi, sotto la tempesta del Coronavirus.
E l’attesa, come pure l’emozione dell’evento, sono state forti. Forse, non ci si aspettano miracoli, così come giorni fa in fondo non era il miracolo, ma il “sostegno” di fede e di speranza che si richiedeva nella preghiera “cosmica” e nella benedizione urbi et orbi di Papa Francesco nella Piazza San Pietro vuota. Ma episodi così significativi non possono che essere carezze di speranza, benzina di quell’energia interiore e di quel consolatorio tenersi per mano di cui tanto abbiamo bisogno in questi giorni.
Non sono segni di potere, ma è il potere dei segni che agisce. E lo stesso Mons. Soricelli, oltre al naturale slancio di fede che anima il credente, ha parlato e operato in tal senso. Ha condiviso umanamente il dubbio e le incertezze e le paure di tutti, ha evocato religiosamente la forza d’animo di Gesù Cristo nell’Orto degli Ulivi e nel corso di tutta la Sua Passione, ha auspicato l’uscita dalla tempesta, ha invitato universalmente alla reazione personale improntata all’Amore e alla Misericordia, unici palliativi possibili rispetto al pericoloso virus della rabbia e della chiusura interiore.
E in quei momenti non poteva non venirci in mente che una settimana dopo la Benedizione a San Pietro anche Papa Francesco, nel suo energetico appello di venerdì 3 aprile alla televisione, si è mosso in tale direzione, aggiungendo, come è suo solito, il richiamo alla Tenerezza e stimolando, con un’espressione “elettrica”, la creatività dell’amore.
Alla fine della cerimonia, tra suono di campane e inno nazionale, l’antidoto energetico è rimasto nell’aria. Speriamo che ci aiuti il più possibile la reattività di ognuno di noi, credente o non credente che sia.
Intanto ci apprestiamo tutti alla Settimana Pasquale, una Pasqua che nessuno dimenticherà. Domenica 12 aprile suoneranno di nuovo le campane per la Resurrezione del Cristo. Ma purtroppo sappiamo bene che non potrà ancora essere la “nostra” Pasqua, cioè il tempo in cui questa pesantissima corona ci cadrà finalmente dalla testa.
Ma, anche se più tardi, la nostra Pasqua verrà… Contiamoci e intanto non dimentichiamo di offrire il nostro contributo.
Verrà questa benedetta Pasqua. Adda sulo passà ‘a nuttata … e così sia.
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La continuazione liturgica della Settimana Pasquale prevede, in ambiente chiuso e con trasmissioni mediatiche:
Venerdì 10 aprile la celebrazione della Passione di Cristo, alle ore 16,30;
la Veglia Paquale alle 22,30 di sabato 11 aprile;
la Santa Messa alle 9,30 di Domenica 12 aprile.
CAVA DE’ TIRRENI (SA). Cara Patrizia, giornalista militante, cemento amato di famiglia, donna integrale
In memoria di Patrizia Reso, scrittrice, storica e attivista sociale, scomparsa a soli sessantatré anni.
Bella, ciao! Che bel titolo ha trovato il giornale Cronache per salutare la tua anticipata “partenza” nel giorno più triste, quando di bello ci poteva essere solo il ricordo di te e per il resto solo un magone che ti svanga il cuore… Vero, Patty?
Eppure in quel titolo ci sei tutta tu, e non solo perché era una delle canzoni che più ti emozionavano e ti davano benzina. C’è lo slancio della lotta politica per la libertà, la democrazia, l’uguaglianza, che tu vedevi da sempre incarnate nella Resistenza partigiana e che rivangavi costantemente con la tua azione, da giornalista, da scrittrice, da militante politica, da dirigente all’interno dell’ANPI, perché questi valori per te andavano difesi ogni giorno con le unghie dell’antifascismo e antiautoritarismo, coi denti della coscienza e dell’impegno sociale. Un impegno in cui eri sempre in prima fila, dove si trattava di lottare a baluardo dei più deboli e di chi non ha voce, a cominciare naturalmente dalle donne, di cui non hai mai mancato di essere paladina. Così come non sei mai venuta meno in quelle associazioni che sapevano di democrazia e di partecipazione, di conoscenza, come la stessa ANPI, l’Assostampa “L. Barone”, le varie aggregazioni femminili.
In quel titolo di Bella, ciao!, e in quei valori che esso esprime, c’è anche lo spirito con cui hai scavato nella storia globale e nelle piccole storie locali, mettendoci tutto il cuore ma anche la tua tenacia da panzer e l’acume giornalistico di inchieste e ricerche che hanno aperto finestre sulla vita della Città e sulle vite di cavesi che altrimenti sarebbero rimaste seppellite in un colpevole oblio.
Ne sono nate quattro pubblicazioni fondamentali sulla nostra Cava, che vengono da lontano e guardano lontano: pietre miliari, per gli studio e i curiosi di oggi e di domani.
Sei andata a rivangare e ad approfondire la biografia di Elvira Coda Notari, che è stata la prima storica regista donna del cinema italiana e che a Cava è vissuta per quindici anni fino al 1946, quando è morta nella sua casa di via Formosa. È sulla scia ai tuoi studi che proprio nelle scorse settimane la Commissione Toponomastica ha deciso di dedicare alla “regista del popolo” una “strada del popolo”: e ancora mi trilla nel cuore il ricordo dello squillo canterino di gioia quando te te l’ho comunicato.
È grazie a te che Cava ha conosciuto e ri-conosciuto le trentacinque, e più, vittime della tremenda strage del treno della morte a Balvano nel 1944, quando nella Galleria delle Armi morirono circa seicento “poveri cristi”, quasi tutti in cerca di un po’ di cibo dalle coste napolosalernitane disastrate dalla guerra diretti alle più tranquille campagne del potentino. Grazie a te e alla tua pubblicazione, Senza ritorno, quelle vittime e le loro famiglie hanno avuto un nome, un volto e per un po’ di tempo anche una targa alla stazione (la rimetteremo, vero, caro Sindaco, anche in onore di Patrizia?) e sono uscite dall’oblio della storia ignorata.
Già, quella Storia ignorata che è il titolo di un altro tuo bel libro in cui hai disseppellito il ricordo delle storie belliche e/o di deportazione di tanti cittadini cavesi: storie vere di vite nella tempesta ricostruite dalla viva voce di testimoni diretti e/o delle famiglie, entrambi oramai rassegnati a portarsele nella tomba, quelle piccole grandi, care vicende individuali.
E la stessa storia ignorata l’hai rivangata andando rivedere documenti e riscoprire l’avventura di confinati a Cava e soprattutto di cavesi al confino o sotto libertà vigilata in quanto sovversivi durante il periodo fascista. Anche qui, come nella faticosa costruzione degli altri lavori, quante ricerche, quanti scavi negli archivi, quante telefonate ai familiari, quante chiusure di telefono ma anche quante risposte di quelle che ti caricavano a mille e ti davano la forza per continuare!
Se ora tu fossi qui (ma comunque ci sei, anche se non lo sai), ti emozioneresti a vedere che si ricorda con tanta stima e tanta attenzione la tua figura sociale, a sentire in quel Bella ciao! Il riconoscimento del tuo essere e voler essere “compagna” nel senso più puro e ideale del termine.
Ma… se c’è tanta emozione e commozione in giro è anche e soprattutto perché quella Bellezza faceva parte integrante di te, della tua sensibilità, del tuo slancio sincero di partecipazione, di comunicazione e anche di discussione, del tuo essere “vera” fino in fondo nel tuo rifiuto di compromessi (ridevi quando io ti chiamavo “Patty chiari amicizia lunga”…). Quella Bellezza faceva parte integrante del tuo essere madre, moglie, figlia, da poco anche nonna!, come priorità, ma senza togliere sostanza al tuo essere cittadina, compagna, amica, anzi vivendo in sinergia i valori di una dimensione in sinergia con l’altra, nel nome del tuo essere integralmente donna e persona. Perciò tanta apertura mentale e tanta sincerità di affetto, in quella tua casa e in quella tua famiglia!
Porterò sempre con me, in uno scrigno aperto del cuore, l’immagine viva del mio ultimo incontro con te, pochi giorni prima della quarantena di noi tutti, quando avevi da poco cominciato la radioterapia e non portavi ancora molto visibili i segni del male, che ti stava divorando rapidamente dopo aver tanto tardato a mostrarsi. Tutti insieme nella tua calda cucina-salotto, tu vitale, attenta, vivace e lucida come sempre, pronta alla battuta incisiva e anche all’allegra risata… e intorno a te, tutti e quattro i tuoi adorati gioielli ed il carissimo “Lucio della tua vita”, stretti a coccolarti e starti vicino, a trattarti “come una mollichella” e come quel “cemento amato” che sei sempre stata…
Io, seduto verso la parete di sinistra, non lontano da quel posto dove per anni tuo papà è stato coccolato pure lui “come una mollichella”, diventando, lui nonno, figlio di tutti voi. Di fronte a me, la grande parete con tutte le foto-chiave della vostra bella storia familiare, al centro naturalmente il maxigruppo delle vostre emozionatissime e gioiose nozze d’argento… Due ore volate in una conversazione di assoluto coinvolgimento che ha spaziato dalle difficoltà del presente ai ricordi e alle storie del passato e della nostra generazione. Due ore amiche, due ore belle. E c’era ancora un’aria di speranza in giro…
Poi… la telefonata che non avrei, non avremmo mai voluto sentire…
Rimane il ricordo caro di te, il pensiero che è bello che ci sei stata, con tutta la tua carica affettuosa di unicità e di presenza. Per la Città, ma anche e soprattutto per la tua famiglia.
Non sarai dimenticata, la tua “storia” non sarà ignorata. Non può, non deve.
E allora il mio saluto è pieno di quel magone che ti svanga il cuore, ma anche di tutta la trascinante musica di quel canto. Ciao… Bella… ciao!
Chi era Patrizia Reso
(scheda tratta dal libro “Cava 2000, Il Palazzo e La Città”, Area blu edizioni, scritto da Gaetano Panza con la collaborazione di Franco Bruno Vitolo)
Patrizia Reso, scrittrice e saggista, nata a Cava nel 1957, ha frequentato il Liceo Scientifico “Genoino”, iscrivendosi poi alla Facoltà di Medicina, ma senza finire gli studi. La sua giovinezza è stata sconvolta dalla scomparsa precoce della sorella Marinella, che, pur ledendo le corde della sua sensibilità, l’ha stimolata a “navigare da sola” e le ha aperto gli occhi del cuore e della mente.
È diventata un’attiva protagonista della vita culturale, politica e giornalistica cittadina, sempre in prima fila quando si tratta di lottare per il rispetto dei diritti. Come ricercatrice, ha seguito e vissuto il cammino dell’emancipazione ed il riscatto delle voci soffocate dalla storia, mostrando uno sguardo sempre attento alla società ed al mondo.
Ha esordito con una raccolta di “ritratti al femminile di quotidiana solitudine”, Fotografie a colori e in bianco e nero (L’autore Libri Firenze,1997). In Bambini…nel mondo (2006) è andata alla scoperta delle colpevoli violenze sull’infanzia innocente. Con La storia ignorata – Partigiani e deportati cavesi (2009), ha smosso memorie importanti, delicate e sconosciute. Grazie ad Elvira Coda, tracce metelliane di una pioniera del cinema (Terra del Sole 2011), la Città ha scoperto la “cavesità” della prima regista del cinema italiano. Realizzando nel 2012 con Franco Bruno Vitolo l’editing di Reato di clandestinità del senegalese Moussa Keita, ha aperto una finestra sulle problematiche di integrazione dei migranti. In Senza ritorno (Terra del Sole 2013), ha poi fatto luce sulla strage del treno 8017: nel 1944 per le esalazioni di carbone in una galleria perirono circa seicento persone, di cui circa quaranta cavesi, in viaggio per procurarsi un po’ di cibo nella disastrata Italia del primissimo dopoguerra.
Nella primavera del 2017, ha aperto un’altra finestra di “storia ignorata”, con la pubblicazione del saggio Il Fascismo e Cava, città di confino (Ed. Il Paguro), in cui disseppellisce storie di cavesi esiliati e perseguitati, ma anche di tante persone di rilievo che hanno scontato nella nostra città l’illiberalità del Regime.