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CAVA DE’ TIRRENI (SA). In attesa di tempi migliori, le poesie della “Giara” pubblicate sul sito del Comune e inserite in un Videolibro dalla Biblioteca Comunale

Se è vero, come è vero, che le biblioteche sono i granai dell’anima, come diceva Marguérite Yourcenar, la nostra Biblioteca Comunale di Cava de’ Tirreni, sempre viva nonostante i diffusi boccheggiamenti del Libro e della Cultura, si sta esercitando a creare un suggestivo e stimolante silo. Anzi, un sito. O meglio, un silo in un sito…

Oltre alla sua funzione quotidiana, purtroppo sospesa per l’emergenza corona virus ma pronta a “ri-scattare” ed a “riscattarsi” appena possibile, si è attrezzata per iniziative che tengano viva l’attenzione sulla produzione culturale in generale e su quella creativa legata al territorio. Tra queste, per mantenere vivo e pieno il “granaio”, la nostra Biblioteca, su idea di Annamaria Armenante e con supporto pieno dell’Amministrazione Comunale, due anni fa ha creato “La Giara – Raccolta e antologia di poeti metelliana”.

Una giara vera, di quelle che contenevano alimenti solidi e liquidi da conservare. Nella Giara metelliana, l’olio e il grano della mente, cioè le poesie.

Il contenitore è stato messo nella Sala del Consiglio di Palazzo di Città, predisposto per accogliere a bocca aperta i versi prodotti a Cava e dintorni. Ed è stato subito un bel successo. Circa centocinquanta le opere raccolte il primo anno da una gamma di autori di tutte le età e formazione sociale: settanta di queste sono poi state pubblicate in un gradevole opuscolo presentato a Palazzo di Città il 21 marzo 2019, per celebrare nel modo migliore la Giornata Mondiale della Poesia. E fu una manifestazione ricca di presenza, di emozioni, per un’iniziativa che, per dirla con il Sindaco Vincenzo Servalli, è un’ulteriore dimostrazione di come il Palazzo di Città possa e debba essere la Casa Comune, non solo per la burocrazia ma anche per cementare l’identità collettiva e stabilire un ponte tra le generazioni. Una Casa Comune che ha sempre bisogno di un’anima: e la nostra poetica e originale Giara è tutta energia sul vento di quest’anima.

Dovevano rinnovarsi la pubblicazione e la presentazione anche quest’anno, ma il virus ci ha messo lo zampone…

Ma… perché scoraggiarsi? La Biblioéquipe, composta operativamente da Mena Ugliano, Federica Clarizia e Gaetano Guida e con la collaborazione del sottoscritto scrivente, in attesa della primavera autunnale, quando si spera tornino a fiorire gli incontri pubblici, non solo non ha rinunciato alla pubblicazione, ma l’ha fatta doppia!

In un primo tempo, l’opuscolo in attesa di stampa è stato pubblicato sul sito comunale https://www.sfogliami.it/fl/194516/gns4rk6qucj1yy2q2d863v74s62vbpbz, invitando alla lettura con un sensuale “Sfogliami…”, poi sul sito Face Book della Biblioteca Comunale si è aperta la gestione di un Bibliovideo, con la possibilità, per i poeti inseriti nell’opuscolo ed anche per qualche gradito “ospite”, di inserire un filmato con la propria poesia inclusa nel libro e la lettura personale, oppure con il supporto di un occasionale “prestafaccia e prestavoce”. Gli inserimenti sono graduali, ma intanto la Videogiara comincia felicemente a riempirsi. Per ora, vi troviamo i versi di Lucia Antico, Lucia Criscuolo, Guglielmo Cirillo, Teresa D’Amico, Antonio Di Riso, Paolo Gravagnuolo, Mariano Mastuccino, Silvana Salsano, Stefania Siani, Pina Sozio,… ma tanti altri sono in arrivo e saranno inseriti nelle prossime settimane.

È una piccola, ma significativa parte dell’intera pubblicazione, forte anche questa di circa settanta poesie in lingua italiana e napoletana. È l’apertura di una finestra ribollente di colorate emozioni sull’anima metelliana.

È una proposta innovativa, che fa circolare cultura e comunicazione letteraria e umana, getta semi di condivisione e nello stesso tempo tiene caldo il fuoco sotto la cenere, per evitare che il distacco sociale si traduca in un distacco del sempre illuminante filo della luce poetica.

E l’insieme, per dirla con il Vicesindaco Armando Lamberti, è anche un ulteriore passo in avanti nella crescita collettiva e nel rafforzamento della nostra identità, un’iniezione di forza interiore, perché la poesia ci rende più comunicativi, più forti… e più sorridenti. Perciò con questa iniziativa ci auguriamo di non dimenticare il sorriso, anche di fronte alle tante avversità che stanno incombendo sul nostro mondo. E possa essere, questo sorriso della poesia, un piccolo, ma intenso raggio di sole per noi tutti”…

Per tali motivi, quando, nella già auspicata primavera autunnale, presenteremo anche il cartaceo, il nuovo opuscolo non sarà un “neonato” appena privato del cordone ombelicale, ma un bel “ragazzone” con un cordone ombelicale lungo cinque mesi ed ancora fremente di fermenti vitali.

E sarà il giorno del bilancio, ma anche del rilancio verso l’edizione 2021, che ci auguriamo di cuore che si possa svolgere regolarmente il 21 marzo e dintorni, quindi in una primavera non più autunnale, ma finalmente primaverile…

Oltre ad aver citato i promotori, ci sembra giusto anche dare almeno un nome agli “attori” dell’iniziativa, cioè ai poeti che hanno offerto il loro contributo. Eccoli, divisi nelle tre sezioni di ripartizione del libretto.

In lingua italiana: Maria Alfonsina Accarino, Giovanna Alfano, Giovanna Alfano Silvestri, Marisa Annunziata, Lucia Antico, Annamaria Apicella, Annamaria Armenante, Francesco Coppola, Lucia Criscuolo, Teresa D’Amico, Antonio Di Marino, Franziska Dura, Vincenzo Ferrara, Mariano Mastuccino, Antonietta Memoli, Matteo Monetta, Antonio Monte, Manuela Montefusco, Biagio Napolano, Anna Nunziante, Emanuele Occhipinti, Oriana Palumbo, Angela Pappalardo, Luisa Pianese, Rita Pepe, Anna Pisapia, Prisco Pepe, Rosanna Rotolo, Mariarosaria Salsano, Silvana Salsano, Annamaria Santoriello, Mario Senatore, Stefania Siani, L.V., Cesareo Vitale.

In lingua napoletana: Alfonso Apicella, Alessandro Bruno, Guglielmo Cirillo, Lucia De Santis, Pinuccio Pisapia, Ciro Longobardi, Maria Pia Lorenzo, Carla Pappalardo, Michele Porfido, Pasquale Senatore, Francesco Senatore, Franco Bruno Vitolo.

Sezione giovanissimi: Nicola Di Falco, A. Celano, Roberto Cosimato, G.Lamberti, F. Sorrentino, Ciro Sarno, Giuditta Lamberti, Benedetta Bisogno, Paqualina Fariello, Martina Apostolico, Ilaria Basile, Giulia Califano, Martina Mammato.

CAVA DE’ TIRRENI (SA). La scomparsa di Aldo Masullo, un grande della Cultura nazionale, carissimo concittadino onorario dei cavesi

Tra le tante care persone che in questo sconvolgente tempo del coronavirus ci hanno lasciato ed alle quali non abbiamo potuto dare il giusto saluto, si è aggiunto nei giorni scorsi uno degli intellettuali più importanti della cultura italiana della seconda metà del Novecento, cioè il filosofo napoletano Aldo Masullo.

La sua scomparsa, avvenuta alla veneranda età di novantasette anni, riguarda direttamente noi cavesi, perché, non dimentichiamolo, sei anni fa abbiamo avuto l’onore di proclamarlo nostro concittadino onorario. E ne avevamo ben donde, perché Masullo tante volte negli ultimi anni è stato a Cava, ad illuminarci con la luce del suo pensiero, sempre lucidissimo, e col calore della sua amicizia.

A fare da gancio, il nostro Paolo Gravagnuolo, una delle luci più vivide della nostra Città, che da quando ha fondato il Centro Studi “G.Filangieri”, feconda fucina di pensiero e ricerca, ha stabilito con Masullo un ponte di comunicazione costante e ne ha fatto una delle sue stelle polari. Ma il rapporto veniva da lontano, da un’amicizia di famiglia radicata negli anni. E allora, in ringraziamento a Paolo per avercelo “donato” ed in omaggio a Masullo per essersi “donato” a noi, ci sembra cosa buona e giusta riportare qui un estratto delle dichiarazioni di Gravagnuolo, fatte a cuore caldo nelle ore immediatamente successive alla notizia della sua scomparsa e in parte già pubblicate sulla stampa locale.

Ecco il testo della dedica redatta di suo pugno da Aldo Masullo sul Libro d’oro del Centro Studi “Gaetano Filangieri” di Cava de’ Tirreni:

La cultura è la condizione di ogni speranza di rinascita. L’incontro con gli amici del Centro Studi “Filangieri” è un momento promettente di questa riapertura alla speranza. Sicuro della sua creazione, lascio il mio fervido augurio, Aldo Masullo.”

Era la prima di numerose volte in cui ci saremmo incontrati a Cava, anche se l’avevo conosciuto negli anni indimenticabili trascorsi a Napoli: oltre alle conferenze ascoltate spesso in prima fila in vari contesti di cultura, avevo trascorso un paio di mattinate nel soggiorno della sua luminosa casa in viale Michelangelo al Vomero.

Avevamo quasi l’identica distanza di età che mi separava da mio padre Alfredo, suo amico ed estimatore da lui a sua volta stimato. Anche con mio padre il rapporto era giocato sul duplice piano del Maestro-allievo, insieme a quello dell’amico.

Per la formazione di mio fratello Luigi, laureatosi in
Filosofia, era stato un punto di riferimento ineludibile.

Ha raggiunto la luce un grande uomo a poche ore dal 25 Aprile, che lui interpretava come una Festa non divisiva.

Forse avrà sorriso di questa coincidenza e avrebbe detto: “Non temete, non avevo intenzione di assumere su di me tutte le luci dei riflettori. Pensate piuttosto a resistere per dare di nuovo spazio alla fiducia nella vita e nei contatti umani”.

Arrivederci, mio carissimo amico.

Carissimo amico, certo, ma anche grande figura di riferimento dell’intera cultura nazionale. Oltre a numerosi scritti filosofici, oltre all’attività fecondissima come Direttore del Dipartimento di Studi Filosifici dell’Università di Napoli, è stato verso la fine del secolo scorso più volte senatore della repubblica e anche parlamentare europeo. E aggiungiamoci i suoi innumerevoli interventi su questioni filosofiche, etiche e di stretta attualità sia sui giornali e sulle riviste che in televisione e in pubbliche conferenze…

Insomma, un grande della Cultura e della comunicazione, che noi abbiamo avuto la fortuna di “goderci da vicino” in quegli anni di ponte fecondo con il Centro Filangieri.

Ogni volta che avevamo piacere di ascoltarlo, rimanevamo sempre tutti incantati ed ammirati dalla lineare chiarezza con cui egli infiorava concetti ed idee ad alto tasso di profondità, dalla passione con la quale difendeva e propugnava i più alti valori collegati alla dignità, alla fratellanza, alla democrazia ed all’intelligenza umana. Nonostante l’età particolarmente avanzata, parlava in piedi, dritto come il suo intelletto, a volte anche per quasi un’ora e senza mai perdere né far perdere il filo del discorso. Come dimenticare, ad esempio, quando venne al Social Tennis Club, sempre invitato dal Centro “Filangieri”, a parlare di Giordano Bruno, maestro di anarchia, in rapporto al suo ultimo libro, incentrato su quel filosofo nolano che era una delle stelle polari del suo pensiero ed uno dei simboli più alti della dignità umana violata? Come dimenticare la “bellezza” del ragionamento di attualizzazione che egli ci fece in quell’occasione?

Per capire Bruno, ci disse, dobbiamo capire il suo tempo così come egli lo pensa e lo descrive, ma dobbiamo renderci conto che comunque nell’incontrare i pensieri del tempo di Bruno noi ragioniamo secondo i pensieri del nostro tempo e quindi l’esercizio di comprensione deve risultare coscientemente dal confronto tra i suoi pensieri del suo tempo e i nostri pensieri del nostro tempo. La chiave di volta che ci prospettò fu il concetto di crisi radicale: quella del tempo di Bruno, in cui stava nascendo la modernità, e quella del nostro tempo, in cui la modernità sta estinguendo la sua spinta in avanti. Nei momenti di crisi il pensare autonomamente, non conformisticamente e neppure in modo politicamente corretto, anche a forte rischio personale, è una chiave culturale vitale. Bruno lo ha fatto, noi stiamo nelle condizioni di farlo, perciò Bruno è compagno di tutti noi. Ma lo è anche nella sua esaltazione della dignità del singolo attraverso l’intelletto, di cui ognuno di noi è portatore sano. Per questo siamo tutti potenzialmente liberi, ma la nostra libertà non avrebbe senso se non nella Comunicazione e nelle irrinunciabili Relazioni sociale, in cui è necessario che continuiamo ad essere liberi, pur all’interno dei ponti che ci legano a tutti gli altri. Valga al riguardo la regola delle Tre C: Convitto, Communione, Concordia.

Chiare, in questi concetti, le profetiche anticipazioni delle dottrine illuministiche, coinvolgente soprattutto il legame, nel nostro pensiero del nostro tempo, con la necessità dei diritti umani…

Bellissimo! E, di fronte a lui mentre parlava, noi, a bocca e a mente aperta…

Ha parlato fino alla fine, il nostro Masullo. Ha parlato anche di questi svanganti tempi del coronavirus, in un’intervista telematica del 26 marzo scorso su “Napoli notte”, in cui, oltre ad esprimere il disorientamento di tutti ed a denunciare i tentennamenti di chi ci guida, preannunciò il dramma economico sociale che oggi stiamo cominciando a vivere in tutta la sua sconvolgente pericolosità: La preoccupazione è forte…. Le tempeste economiche possono essere più distruttive della guerra stessa, rendere feroci le vite dei popoli… Il contagio irrompe su una situazione già critica. Gli ultimi anni hanno segnato una rottura, sono venuti meno vecchi capisaldi sociali, anche rapporti politici. Soprattutto l’Occidente è da tempo in una crisi dove alla rottura dei vecchi modi di essere non corrisponde neanche un controllo del nuovo: fra il “come eravamo” e il “come saremo” è una navigazione a vista. Dobbiamo pensare a come riprenderci, ma una prefigurazione attendibile non si può fare. Ecco perché si parla di “cigno nero” o tempesta perfetta. Il virus rischia di trasformare le rotture col passato in una unica grande mazzata per l’umanità.”…

Erano già una mazzata quelle parole, che ci facevano ancora più male perché si aggiungevano alle ferite taglienti di ogni giorno inferte dal virus. Sono ancor più una mazzata oggi. E sta a noi ammortizzare le mazzate ricevute e renderle meno dolorose.

A contribuire in tal senso, non più la parola diretta, ma certamente il pensiero e i valori del nostro grande filosofo.

Caro Aldo, cercheremo di essere degni delle tue parole. Grazie di tutto… e che ti sia lieve la terra …

CAVA DE’ TIRRENI (SA). Gerardo Canora: una vita in prima fila, un libro di storia metelliana, un cittadino da non dimenticare

Un anziano che muore è un libro di storia che brucia: così recita un antico proverbio africano, buono e giusto, valido sempre, sia per la trasmissione orale di ieri che per quella tecnologica di oggi.

Da questo punto di vista la scomparsa di Gerardo Canora, avvenuta l’11 aprile scorso alla veneranda età di novantasei anni, è il bruciare non di un solo libro, ma di un’intera libreria, oltre a significare la “partenza” di una persona cara, che per la sua vitalità, per l’attenzione alla vita sociale, per il calore della sua presenza ha lasciato una scia di amicizia e di affetto che va ben oltre la sua vita.

Canora ha attraversato in prima fila un secolo di storia cittadina, cominciando dai tempi in cui è stato testimone diretto, oltre che delle ben note vicende del Ventennio (e partecipe, data l’età, alle varie attività littorie legate alla formazione fisica dei giovani), anche degli anni drammatici della Guerra.

E il suo tempo lo ha attraversato non dai margini, ma dal cuore delle istituzioni.

Era infatti impiegato comunale già nel 1942 e, ai tempi dello sbarco, offrì i suoi servizi alle Forze Armate alleate, per poi rientrare in Comune stesso nel 1945 nell’Ufficio Ragioneria.

Ricordo che, quando mi raccontò personalmente questo difficile e travagliato passaggio, si soffermò sulle reazioni delle persone al momento della caduta del Fascismo ed in particolare sulla frenesia di alcuni nel gettare stemmi e nascondere divise e oggetti compromettenti da parte di alcuni che sembravano incrollabili e appassionati attivisti. Mi sottolineò che il piacere per la fine della dittatura fu attutito da questo disvelamento delle ipocrisie umane, concludendo, al termine di un’ora di quasi ininterrotto ed affascinante caminetto, che poi aveva capito l’importanza dell’indulgenza senza ergersi a giudici inappellabili. “Anche Pietro rinnegò tre volte Gesù Cristo, ma poi Dio stesso l’ha voluto papa”, concluse con un accentuarsi del suo amabile sorriso. E aggiunse che lui personalmente, pur sentendosi vittima delle tante forzature del regime, si era sempre consolato con la forza dello stare insieme e poi, seguendo la bella idea manzoniana, con la discrezione del’essere “vergin di servo encomio e di codardo oltraggio”.

Questa bellezza dello stare insieme, della partecipazione alla vita di comunità, lui stesso, democratico e cristiano nel cuore e nella mente, ha continuato a viverla e finalmente ad esaltarla poi negli anni successivi, a cominciare dai tempi turbolenti che portarono alla supervittoria DC alle elezioni del ’48, tanto da essere citato da Mario Avagliano nel suo libro sull’argomento e da essere invitato in Comune a raccontare la sua esperienza il 23 febbraio del 2018, nel giorno della presentazione ufficiale, insieme con quell’altra pagina di storia cavese che è Gaetano Panza.

La sua apertura fraterna alla mano tesa gli permise poi di diventare Segretario Ragioniere dell’ECA, l’Ente Comunale di assistenza, che a sua volta coordinava l’attività di oltre cinquanta enti da esso amministrati. In questa veste ebbe l’incarico di gestire gli aiuti alle famiglie colpite dalla terribile alluvione del 1954, quando “le nostre montagne scesero nel mare”.

Ho visto tanti casi di dolorosa povertà, ho negli occhi le scene dei sopravvissuti di Molina che faticosamente risalivano la china con i fagotti delle poche cose a loro rimaste… come si fa in questi casi a non avere la mano tesa già nel cuore?” Così più o meno raccontava, mentre negli occhi, pur nella sua compostezza di sempre, scendeva un velo leggero di umida lucidità.

La sua era stata un’esperienza umana ed amministrativa di quelle che non si dimenticano, una cassaforte a disposizione della collettività. Una cassaforte che egli poi ha potuto riaprire nel corso di un’altra tremenda crisi, quella legata al terremoto dell’80, ai tempi in cui nacque in Italia la Protezione Civile, presieduta da Giuseppe Zamberletti, di cui proprio Gerardo Canora fu il referente diretto nella nostra vallata, essendo stato nel frattempo nominato Caporipartizione dei servizi sociali, culturali e del tempo libero, carica ricoperta fino al pensionamento nel 1989. E possiamo immaginare quante altre perle lui abbia allora

immagazzinato e poi utilizzato grazie a quella preziosa collaborazione a stretto contatto con le istituzioni nazionali…

Ma questa di cui abbiamo parlato era solo una Sezione, quella più professionale, della “libreria” di cui Canora era portatore sano…

Non dimentichiamo infatti che egli nel 1962 è stato fondatore e fino al 1984 Presidente della Sezione metelliana del CSI (Centro Sportivo Italiano), carica che poi lasciò per entrare nel Collegio dei probi viri nazionale a Roma. Egli ha rappresentato quindi un principio attivo per la crescita fisica e la formazione etica di una gran bella fascia di giovani cavesi, tra i quali il sottoscritto, allora rampollo della squadra di tennis tavolo cittadina. Con la sua presenza attenta intrisa di rassicurante discrezione e con il suo carattere cordiale, calmo e disponibile, rappresentava per tutti noi un paterno punto di riferimento e nello stesso tempo il rassicurante sorriso delle istituzioni. E dire che non era facile la gestione del pionieristico CSI, per i pochi mezzi a disposizione e le insidie di una sede arrangiata come l’ex carcere in Corso Umberto I. Ma era già bello esserci, ed essere guidati da uno che ci sapeva fare e che, come raccontava divertito, si era progressivamente saputo allargare proprio in quella sede arrangiata, affidatagli dal Sindaco Abbro con l’impegno di una sola stanza e di pronta restituzione, ma anche con l’ammiccante e sorridente viatico sottinteso del “fai come ti pare, mi fido di te…”

E in ambito sportivo, come possiamo dimenticare quanti eventi , quante partite, egli ha raccontato nelle sue cronache giornalistiche su La Voce di Salerno o sul Mattino o sulla Gazzetta rosa?

Dello sport, oltre all’attenzione da spettatore, egli aveva profondamente introiettato la logica dell’importanza di scendere comunque in campo. Per questo, anche superati gli ottanta anni, non si è fermato nella sua dimensione di cittadino attivo.

Lo sanno bene gli amici del Sacrario Militare, di cui è stato Vicepresidente accanto a quell’altra grande pagina di storia che è Salvatore Fasano.

Lo sanno bene gli amici del Comitato speciale per l’Ospedale di Cava, per la cui salvezza si è messo con loro in prima linea.

Soprattutto, lo sanno bene gli Amici della Terza Età Antico Borgo, di cui quasi fino alla fine della sua vita è stato l’amato presidente, affiancando il figlio Angelo, degno continuatore della sua opera. Ne ricordo bene la felice emozione quando lo presentava sul palco, dopo una manifestazione ufficiale: era il padre diletto del quale si era compiaciuto, i cui valori, insegnati in famiglia a lui e alla sorella Giovanna, era ben lieto di far camminare e trasmettere.

Lo sa bene il Sindaco Marco Galdi, che nel 2012 ha giustamente deciso di assegnargli il titolo di Benemerito in riconoscimento del contributo costante da lui sempre dato alla vita della Città.

Gerardo Canora se ne è andato in silenzio e nell’amara solitudine dei tempi di pandemia. Se ne è andato con la tacita tristezza di una stella cadente, lui che era nato proprio il 10 agosto, lui che avrebbe meritato ben altro tributo.

Ma ci sarà tempo, speriamo, per rimediare. E magari contestualmente si potrà anche istituire il Libro della memoria, da lui tante volte auspicato, con i ricordi dei nonni raccolti dai nipoti, a costruire un gran ponte di identità attraverso le generazioni. Sarebbe un modo significativo di fissare stabilmente tutta la luce della sua “stella cadente”. Ma forse per quello la sua figura di padre, marito, cittadino, professionista è già sufficiente per garantirgli un posto in prima fila nel nostro Paradiso più vicino e concreto, il verde Paradiso della memoria.

Ciao, caro Gerardo e, a nome di tutti noi cavesi, grazie di tutto!

CAVA DE’ TIRRENI (SA). Coronavirus: una Messa dal Castello, benzina di speranza, ricordando la peste del 1656

Un segno forte di identità e di speranza, carico di evocazioni storiche e sociali, l’evento che ha aperto la Settimana Pasquale a Cava de’ Tirreni.

Alle 9,30 del 5 aprile, Domenica delle Palme, Monsignor Orazio Soricelli, Arcivescovo dell’Arcidiocesi Amalfi-Cava de’ Tirreni, ha celebrato la Messa nella Cappella di Monte Castello. Una Cappella quasi vuota, come si addice a questi tempi, alla presenza di pochi addetti, come il concelebrante don Rosario Sessa, il cerimoniere don Pasquale Pagano, il Vicesindaco Armando Lamberti, Mario Sparano Presidente dell’Ente Montecastello, promotore dell’iniziativa, il Coordinatore della Protezione Civile Francesco Loffredo,

Vuota la Cappella, ma piena e attenta tutta la Valle Metelliana, grazie al microfono che ha espanso parole e suoni tra Borgo e casali, e grazie al collegamento in diretta con le antenne di Quarta Rete RTC, che hanno idealmente aperto a tutti le porte del Castello. Soprattutto, pieni i cuori, perché quella benedizione che ha concluso il rito ricorda la benedizione analoga avvenuta al tempo della pestilenza che dimezzò quasi la popolazione cavese nel 1656. Allora, il parroco dell’Annunziata, don Angelo Franco, salì in processione sulla montagna per benedire il popolo e scongiurare il diffondersi del contagio e della strage.

Nell’ìmmaginario popolare, la processione ci fu durante la peste e frenò il disastro, facendo gridare al miracolo e aprendo la strada alla rievocazione che da allora ogni anno si effettua durante la Festa del Santissimo Sacramento, nell’Ottava del Corpus Domini. In realtà, come attestano alcuni autorevoli storici, Salvatore Milano in testa, pare che la processione reale ci sia stata l’anno successivo, per ringraziare dello scampato pericolo e chiedere di essere preservati in futuro da flagelli del genere.

La discussione è ancora aperta, ma sinceramente possiamo dire che questo non cambia nulla rispetto al significato e alla portata della Celebrazione di domenica 5 aprile. Tutti i cavesi, al diffondersi della benedizione ed al suono delle campane (di recente recuperate, anche grazie all’iniziativa del benemerito don Peppino Di Maio, che da poco ci ha lasciati), si sono sentiti uniti da questo filo di dolore e di speranza che li lega ai loro antenati e soprattutto al filo di dolore e di speranza che li lega tra loro oggi, sotto la tempesta del Coronavirus.

E l’attesa, come pure l’emozione dell’evento, sono state forti. Forse, non ci si aspettano miracoli, così come giorni fa in fondo non era il miracolo, ma il “sostegno” di fede e di speranza che si richiedeva nella preghiera “cosmica” e nella benedizione urbi et orbi di Papa Francesco nella Piazza San Pietro vuota. Ma episodi così significativi non possono che essere carezze di speranza, benzina di quell’energia interiore e di quel consolatorio tenersi per mano di cui tanto abbiamo bisogno in questi giorni.

Non sono segni di potere, ma è il potere dei segni che agisce. E lo stesso Mons. Soricelli, oltre al naturale slancio di fede che anima il credente, ha parlato e operato in tal senso. Ha condiviso umanamente il dubbio e le incertezze e le paure di tutti, ha evocato religiosamente la forza d’animo di Gesù Cristo nell’Orto degli Ulivi e nel corso di tutta la Sua Passione, ha auspicato l’uscita dalla tempesta, ha invitato universalmente alla reazione personale improntata all’Amore e alla Misericordia, unici palliativi possibili rispetto al pericoloso virus della rabbia e della chiusura interiore.

E in quei momenti non poteva non venirci in mente che una settimana dopo la Benedizione a San Pietro anche Papa Francesco, nel suo energetico appello di venerdì 3 aprile alla televisione, si è mosso in tale direzione, aggiungendo, come è suo solito, il richiamo alla Tenerezza e stimolando, con un’espressione “elettrica”, la creatività dell’amore.

Alla fine della cerimonia, tra suono di campane e inno nazionale, l’antidoto energetico è rimasto nell’aria. Speriamo che ci aiuti il più possibile la reattività di ognuno di noi, credente o non credente che sia.

Intanto ci apprestiamo tutti alla Settimana Pasquale, una Pasqua che nessuno dimenticherà. Domenica 12 aprile suoneranno di nuovo le campane per la Resurrezione del Cristo. Ma purtroppo sappiamo bene che non potrà ancora essere la “nostra” Pasqua, cioè il tempo in cui questa pesantissima corona ci cadrà finalmente dalla testa.

Ma, anche se più tardi, la nostra Pasqua verrà… Contiamoci e intanto non dimentichiamo di offrire il nostro contributo.

Verrà questa benedetta Pasqua. Adda sulo passà ‘a nuttata … e così sia.

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La continuazione liturgica della Settimana Pasquale prevede, in ambiente chiuso e con trasmissioni mediatiche:

Venerdì 10 aprile la celebrazione della Passione di Cristo, alle ore 16,30;

la Veglia Paquale alle 22,30 di sabato 11 aprile;

la Santa Messa alle 9,30 di Domenica 12 aprile.

CAVA DE’ TIRRENI (SA). Cara Patrizia, giornalista militante, cemento amato di famiglia, donna integrale

In memoria di Patrizia Reso, scrittrice, storica e attivista sociale, scomparsa a soli sessantatré anni.


Bella, ciao! Che bel titolo ha trovato il giornale Cronache per salutare la tua anticipata “partenza” nel giorno più triste, quando di bello ci poteva essere solo il ricordo di te e per il resto solo un magone che ti svanga il cuore… Vero, Patty?

Eppure in quel titolo ci sei tutta tu, e non solo perché era una delle canzoni che più ti emozionavano e ti davano benzina. C’è lo slancio della lotta politica per la libertà, la democrazia, l’uguaglianza, che tu vedevi da sempre incarnate nella Resistenza partigiana e che rivangavi costantemente con la tua azione, da giornalista, da scrittrice, da militante politica, da dirigente all’interno dell’ANPI, perché questi valori per te andavano difesi ogni giorno con le unghie dell’antifascismo e antiautoritarismo, coi denti della coscienza e dell’impegno sociale. Un impegno in cui eri sempre in prima fila, dove si trattava di lottare a baluardo dei più deboli e di chi non ha voce, a cominciare naturalmente dalle donne, di cui non hai mai mancato di essere paladina. Così come non sei mai venuta meno in quelle associazioni che sapevano di democrazia e di partecipazione, di conoscenza, come la stessa ANPI, l’Assostampa “L. Barone”, le varie aggregazioni femminili.

In quel titolo di Bella, ciao!, e in quei valori che esso esprime, c’è anche lo spirito con cui hai scavato nella storia globale e nelle piccole storie locali, mettendoci tutto il cuore ma anche la tua tenacia da panzer e l’acume giornalistico di inchieste e ricerche che hanno aperto finestre sulla vita della Città e sulle vite di cavesi che altrimenti sarebbero rimaste seppellite in un colpevole oblio.

Ne sono nate quattro pubblicazioni fondamentali sulla nostra Cava, che vengono da lontano e guardano lontano: pietre miliari, per gli studio e i curiosi di oggi e di domani.

Sei andata a rivangare e ad approfondire la biografia di Elvira Coda Notari, che è stata la prima storica regista donna del cinema italiana e che a Cava è vissuta per quindici anni fino al 1946, quando è morta nella sua casa di via Formosa. È sulla scia ai tuoi studi che proprio nelle scorse settimane la Commissione Toponomastica ha deciso di dedicare alla “regista del popolo” una “strada del popolo”: e ancora mi trilla nel cuore il ricordo dello squillo canterino di gioia quando te te l’ho comunicato.

È grazie a te che Cava ha conosciuto e ri-conosciuto le trentacinque, e più, vittime della tremenda strage del treno della morte a Balvano nel 1944, quando nella Galleria delle Armi morirono circa seicento “poveri cristi”, quasi tutti in cerca di un po’ di cibo dalle coste napolosalernitane disastrate dalla guerra diretti alle più tranquille campagne del potentino. Grazie a te e alla tua pubblicazione, Senza ritorno, quelle vittime e le loro famiglie hanno avuto un nome, un volto e per un po’ di tempo anche una targa alla stazione (la rimetteremo, vero, caro Sindaco, anche in onore di Patrizia?) e sono uscite dall’oblio della storia ignorata.

Già, quella Storia ignorata che è il titolo di un altro tuo bel libro in cui hai disseppellito il ricordo delle storie belliche e/o di deportazione di tanti cittadini cavesi: storie vere di vite nella tempesta ricostruite dalla viva voce di testimoni diretti e/o delle famiglie, entrambi oramai rassegnati a portarsele nella tomba, quelle piccole grandi, care vicende individuali.

E la stessa storia ignorata l’hai rivangata andando rivedere documenti e riscoprire l’avventura di confinati a Cava e soprattutto di cavesi al confino o sotto libertà vigilata in quanto sovversivi durante il periodo fascista. Anche qui, come nella faticosa costruzione degli altri lavori, quante ricerche, quanti scavi negli archivi, quante telefonate ai familiari, quante chiusure di telefono ma anche quante risposte di quelle che ti caricavano a mille e ti davano la forza per continuare!

Se ora tu fossi qui (ma comunque ci sei, anche se non lo sai), ti emozioneresti a vedere che si ricorda con tanta stima e tanta attenzione la tua figura sociale, a sentire in quel Bella ciao! Il riconoscimento del tuo essere e voler essere “compagna” nel senso più puro e ideale del termine.

Ma… se c’è tanta emozione e commozione in giro è anche e soprattutto perché quella Bellezza faceva parte integrante di te, della tua sensibilità, del tuo slancio sincero di partecipazione, di comunicazione e anche di discussione, del tuo essere “vera” fino in fondo nel tuo rifiuto di compromessi (ridevi quando io ti chiamavo “Patty chiari amicizia lunga”…). Quella Bellezza faceva parte integrante del tuo essere madre, moglie, figlia, da poco anche nonna!, come priorità, ma senza togliere sostanza al tuo essere cittadina, compagna, amica, anzi vivendo in sinergia i valori di una dimensione in sinergia con l’altra, nel nome del tuo essere integralmente donna e persona. Perciò tanta apertura mentale e tanta sincerità di affetto, in quella tua casa e in quella tua famiglia!

Porterò sempre con me, in uno scrigno aperto del cuore, l’immagine viva del mio ultimo incontro con te, pochi giorni prima della quarantena di noi tutti, quando avevi da poco cominciato la radioterapia e non portavi ancora molto visibili i segni del male, che ti stava divorando rapidamente dopo aver tanto tardato a mostrarsi. Tutti insieme nella tua calda cucina-salotto, tu vitale, attenta, vivace e lucida come sempre, pronta alla battuta incisiva e anche all’allegra risata… e intorno a te, tutti e quattro i tuoi adorati gioielli ed il carissimo “Lucio della tua vita”, stretti a coccolarti e starti vicino, a trattarti “come una mollichella” e come quel “cemento amato” che sei sempre stata…

Io, seduto verso la parete di sinistra, non lontano da quel posto dove per anni tuo papà è stato coccolato pure lui “come una mollichella”, diventando, lui nonno, figlio di tutti voi. Di fronte a me, la grande parete con tutte le foto-chiave della vostra bella storia familiare, al centro naturalmente il maxigruppo delle vostre emozionatissime e gioiose nozze d’argento… Due ore volate in una conversazione di assoluto coinvolgimento che ha spaziato dalle difficoltà del presente ai ricordi e alle storie del passato e della nostra generazione. Due ore amiche, due ore belle. E c’era ancora un’aria di speranza in giro…

Poi… la telefonata che non avrei, non avremmo mai voluto sentire…

Rimane il ricordo caro di te, il pensiero che è bello che ci sei stata, con tutta la tua carica affettuosa di unicità e di presenza. Per la Città, ma anche e soprattutto per la tua famiglia.

Non sarai dimenticata, la tua “storia” non sarà ignorata. Non può, non deve.

E allora il mio saluto è pieno di quel magone che ti svanga il cuore, ma anche di tutta la trascinante musica di quel canto. Ciao… Bella… ciao!

Chi era Patrizia Reso

(scheda tratta dal libro “Cava 2000, Il Palazzo e La Città”, Area blu edizioni, scritto da Gaetano Panza con la collaborazione di Franco Bruno Vitolo)

Patrizia Reso, scrittrice e saggista, nata a Cava nel 1957, ha frequentato il Liceo Scientifico “Genoino”, iscrivendosi poi alla Facoltà di Medicina, ma senza finire gli studi. La sua giovinezza è stata sconvolta dalla scomparsa precoce della sorella Marinella, che, pur ledendo le corde della sua sensibilità, l’ha stimolata a “navigare da sola” e le ha aperto gli occhi del cuore e della mente.

È diventata un’attiva protagonista della vita culturale, politica e giornalistica cittadina, sempre in prima fila quando si tratta di lottare per il rispetto dei diritti. Come ricercatrice, ha seguito e vissuto il cammino dell’emancipazione ed il riscatto delle voci soffocate dalla storia, mostrando uno sguardo sempre attento alla società ed al mondo.

Ha esordito con una raccolta di “ritratti al femminile di quotidiana solitudine, Fotografie a colori e in bianco e nero (L’autore Libri Firenze,1997). In Bambini…nel mondo (2006) è andata alla scoperta delle colpevoli violenze sull’infanzia innocente. Con La storia ignorata – Partigiani e deportati cavesi (2009), ha smosso memorie importanti, delicate e sconosciute. Grazie ad Elvira Coda, tracce metelliane di una pioniera del cinema (Terra del Sole 2011), la Città ha scoperto la “cavesità” della prima regista del cinema italiano. Realizzando nel 2012 con Franco Bruno Vitolo l’editing di Reato di clandestinità del senegalese Moussa Keita, ha aperto una finestra sulle problematiche di integrazione dei migranti. In Senza ritorno (Terra del Sole 2013), ha poi fatto luce sulla strage del treno 8017: nel 1944 per le esalazioni di carbone in una galleria perirono circa seicento persone, di cui circa quaranta cavesi, in viaggio per procurarsi un po’ di cibo nella disastrata Italia del primissimo dopoguerra.

Nella primavera del 2017, ha aperto un’altra finestra di “storia ignorata”, con la pubblicazione del saggio Il Fascismo e Cava, città di confino (Ed. Il Paguro), in cui disseppellisce storie di cavesi esiliati e perseguitati, ma anche di tante persone di rilievo che hanno scontato nella nostra città l’illiberalità del Regime.