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Cava de’ Tirreni (SA) – Roma. “Elvira”, la prima donna regista del cinema italiano. E vola alto la biografia di Flavia Amabile.

Il 16 giugno, a Palazzo di Città di Cava de’ Tirreni, si è concluso il primo ciclo di presentazioni editoriali della Rassegna “Un libro (quasi al giorno)”, promosso dall’assessore alla Cultura Armando Lamberti e coordinato dal sottoscritto scrivente Franco Bruno Vitolo. Bilancio positivo sia per il numero e la qualità delle opere presentate (circa venti tra fine 2021 e prima metà 2022), sia per i rapporti stabiliti con creativi e associazioni non solo del territorio, sia anche per il format originale (da sottoporre comunque a verifica), che prevede la presenza non solo istituzionale dell’Assessore e l’introduzione attiva del conduttore.


Di alto profilo e prospettive l’ultimo della serie preestiva, incentrato su “Elvira” (Einaudi edizioni), di Flavia Amabile, giornalista e scrittrice de “La Stampa”, nonché originaria di Cava. Elvira è Elvira Coda Notari, la prima donna regista del cinema italiano e una delle prime del cinema mondiale, nata a Salerno nel 1975, operativa a Napoli, morta a Cava de’ Tirreni dove visse dal 1930 al 1946, autrice di oltre cinquanta film, alcuni dei quali diventati molto popolari anche negli Stati Uniti tra gli emigranti italiani.

Nel momento in cui andiamo on line apprendiamo con grande piacere che dopo Cava è prevista una presentazione mercoledì 22 giugno a Roma, alla Casa del Cinema, in cui dialogheranno con l’autrice il Ministro delle Pari opportunità Elena Bonetti e la regista Cristina Comencini. Un decollo di assoluto prestigio che apre splendide prospettive al personaggio, al libro ed alla scrittrice. Buon viaggio, Elvira!

Sottoposta ad un’ingiusta “damnatio memoriae” fino alla fine del secolo scorso (anche perché documentariamente di lei erano rimasti solo due film o poco più e foto che si contano sulle dita di una mano), ad Elvira Coda Notari dagli anni Novanta in poi è stato riconosciuto quello che le spettava di diritto: è lei la pioniera assoluta del cinema italiano, la prima regista donna, non Lina Wertmuller, come si pensava prima. E sulla scia, per quanto riguarda Cava de’ Tirreni, il merito di riscoperta delle sue “tracce metelliane” va tutto a Patrizia Reso, che ha pubblicato nel 2011 un libro assolutamente illuminante, diventato poi una delle sorgenti primarie di questa produzione di Flavia Amabile.

Elvira” non è un saggio storico o critico o una ricostruzione giornalistica, ma un’ampia biografia romanzata, con il giusto mix di documentazioni inoppugnabili e di personaggi e situazioni vere o verosimili. La narrazione parte dalla scoperta del cinema da parte della giovane Elvira, contestuale all’incontro con Nicola Coda, l’uomo della sua vita, padre dei suoi figli, socio con lei della Dora film, la Casa di produzione con cui “spaccò” in società. Termina col buen retiro a Cava de’ Tirreni, dove Elvira ha vissutogli ultimi sedici anni della sua vita, amareggiata per l’emarginazione e la censura con cui l’aveva schiacciata il regime fascista, che non voleva sentire parlare dei temi sempre cari ad Elvira, cioè di panni sporchi, vicoli malfamati, poveri disoccupati o emigrati, violenze contro le donne, donne in cerca di autonomia e libertà….

La vicenda è raccontata come in un film, con una successione rapida e accattivante di episodi che si sviluppano nel tempo, infiorati di scene d’ambiente e montati con cambi secchi, ma chiarissimi di tempi e di luoghi. In questo “film” Flavia Amabile ricrea intorno a lei dei personaggi a tutto tondo capaci di “bucare la pagina”, , . a cominciare dalle persone di famiglia, padre e marito in testa. Tuttavia nei fatti e nei dialoghi in modo molto convincente fa emergere dalla cintola in su la personalità fortissima e geniale, ribelle e tenace, di Elvira, scavandola fin dove è plausibile: dalla vita sociale, intensissima, fino alle zone più profonde del cuore e dei sentimenti.

Ed è questa ampiezza di sguardo, oltre che una scrittura scorrevole e coinvolgente, che permette alla scrittrice di innalzare una biografia ad opera letteraria. Questo, detto per inciso, non è una sorpresa, perché, con la varietà delle sue opere precedenti (a pupille aperte sulle tensioni e le ribellioni internazionali o sulle collettività emarginate in Italia o anche sulla “filosofia” dei limoni della Costiera), Flavia Amabile non ha certo bisogno di dimostrare le sue qualità di giornalista e scrittrice e l’acutezza del suo occhio capace di scavare nella società ed anche nell’animo umano.

Nella forza emozionale della sua narrazione concorrono e fanno effetto varie situazioni e fattori convergenti.

Innanzitutto, il flusso di magia che inonda il cuore di Elvira di fronte alle prime immagini in movimento del cinema e nella scoperta dell’amore, un amore che nel tempo si scontra con le necessità pratiche della vita quotidiana e soprattutto con la concretezza da dare alla produzione e al flusso degli affari. Scintille di questa magia sprizzano a tratti anche dalla descrizione dell’ambiente napoletano di inizio Novecento, alimentato da una vitalità estrema, ricchissima di fermenti culturali ed umani, (non dimentichiamo anche il fiorire della canzone napoletana classica….). Un ambiente poi purtroppo compresso dalla crisi internazionale e alla fine mortificato dal regime fascista.

La tensione narrativa cresce poi in parallela convergenza quando esplode in Elvira il conflitto sempre più forte, quasi divorante, tra la dimensione di madre e moglie e la scelta di non rinunciare alla sua professione, che la porta a rompere tanti schemi e sacrificando pressoché in toto l’amore di una figlia, e non solo di lei. Ed è qui che il racconto tocca le sue vette più alte, uscendo dal puro ventricolo biografico per scandagliare i muri e le crepe del cuore…

Alla radice di tante tensioni, la battaglia intrapresa fin dall’inizio da Elvira con determinazione assoluta per farsi largo come imprenditrice in un mondo di casalinghe, come donna in un mondo di uomini, come cantrice del popolo in un mondo in cui alla cultura ufficiale non manca certo la classica puzza al naso. Ma la tempra di Elvira, nella rappresentazione molto plausibile della Amabile, è tale che Lei fa scendere in campo la sfida esistenziale per l’affermazione di se stessa e della sua autonomia e libertà, con la conseguente induzione verso scelte anche castranti, eppure alla fine appaganti, perché non sono dipese da nessun altro. Quel sapore della libertà che alleggerisce anche dolori e sofferenze… e perfino il suo “autoesilio” a Cava. ..

Tutto questo, ed altro, è venuto fuori già dalla prima presentazione, ma verrà sempre più abbondantemente a galla in futuro, in quel futuro in cui ci auguriamo che decolli anche nell’immaginario collettivo la conoscenza di Elvira Notari, fino a farne magari una fiction televisiva, di quelle così buone e giuste dedicate alle donne mattone dell’identità collettiva. E se non lo è Elvira Notari, un mattone…

Ora, nel nostro piccolo di Cava de’ Tirreni, ci auguriamo che venga finalmente collocata la lapide sulla sua casa dove ha chiuso i suoi giorni e ci si decida anche a consacrarle la via già decisa, in un quartiere popolare, di quel popolo di cui lei è stata parte e voce. I primi frutti si sono già visti. Infatti la targa sarà apposta a spese della Famiglia di Patrizia Reso, con l’intento di un duplice, sacrosanto omaggio a due donne-luce che provengono dal ventre di Cava.

Il cammino è partito, anzi ripartito, intanto. E la ripartenza si è mostrata già tanto “amabile” …

Cava de’ Tirreni (SA) Festa totale per il Tennis Tavolo Cava: il Torneo Avella, le nozze d’oro col ping pong … e la SerieA!

Palestra Gino e Mauro Avella, a Pregiato di Cava de’ Tirreni. Sabato 21 maggio: finali del Torneo Gino e Mauro Avella, con la partecipazione anche di ospiti internazionali. Domenica 22 maggio, la Grande Festa dei nuovi traguardi per il gruppo in volo del Tennis Tavolo di Cava de’ Tirreni, sotto lo sguardo gongolante sia del Sindaco di Cava Vincenzo Servalli con i suoi assessori Senatore e Baldi sia del Presidente Regionale del Centro Sportivo italiano, Enrico Pellino.

Che serate, ragazzi!

Tanti piccioni con una fava! La ripresa di un torneo che è nell’anima stessa della Società… Il ritorno ad una festa collettiva, con le famiglie, gli atleti e i dirigenti…. la cclebrazione del mezzo secolo di vita dell’Associazione, sia pure quasi al cinquantatreesimo compleanno e non al cinquantesimo, ma l’importante era arrivarci… e soprattutto la meta raggiunta dopo un lungo, faticoso, divertente, palpitante, oscillante, formativo, frizzante cammino tra le serie dei vari campionati: la Serie A! E serie A è un marchio di qualità, il segno che non solo gli atleti sono stati e sono a livello, ma anche che alle spalle hanno goduto dell’appoggio e del lavoro serio e appassionato di dirigenti e compagni di viaggio che hanno dato l’anima e hanno avuto il coraggio di pensare in grande.

Perciò sprizzavano faville dalle pupille del gruppo: c’era la passione che veniva da lontano, l’orgoglio del presente, lo sguardo del futuro, la soddisfazione di esserci stati, il piacere di esserci, la voglia di esserci ancora. E allora diciamoli ad alta voce i nomi dei nocchieri presenti di cotanta traversata: il Presidente del CSI Pasquale Scarlino, il Presidente della Squadra Raffaele Della Monica, i Dirigenti di sempre Pietro Guarino, Eliseo Pisapia, Roberto Pisapia. Con loro, i magnifici quattro della squadra titolare: il capitano Alessandro Gammone, Alexandru Petrescu, Pietro Della Brenda, Claudio Grillo, le grandi chiocce di una movimento giovane sempre più ampio ed entusiasta. E poi, tutti gli altri di questi cinquant’anni, presenti fisicamente o anche assenti-presenti “in altri modi”…

Ora però, dopo il doveroso, gioioso e sentito urrah, abbassiamo la voce e penetriamo più sommessamente nei meandri del cuore, della memoria e della riflessione.

Brividi sottili penetranti e striscianti si sono diffusi nell’evocazione di coloro che ci hanno lasciati: dal Grande Padre fondatore Gerardo Canora ai carissimi Gino e Mauro Avella (nomi e impronte della palestra), dall’anima attiva della società Pino Senatore a Gaetano Lupi fino a Ugo Flauto… Già, Ugo, stroncato dal Covid troppo presto, che agli inizi dell’attività della squadra, prima di darsi poi al calcio, era una delle perline più splendenti, tanto è vero che, comportandosi da brillantissimo protagonista, fece parte del tris che, in quella che allora si chiamava ancora serie C, ottenne ad Ischia la prima storica vittoria in campionato. In quella squadra, si conceda il richiamo personale, anche il sottoscritto scrivente Franco Bruno Vitolo e Eliseo Pisapia, sempreverde e sempre presente, in questa storia…

Durante la serata, come piccole scosse elettriche, anche tanti brividi positivi di soddisfazione, a pensare a quale fermento e quanti frutti di socializzazione,sano spirito competitivo, esperienze, formazione umana sono stati generati dalla lungimiranza di quel lontano giorno del 1969 in cui l’indimenticato e indimenticabile Presidente Gerardo Canora, nell’ambito di tutta la linfa che egli offriva al movimento sportivo giovanile, diede vita alla squadra CSI del Tennis Tavolo Cava, pur in una sede umida e improbabile come i semidegradati locali dell’ex Carcere. Ma egli capì bene la qualità e la quantità del fermento che gli stava di fronte … Poca favilla gran fiamma seconda, direbbe padre Dante…. E fiamma è stata ed è ancora accesa.

Bisogna però tenerla bene accesa, questa fiamma.

Ora più che mai, ora che splende sulle vette più alte.

Il fuoco sono le risorse economiche ed e umane, innanzitutto. E su quelle non ci piove. È compito delle società tenerle vive e fruttuose. Ma fuoco primario sono anche le strutture: e su quelle le istituzioni pubbliche, in tante realtà come nella nostra di Cava, svolgono un ruolo fondamentale, per la loro esistenza, per il loro mantenimento, per le spese di gestione da imporre.

La sopportabilità e la sopportabilità sono vitali e per questo bene hanno fatto durante la cerimonia di festa il Presidente Scarlino e gli altri dirigenti a sollecitare il Sindaco perché l’Amministrazione sia colonna solida e non friabile appoggio della futura attività. Per il Tennis Tavolo e per gli altri sport di base che non sono calcio prof o semiprof, è lì che si gioca la qualità valoriale di un tessuto sociale.

Il Sindaco non si è tirato indietro. E questo ha alimentato ulteriormente lo spirito della Festa, che si è chiusa con una di quelle belle foto di gruppo sugli spalti con decine e decine di pongisti vestiti della maglietta invitante a volare alto.

Foto di memoria, ma di quella memoria che vuole accendere nuovi fuochi, non solo rimestare ceneri calde.. E fuochi siano, nel bel volo che attende ancora il Tennis Tavolo di Cava …

Cava de’ Tirreni (SA). Convegno per i trent’anni da Capaci, un gran ponte tra le generazioni

Fin dall’inizio, nella sala del Palazzo di Città di Cava de’ Tirreni si è sentito il brivido di questi trent’anni trascorsi dall’attentato di Capaci che uccise Giovanni Falcone, la moglie e la sua scorta. Ma si è sentito anche quel brivido tutto nostro del momento in cui, solo poche settimane dopo l’esplosione, in quella stessa sala entrò Maria, la sorella di Giovanni, per parlare dell’evento e ricevere la cittadinanza onoraria della nostra Città. Tutti in piedi, due minuti di applausi, parlando solo con la commozione che tracimava da tutte le parti. Per chi c’era, come il sottoscritto, un ricordo che ha lasciato un segno indelebile.

Con questo fermento, l’opportuno e stimolante convegno (Educazione alla legalità, Criminalità organizzata e confisca dei beni) organizzato lunedì 23 maggio scorso dal Comune di Cava de’ Tirreni, guidato dal Sindaco Vincenzo Servalli e dall’Assessore alla Cultura Armando Lamberti e con la presenza anche attiva degli studenti delle scuole superiori, ha potuto avere un effetto intenso, che viene da lontano e guarda lontano. Questo anche grazie alla qualità assoluta dei relatori, un vero e proprio parterre de rois, moderato abilmente al mattino da Giuseppe Blasi e nel pomeriggio da Mariano Ragusa: Marcello Ravveduto, docente universitario di Storia, Leonida Primicerio, Procuratore Generale della Corte d’Appello, Vito Di Nicola, Consigliere di Corte di Cassazione, Giuseppe Borrelli, Procuratore Capo del Tribunale di Salerno, Antonio Centore, Procuratore capo del Tribunale di Nocera Inferiore, Guido Casalino, Presidente del Consiglio dell’Ordine Forense di Nocera Inferiore, Vincenzo Sirica, Presidente del Consiglio dell’Ordine Forense di Nocera Inferiore, Silverio Sica, Presidente del Consiglio dell’Ordine Forense di Salerno, Andrea Castaldo, Ordinario universitario di Diritto Penale, Tino Iannuzzi, Amministrativista, Rossella Sessa e Federico Conte, della Camera dei Deputati.

Anche grazie all’avvio scattante e coinvolgente, dovuto ai video presentati dai ragazzi del Liceo Scientifico “Genoino” e del Liceo “De Filippis Galdi” (che ha vinto anche un premio nazionale), ed all’introduzione illuminante, vivace, profonda, attualizzante del prof. Marcello Ravveduto, l’attenzione e l’ascolto si sono mantenuti sempre ad alto livello, con possibilità di ricaduta futura decisamente alte.

Sono venute fuori tematiche fondamentali, tutte evidenziate con chiarezza e lucidità dai relatori e di cui cercheremo di sottolineare solo le più eclatanti:

La strage di Capaci è stato momento aperto di guerra tra la mafia e lo Stato, ma ha anche definito il passaggio tra la prima e la seconda Repubblica ed una rottura dichiarata rispetto ad un passato politico e sociale solo da poco in lenta fuoruscita da silenzi e connivenze. È diventata un punto di sutura rispetto al futuro, con la nascita di una nuova e più vera coscienza civile da parte delle nuove generazioni e non solo, come dimostra emblematicamente il bellissimo film di PIF “La mafia uccide solo d’estate”. Ed ha anche stabilito, per effetto dell’uccisione della scorta, un minore gap tra le forze dell’ordine e la gente, come si intravede ad esempio nella canzone “Signor Tenente” di Giorgio Faletti presentata al Festival di Sanremo poco dopo la strage. Insomma, da allora le idee di Falcone e Borsellino hanno cominciato a camminare sulle nostre gambe….

La dimensione di Falcone è stata quella di un eroe involontario, perché egli voleva solo perseguire veramente e seriamente lo scopo per cui era stato delegato dalle istituzioni, ma proprio per questo si è trovato in progressivo isolamento, come capita a tutti coloro che vogliono aprire strade nuove. E lui, a parte il coraggio di andare fino in fondo, ne ha avute di idee innovative, a cominciare dall’idea che la mafia esiste, è organizzata e si può combattere, ma non da soli, per continuare con l’importanza di saper definire i fili della mafia moderna, quella invisibile, che ha gangli finanziari e “professionalmente qualificati” dappertutto ,in questo mondo super globalizzato e tecnologizzato. In tal senso è stata fondamentale l’esperienza di Falcone come inquirente prima che come magistrato, perché è passato attraverso settori illuminanti, come quello finanziario e fiscale.. Un’esperienza che, nella lotta attuale e sempre viva tra lo strapotere della politica e la difesa di autonomia della magistratura, si tende a cancellare con la separazione delle carriere, definita in corso di convegno una colossale sciocchezza.

È pericolosa e deleteria l’incertezza della pena detentiva nel perseguimento della criminalità organizzata. Giusto che oggi la semplice adesione ad una cosca, anche senza reati flagranti, può essere reato penale, però, dati la lentezza, il garantismo spesso opportunistico e le scappatoie varie dei processi, in carcere ci vanno veramente in pochi e tardi. La pena detentiva perciò è temuta ben poco dalle persone scaltre, aduse all’abuso e al crimine, mentre lo è paradossalmente dagli onesti, che in questo senso sono meno scaltriti. Per questo la vera punizione è cominciata ad essere la confisca dei beni, che è una ferita concretissima e che sta diventando, sulla scia delle prime proposte di Pio La Torre, uno dei primi assassinati, lo strumento più importante di lotta alla mafia.

Il rapporto tra criminalità organizzata e sottosviluppo sociale va rivisto in chiave molto più dinamica. Non è il sottosviluppo che produce la criminalità, ma è la criminalità che produce sottosviluppo, coartando e condizionando tutte le vitali attività economiche. E una dimostrazione in tal senso è data proprio dal fatto che la seconda regione più ricca di criminalità organizzata oggi sembra essere la Lombardia…

Va affrontato anche il problema di quella che viene chiamata zona grigia, sulla scia della definizione di Primo Levi, che la individuò nel lager in quei deportati che in qualche modo sii adeguavano e si compromettevano con alcune regole e con le persone degli aguzzini. Ma per neutralizzare questa zona, che è molto diffusa, occorre sia un salto culturale sociale sia una moltiplicazione dell’attestato di fiducia che le istituzioni devono poter offrire.

Questo e tant’altro. Carne a cuocere nelle menti dei giovani e dei cittadini, oltre che degli “addetti ai laori”. Ma l’importante è tenere vivo il fuoco sotto e sopra la cenere, soprattutto in un momento in cui l’attenzione verso i fenomeni mafiosi, da parte della società e della politica, sta vistosamente e pericolosamente calando. Perciò ben vengano convegni del genere. Sono tonificanti e mantengono vivo il ponte con le nuove generazioni, che è il fattore più importante. E allora prepariamoci già per il luglio commemorativo di Borsellino…

Beato il paese che non ha bisogno di “eroi”, diceva Bertoldt Brecht. Verissimo, ma se questi eroi ci sono, allora facciamo crescere un giardino intorno al loro modello …

Cava de’ Tirreni (SA). La notte dei destini stravolti all’alba del lockdown: fanno rumore i silenzi dell’ultimo romanzo di Vicente Barra

Dopo il successo della prima presentazione a Salerno, è sbarcato anche a Cava de’ Tirreni l’ultimo romanzo di Vicente Barra, prestigioso chirurgo ortopedico con la passione della scrittura, che sia poesia, saggistica o soprattutto narrativa.

L’amore o altro?” (Edizioni Europa), presentato il 5 maggio scorso nella Sala d’Onore del Palazzo di Città di Cava de’ Tirreni, nell’ambito della Rassegna “Un libro (quasi) al giorno”, promossa dall’Assessore alla Cultura Armando (Lamberti) e curata dal sottoscritto scrivente Franco Bruno Vitolo, il romanzo ha goduto della relazione come sempre splendida, coinvolgente ed illuminante del Prof. Alberto Granese, docente universitario e critico letterario, una delle perle assolute degli ultimi decenni in questo settore.

Convinti gli apprezzamenti del folto e qualificato pubblico presente, e intriganti gli stimoli della serata. Merito del libro e della sua anima viva e vibrante, che ora andiamo a scoprire.

Una bella casa a pochi passi dal mare, una donna nuda, di splendente bellezza, ancora dormiente sul letto dopo una notte di accesa passione, un uomo che la contempla in progressivo incanto e con riflessioni e domande su se stesso e sulla possibile vita futura, lo sciabordio del mare che rende musicale l’atmosfera ma giunge quasi come un rombo alle orecchie del protagonista perché si diffonde in un inusitato silenzio dell’ambiente.

L’incipit del romanzo contiene in sé già le anime principali del romanzo, o almeno quasi tutte.

Da una parte, come già indicato nel titolo, l’Amore, quello profondo fatto di sensualità, passione, emozione e che sarà presente e trionfante in tante scene ricche di pathos e di eros. Ricco però anche di problematiche, dubbi e distacchi, come accenna quella parolina Altro, anch’essa presente nel titolo seguita da un emblematico punto interrogativo.

Il rumore del mare e il silenzio diffuso tutto intorno rappresentano la sospensione del tempo, fatto di attimi eterni ma anche di svolte che cambiano radicalmente il corso di un’esistenza. Scopriremo presto che quel silenzio appartiene alla prima alba del Lockdown, che nel marzo del 2020 precipitò noi tutti in un nuovo pianeta esistenziale.

Scopriremo anche che quell’alba nel romanzo è la cornice della vita nuova dei cinque (anzi sei, anzi sette) protagonisti del romanzo, dopo una notte in cui il mondo si è rivoltato anche nei loro cuori. Citando un famoso film, avviene tutto in una notte, e il tutto viene raccontato cinematograficamente con un montaggio alternato sulle singole storie intrecciate tra loro e con un incrocio continuo tra il prima e il poi, pur se sempre in quell’ambito, che rappresenta forse in toto un’aristotelica unità di tempo. Un’unità di tempo che però, pur nella sua brevità, l’autore riesce a rendere lunghissima perché giustamente e abilmente penetra nel cuore di ogni personaggio scandagliandone i pensieri, i dubbi e i sentimenti che vengono da lontano e che stanno per maturare rispetto alle loro scelte di quella fatidica notte.

Così il rischio della staticità viene evitato sia attraverso l’azione del passato e le reazioni del presente sia attraverso il dinamismo del montaggio alternato delle scene e dei tempi. Possiamo anche aggiungere l’éscamotage di agganciare stimolanti riferimenti cinematografici ai dialoghi ed alle situazioni. Ad esempio, l’evocazione di Robertino del troisiano Ricomincio da tre serve a scuotere chi è troppo ingabbiato e auto imbranato, S’ha dda cagnà di Pino Daniele celebra il momento di uno stravolgente smascheramento di sentimenti, la musica dei Led Zeppelin accompagna l’assordante turbolenza che sta sconvolgendo in peggio una vita…

La storia, anzi le storie, sono ambientate nel mondo dell’alta borghesia, in una villa ricca ed elegante dove si festeggia il cinquantesimo compleanno di Luca, nella cittadina di Riolosolo, perla del turismo e del benessere. Non esiste in realtà una città con questo nome (evoca solo da lontano la bella Riolo), ma il nome fittizio è voluto perché aiuta a dare corpo alla metaforicità della vicenda.

Carlo è un brillante giornalista, un play boy abituato alle conquiste con il suo charme totale e con quel quid di colui che quasi non deve chiedere. È un uomo abituato ad amare la persona con cui sta e poi, dopo l’incontro, a mettere in ripostiglio tutto quell’amore. Non conosce ancora il piacere di stare con la persona che ama veramente. Eppure è lui l’uomo incantato che contempla la donna nell’alba dell’incipit… Sarà lei l’Itaca di questo Ulisse dell’amore?

Lei è Silvia, una donna che ha tutto con sé: bellezza, intelligenza, sensibilità, ed anche ricchezza, essendo la figlia del Presidente dell’Azienda, che le ha praticamente ingabbiato il futuro imponendole, oltre la sua volontà, di succedergli nella Presidenza. Questo manca a Silvia: la libertà dell’autonomia di scelta, perché lei vorrebbe fare ed essere altro. Eppure si è lasciata trascinare ed anche indurre ad un fidanzamento che vive supinamente, almeno fino al momento in cui sta per trasformarsi in matrimonio, il che la induce a dire il suo primo, decisivo no. Ma poi…

Il fidanzato di Silvia è Massimo, avvocato, ambizioso fino all’eccesso, che vede in lei lo strumento per la scalata sociale e che nelle sue ambizioni finisce col superare limiti e pudori. La sua filosofia è che il sesso è sempre un piacere che non causa danni, mentre l’Amore può farne e come, soprattutto diventare rivale dell’ambizione, valore primario. Il sesso per lui è una strada agevole, visto che di suo è un bell’uomo e della donna ha la visione veteromaschilista del “sono tutte puttane, tranne mia moglie, mia madre e le mie figlie”.

Pur essendo fidanzato di Silvia, Massimo è molto attratto da Sabrina, pittrice geniale, di successo, donna forte e indipendente, che ha avuto la fortuna di trovare in Luca, il padrone di casa, un mecenate convinto e di gran livello. Di suo, è forte e indipendente, e lo dimostra già in un dettaglio iniziale: ad esempio, quando, nel vedere Massimo che per parlarle di arte le mette pubblicamente una mano sulla gamba, senza cadere nell’eccesso della scenata lo incenerisce con calma chiedendogli semplicemente cosa c’entri l’Arte con la mano sulla coscia…

Non solo per gratitudine, ma per sincera ammirazione ed intima attrazione, Sabrina è innamorata non dichiarata di Luca, il festeggiato, uomo di grande successo e ricchezza (ha un orologio che da solo vale lo stipendio annuo di un suo dipendente). Eppure non è felice, perché è tormentato dal fallimento dei suoi matrimoni precedenti e si sente affettivamente un uomo irrisolto, che ha avuto spesso la forza di amare ma non il piacere di essere amato. Eppure la notte dei miracoli incide profondamente anche su di lui, facendogli apparire chiaro che è giunto il tempo di osare, di mettersi in discussione, di scendere in campo anche nell’amore per Sabrina, senza la mutilazione di mascherarsi dietro il semplice affetto.

In precedenza abbiamo fatto riferimento non a cinque, ma a sei, anzi sette protagonisti. In effetti, come non si può considerare protagonista una prostituta, Fina, che in quel lungo silenzio notturno, in fondo all’acqua gelida della sua situazione sociale ed esistenziale di solitudine affettiva e di emarginazione sociale, si fa riscaldare da un sia pur fuggente raggio di sole d’amore e di passione con un “cliente-amante per una notte”, che in fondo all’acqua gelida dell’improvvisa solitudine in cui si è reso conto di trovarsi ha bisogno proprio di un raggio di sole, sia pur illusorio, per non scoppiare di rabbia e di violenza?

Sono tra le scene più belle del libro queste, inserite più delle altre nel silenzio assordante della notte del destino, la notte del lockdown. Eccolo, il settimo e più incisivo protagonista, il lockdown, appunto: quelle notti, quei giorni senza rumore, a specchio con noi stessi, dove ogni gioco relazionale doveva fare i conti con quel deus ex machina che, sceso chissà da dove, in qualche modo imponeva ad ognuno per conto suo di fare i conti con la vita di prima e aprire un conto aperto con la vita del durante e soprattutto del dopo.

Quando si fanno questi conti non si parla più di ruoli o di economia, ma di sentimenti, percezioni, emozioni, coscienza, del livello di Amore e di Affetti conquistati o perduti.

Ma… attenzione! Così sembra voler concludere Vicente Barra: quei conti non valgono in eterno, ma devono valere seriamente per vivere, valorizzare,e non sciupare il susseguirsi di attimi vissuti senza alcuna unità temporale che li inquadri, che li regoli, ma liberi di esprimersi nella più totale autonomia. E queste non sono questioni politiche o sociali, sono cose personali, scelte di ognuno di noi, Nelle varie dimensioni del quotidiano, nell’Amore, che sia amore o Altro, nella Vita stessa. Che non è Altro, ma è l’unica, vera cosa tutta nostra …

Cava de’ Tirreni (SA). Maggio ricco per la rassegna “Un libro (quasi) al giorno)”: dal 5 al 16 previsti quattro incontri

Dopo la sosta pasquale riprendono di gran carriera a Cava de’ Tirreni le presentazioni dei libri della rassegna Un libro (quasi) al giorno, promossa dall’Assessore alla Cultura Armando Lamberti e curata dal sottoscritto scrivente, Franco Bruno Vitolo.

Stimolanti e varie le proposte, che come sempre non riguardano solo scrittori del territorio. Ecco quelle previste dal 5 al 15 maggio.

5 maggio, ore 18Palazzo di CittàL’amore o altro?, di Vicente Barra (Europa Edizioni).

L’autore, prestigioso chirurgo ortopedico da poco pensionato con l’hobby della scrittura, racconta con empatica passione la storia di una notte molto particolare, l’ultima prima del lungo lockdown iniziato nel marzo del 2020. Attraverso una serie di circostanze e prese di coscienza personale gravitanti intorno alla festa di compleanno di un importante imprenditore, ricevono una svolta travolgente le storie di cinque persone e nascono stordenti momenti d’amore (o altro? Ai posteri….) destinati a lasciare un segno profondissimo nei protagonisti.

10 maggio, ore 18 – Palazzo di CittàLa bimba col grembiulino bianco, di Antonella Alari Esposito (Ed. Il Quaderno). Organizzata in collaborazione con l’Associazione Giornalisti “Lucio Barone” e con l’Associazione “Frida”.

È la storia di Nina, documentarista affermata a livello internazionale, una donna intelligente, creativa, volitiva, ma dentro di sé tormentata e irrisolta a causa del grembiulino bianco che è ancora dentro di lei: un’infanzia tarpata da una madre nevrotica e anaffettiva. L’incontro, quasi casuale, con un grande amore di venti anni prima, a suo tempo tarpato da lei stessa e dalle sue nevrosi, sarà l’occasione sia di una fuga nel passato e dal passato sia di un viaggio verso sé stessa… E tante vite e tanti amori, con risvolti a volte sorprendenti e imprevedibili, ruoteranno intorno al suo cambiamento.

11 maggio, ore 18Palazzo di CittàLa speranza progettuale, di Tomas Maldonando, riedizione a cura di Raimonda Riccini (Feltrinelli edizioni). Organizzata in collaborazione con Il club dei lettori.

Recupero editoriale di un classico della saggistica relativa all’ambiente umano ed alla salvaguardia del pianeta. Quando uscì, nel 1970, si colse e subito e fece molto discutere la sua dimensione visionaria e nello stesso tempo profetica, perché individuava la chiave del futuro nel rapporto tra l’uomo e l’acqua, l’aria e il suolo, i tre elementi essenziali dell’ambiente naturale, il cui degrado è favorito, secondo Maldonado, dalla razionalità tecnocratica e dal conformismo nelle progettazioni ambientali. L’autore riponeva le speranze di un possibile riscatto in una progettualità a lungo termine e fortemente alternativa alle tendenze vigenti. Ma intanto sono passati cinquant’anni e…

15 maggio, ore 17 – Museo Arti e Mestieri di Santa LuciaAnima postFamiglie luciane si raccontano, di Pasquale Di Domenico (Noitrè  Edizioni)

Nella sua meritoria opera di recupero delle radici storiche e personali gravitanti tra Sant’Anna e Santa Lucia di Cava de’ Tirreni, Pasquale Di Domenico con uno scavo appassionato e coinvolgente recupera fatti e “fattarielli”, testimonianze, personaggi, immagini, genealogie di alcune tra le più significative famiglie di Santa Lucia, arricchendo preziosamente la tessitura dell’identità di una frazione speciale che, dal suo canto, ha fatto e fa la storia della Città di Cava.

Previa conferma ufficiale, del libro è prevista anche una seconda presentazione il 31 gennaio, a Palazzo di Città, alle ore 18.