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CETARA (SA). Serata di emozioni sulle onde del Maric

Le invenzioni del Concorso letterario, le sirene del Canto del mare.


Due location ad alto tasso di suggestione, due iniziative di alto profilo e di ampia risonanza, contenuti carichi di profonde riflessioni e liriche meditazioni, grande partecipazione di pubblico, un inno alla Poesia, all’Arte, alla Musica, alla Cultura e di riflesso alla persona umana.

È stata decisamente spettacolare e densa di una sua sottile unicità, la serata tutta MARIC di mercoledì 24 luglio 2019 a Cetara, in Costiera Amalfitana.

Nell’ambito della Mostra CetArte, che ha previsto l’esposizione di quadri nella Torre di Cetara dal 5 al 30 luglio, sono stati effettuati due eventi organizzati appunto dal MARIC (Movimento Artistico per il Recupero delle Identità Culturali), fondato a presieduto dall’artista salernitano Vincenzo Vavuso: la premiazione del Concorso Nazionale di Poesia, Narrativa e Fotografia “Disarmiamo l’ignoranza”, e la performance di poesia, danza, musica e arte “Il canto del mare“, ideata e diretta da due creativi del Movimento, la cetarese doc Lucia De Santis e il riminese Mario Formica.

Il Concorso, giunto alla sua seconda edizione, forte di una ricca partecipazione, con circa centocinquanta opere in gara e concorrenti di varie regioni italiane (nutrita e qualificata soprattutto la rappresentanza toscana) e di tutte le generazioni ed età, nelle ore di un dolcissimo tramonto è andato in scena sulla Terrazza pensile dell’antica Torre di Cetara, con la vista beata sul presepiale storico borgo di pescatori, immerso tra verdi colline declinanti e le sensuali frastagliature della Divina Costiera.

In questo pur poetico scenario, la vera poesia è stata rappresentata dall’umanità e dalla sensibilità dei protagonisti e dalle emozioni da loro scatenate: storie agrodolci di rifiuto e accettazione della disabilità, dolore e amorevole rassegnazione per perdite affettive, svanganti violenze a danno di bambini e donne, solidarietà esaltate e giustiziate voglie di giustizia, inferni e paradisi di famiglia, la cecità della disperazione, le chiare albe della Curiosità e della voglia di conoscere, l’orrore della guerra nel rumoroso silenzio delle sue frastagliate pause. E poi, coloriti richiami gravidi di umanità a tradizioni, usi e costumi, secondo il tema specifico richiesto quest’anno.

Significativa anche la lista dei vincitori e dei premiati, come deliberato dalla Giuria coordinata da Franco Bruno Vitolo e composta dal presidente, il giornalista Sandro Ravagnani, da Stefania Maffei (toscana di Pontedera, gran motore del Maric e futura coordinatrice del Premio), Rosalia Cozza (ideatrice con Vavuso dell’iniziativa), dai poeti e scrittori Lucia De Santis, Pina Sozio, Tonino Scala, dalla Segretaria del Maric Isabella Pizzo.

Nella Sezione Poesia si è affermata la cavese Stefania Siani, diventata negli ultimi mesi una deliziosa divoratrice di premi a tutti i livelli e quasi sempre con testi diversi, a testimonianza di un campionario poetico di assoluta qualità e varietà.

Cava de’ Tirreni del resto ha fatto un po’ la parte del leone, visto che sono cavesi, e già pluripremiate altrove, le vincitrici della Sezione Tradizioni nella Prosa e nella poesia, rispettivamente Annamaria Farina e Giovanna Rispoli, ed è cavese di Roseto degli Abruzzi il talentuoso narratore Paolo Degli Esposti, mentre è “una napoletana-cavese che vive ad Arezzo” la fotografa-geografa-viaggiatrice Cristina Morra, una del tris vincente della fotografia. Di Castellammare è invece Teresa Esposito, la campionessa della poesia in dialetto, mentre toscano è il fotografo Giuseppe Lumia, sul podio insieme con la Morra e con la salernitana Lucia Ruocco.

Gli altri premiati, di cui la metà non campani, sono stati, nell’ordine, Silvana Salsano, Franco Donatini, Luciana Esposito, Teresa D’Amico, Luciana Cerne, Patrizia Lova, Marcello Lazzeri, Adele Denza (Poesia in Lingua italiana), Silvana Pinfildi Izzo, Fausto Marseglia, Giuseppe Capone, Salvatore Gazzara, Angelo Maria Di Tullio (Poesia in lingua dialettale), Sonia Arena, Genny Sollazzi, Donatella Daini, Laura Vezzosi, la diciassettenne Franziska Dura e il quasi novantenne Hans Herzog (Narrativa), Pasquale Di Domenico e Silvana Salsano (Narrativa – Usi,costumi e tradizioni), Alfonso Gargano (Poesia – Usi, costumi e tradizioni). Segnalazioni speciali sono state date al dodicenne cetarese Giuseppe Berardone, per una fresca poesia su Cetara e agli studenti delle scuole medie “Carducci Trezza” e “Giovanni XXIII” di Cava de’ Tirreni per la brillante partecipazione collettiva.

La premiazione è stata supportata anche dall’Associazione Giornalisti di Cava e Costa d’Amalfi “Lucio Barone”, presieduta da Emiliano Amato e già vicina al Maric in altre importanti manifestazioni.

Il canto letterario-artistico del Maric si è poi completato in serata, con Il canto del mare, suggestivo mix di poesia, danza, musica, recitazione e natura, realizzato quasi sulla spiaggia, avendo come fondale le rocce dell’altura sul cui picco è la Torretta e come colonna sonora il mare vero e quello suggestivamente ricreato dagli strumenti. L’idea è stata della cetarese-Maric Lucia De Santis, già apprezzata poetessa di intensa e delicata sensibilità, che ci ha messo proprio l’anima, sia nel senso dell’impegno culturale, attoriale, registico ed emozionale, sia nella rappresentazione delle ondate soggettive del suo animo attraverso le metafore oggettive del mare e delle sue onde.

Più che una storia con un inizio e una fine, Il canto del mare è infatti la musica di un cuore di donna avido d’amore e della sua navigazione sempre molto ondosa, affascinante e dolorosa, inturbinata dalle tempeste del desiderio e della passione, della speranza e della delusione, in bilico tra le luci abbaglianti della dolcezza e le ombre svanganti della perdita o dell’abbandono.

Protagoniste del canto, che significativamente si apre con l’uscita di una venerea sirena dal Mare, sono tre sirene (la stessa Lucia, Syria Amatino e Giulia Biondini), che dialogano-monologano con la Luna e con il Mare, in un cammino dalle acque della realtà ai vagheggiamenti del sogno, che le porterà a sfiorare i mari della Luna e a farsi abbracciare dalla coscienza del presente in un impetuoso abbraccio ondoso

In effetti le sirene sono tre, ma è unica l’anima tripartita della poetessa, divisa dalle tempeste d’amore, ma desiderosa di scivolare via con l’amico vento in un valzer travolgente, di far volare pensieri leggeri alti come gabbiani, ebbri di desideri. Alla radice, il ricordo, o il rimpianto, o il vagheggiamento, di una passione la cui eco lei riascolta fin nel profondo delle sue viscere, ma mentre suona la fisarmonica del passato esplodono le musiche di vento che l’avevano fatto volare e combattono un’elettrica intima lotta per ridare luce alla dolente eclissi d’amore che la tormenta. E lei chiede al vento di cullare il suo arcobaleno, di ridarle quel respiro che le donerebbe mille anni di vita, di farle richiudere l’ombrello aperto per proteggersi dalle piogge dell’anima, di ritornare aria che inonda, terra feconda, fuoco di sangue, acqua di sete incantata. E chiede al mare di placare le sue tempeste e di cantarle quel melodioso canto che le appartiene, nelle sere dell’anima, a lenire il bruciore dei graffi sulle negate carezze. Alla fine è nel canto del mare che lei si rifugia, nell’ascolto del vento, per lasciarsi cullare nel cobalto di un sogno d’amore che sa colorare la sua stagione autunnale.

Sono versi di lirica malinconia e estatica dolcezza dedicati all’Universo magico nell’intervallo danzante del tramonto e del giorno, ma anche versi dedicati a se stessa come persona, alla donna in quanto tale, alla Natura vicina in quanto romantica compagna dell’anima. Versi e prose e frammenti di canzoni, in lingua italiana e anche napoletana, con cammei di altri autori, quasi tutti creativi del Maric (a proposito, perché non citarli?), ma assemblati in toto da Lucia, che ha poi teatralizzato un’idea originale ad alto tasso di intensità poetica.

Nella realizzazione, gli stessi versi, immersi nella nuvola dell’incanto delle sirene, si colgono più come eco lirica che nel loro contenuto specifico. Esse tendono a dissolversi nella ricreazione dei suoni della natura, nel gioco della Luna protagonista sul palco, nei teloni che svelano e proteggono, nell’ombrello che ripara e dà calore, nelle danze dei bravissimi Giuseppe Protano e Patrizia Di Matteo, che danno corpo ai sogni e alle memorie. Il tutto diventa allora una lenta atmosfera sull’onda, da cui ogni spettatore può lasciarsi dondolare secondo le sue personali emozioni, i suoi graffi, le sue carezze più o meno godute e negate.

Al termine, sotto la guida del conduttore Guido Mastroianni e alla presenza anche delle autorità cittadine, Sindaco Fortunato Della Monica in testa, grandi feste e congratulazioni, soprattutto intorno al Maric e alla bella persona poetica della cara Lucia.

Nel complesso, lo spettacolo ha rappresentato un appassionato e originale percorso di bel canto marino, che in futuro, magari con qualche opportuno ritocco nella teatralizzazione e nella fonia, sarebbe anche bello riproporre, sempre sulle onde del Maric.

Su queste onde intanto galleggia festosa la nave dell’attesa: la serata infatti è stata un’anticipazione spettacolare del grande evento del 21 settembre prossimo, quando ad Accumoli, paese del Centro Italia distrutto dai terremoti del 2016, avverrà l’inaugurazione ufficiale della Casa della Cultura, realizzata grazie ad una raccolta di fondi promossa e gestita dal Movimento e diretta alla grande dal Presidente Vavuso.

È il segno prezioso della fusione possibile tra Creatività, Solidarietà, Società e Cultura. Un esempio da seguire e da percorrere fino in fondo. Grazie al Maric ed a quei gruppi che ancora ci credono e ci vogliono credere.

CAVA DE’ TIRRENI (SA). Disfida dei Trombonieri 2019, trionfale per Santa Maria del Rovo … e senza la Battaglia di Sarno, probabile “fake news”

È stata archiviata con soddisfazione la quarantacinquesima edizione della Disfida dei Trombonieri, con la conferma vincente della fortissima squadra di Santa Maria del Rovo. La manifestazione, dopo una tre giorni preparatoria, si è svolta il 21 luglio allo Stadio “Simonetta Lamberti” di Cava de’ Tirreni, con la solita, tradizionale, sfavillante e tambureggiante sfilata di gruppo in costume e le rombanti salve a trentasei pistoni delle singole squadre, tra emozionate attese, festosi applausi per le botte ben riuscite e le grida di disappunto (dei sostenitori) e di piacere (dei sostenitori avversari) all’apparire fatale delle cilecche.

Con altrettanta soddisfazione dobbiamo anche rimarcare il fatto che, mentre per decenni la Disfida era anche l’occasione per rievocare la Battaglia di Sarno del 1460, quando secondo la tradizione un gruppo di cinquecento cavesi con un intervento decisivo andò a Sarno a liberare dall’assedio il Re di Napoli, ora, della Battaglia di Sarno durante la manifestazione non si parla più, per il semplice fatto che l’intervento decisivo dei Cavesi non c’è stato.

Il mito della “Battaglia”, secondo la ricostruzione di alcuni storici, in primis il prof. Francesco Senatore, sarebbe nato nel 1640, per giustificare idealmente il riscatto economico della demanialità, effettuato a proprie spese dai “Cavoti” per evitare che la Città fosse venduta a qualche feudatario. La Pergamena in bianco fu però veramente consegnata nel 1460 (uno storico “assegno in bianco” che i Cavesi non vollero “compilare”), perché il Re volle giustamente premiare Cava per non essersi arresa ai Francesi protesi nell’attacco contro gli Spagnoli, per il fatto che rappresentavano un baluardo armato fondamentale, per il ruolo strategico della Valle Metelliana nella geografia del territorio.

Su queste basi, furono ben meritate, sia la pergamena in bianco sia i successivi privilegi per cui, non pagando le dogane all’interno del Regno, potevano vendere tutto a prezzi concorrenziali. Questi episodi furono passi fondamentali perché Cava, proclamata Città nel 1394, diventasse una vera Città.

Tale cammino è stato spiegato con profondità il 19 luglio nel corso di un interessantissimo convegno su “Cava Aragonese”, durato un’intera giornata, in cui, oltre al Sindaco Vincenzo Servalli e al Vice Sindaco Armando Lamberti (che ha definito quella della Battaglia di Sarno una “fake news” della nostra storia), docenti universitari di alto profilo, come i cavesi Francesco Senatore (che l’ha promosso e che ha scoperto di recente documenti fondamentali sull’epoca) e Giuseppe Foscari e con loro Bianca De Divitiis, Pierluigi Terenzi, Davide Passerini, hanno definito le caratteristiche di Cava nel periodo aragonese, sottolineato le correzioni storiche da effettuare, dipinto il quadro sociopolitico dell’Italia Meridionale tra quindicesimo e sedicesimo secolo e in particolare tracciato il cammino progressivo della formazione identitaria della Città de La Cava.

È stato un lungo processo durato quasi due secoli che ha trasformato quella che era di fatto una federazione di villaggi sparsi sulle colline in una Città consapevolmente desiderosa di una vera Unità, fondata su interessi convergenti delle varie parti, concentrata intorno al neonato Borgo come luogo di governo e di riferimento commerciale, sociale e politico.

L’interesse primario comune aveva un nome ben preciso: la difesa della demanialità, cioè della dipendenza diretta dal Re senza le prepotenze e i freni di un feudatario. Essa apriva la disponibilità di tanti movimenti e scelte autonome, oltre che una libertà personale e sociale che nei feudi classici era solo sognata. Per difendere questa demanialità, insidiata permanentemente da aspiranti baroni o marchesi o conti, non aveva senso stare ognuno per conto suo.

Per fortuna a Cava ci fu un’élite lungimirante, formata dai commercianti, da giuristi e da uomini d’arme, che nel tempo con prudenza e saggezza operò nella difesa dell’unità e dell’identità cittadina. In questa cornice si inseriscono e si spiegano la resistenza militare contro i Francesi che attaccavano il potere spagnolo, il rifiuto orgoglioso di scrivere qualcosa sulla pergamena in bianco offerta dal Re proprio come gratitudine per i loro servizi di fedele avamposto interno, il sagace sfruttamento dei privilegi poi concesso dal Re di non pagare dazi alle dogane nei loro spostamenti mercantili all’interno del Regno, la sobrietà intelligente con cui gestirono le ricchezze che derivarono da questi privilegi.

Questa convergenza unitaria e identitaria aveva però bisogno anche del supporto di leggi ad hoc, che permettessero di gestire il complesso sistema di relazioni tra i casali tra di loro e tra di loro e il Borgo. Insomma avvenne un’opera lunga e paziente di mediazione da parte della classe dirigente, che portò ad una rotazione nell’elezione del Sindaco e ad una distribuzione equa e solidale degli incarichi istituzionali nel governo della Città. Così si spiega anche che la riconferma dei privilegi di fine quindicesimo secolo effettuata agli inizi del sedicesimo da Carlo V fu applicata, pur se nello spazio di due giorni diversi, sia al Borgo che ai Casali.

Anche la formazione architettonica mostrò progressivamente il segno della creatività e della cultura e della lungimiranza urbanistica. Il Sud del tempo rinascimentale non aveva certo le stimmate dell’arretratezza e del degrado che poi sono emerse nei secoli successivi. Era sufficientemente ricco e godeva di una sua cultura autonoma, fin dai tempi dei Longobardi, dei Normanni e soprattutto degli Svevi, mentre nello stesso tempo attento ai movimenti che provenivano da quel faro straordinario di luce che si accese nell’Italia centrale tra Quattrocento e Cinquecento.

Lì fiorivano nuove teorie e venivano riscoperte e valorizzate quelle legate al mondo classico. L’armonia e l’equilibrio di una città tutta a misura ad uomo e di palazzi elegantemente funzionali e di accorgimenti importanti come l’arco a volta, in linea con gli studi del latino Vitruvio e del geniale architetto fiorentino Leon Battista Alberti, fu determinante nello sviluppo del Borgo porticato de La Cava, con scelte che poi sono rimaste incise nei secoli e che ancora oggi rappresentano il simbolo identitario della Città.

Su queste rinfrescate e in parte rinnovate basi storiche, che non intaccano comunque lo spirito comunitario e festoso delle tradizionali rievocazioni folkloriche, è stato fatto un ulteriore e fondamentale passo in avanti verso il recupero pieno della grande storia di una Città millenaria e la sua qualificazione per essere competitiva nella concorrenza alla nomina di Città Italiana della Cultura nel 2022, che è uno dei grandi obiettivi del ticket amministrativo del duo Servalli-Lamberti.

All’interno di questo cammino, le iniziative degli ultimi mesi sono state certamente il passo giusto per l’altro importante obiettivo d’immagine, qui definibile con le parole stesse del Sindaco Servalli: “promuovere un brand, ”Cava de’ Tirreni, la città della Pergamena Bianca”. Una straordinaria storia di lealtà e fedeltà di un popolo che difese un regno senza chiedere nulla, subendo indicibili danni, tanti lutti, ed ottenne come ricompensa una pergamena che è un unicum nella storia e che è conservata da ben 559 anni gelosamente e successivamente i “privilegi” che consentirono ai cavesi di commerciare in tutto il regno senza pagare dazi e furono all’origine di quella che ancora oggi è la nostra vocazione: il commercio”.

Un bell’obiettivo, non c’è che dire… con l’augurio che le nostre speranze non finiscano “in bianco”…

CAVA DE’ TIRRENI (SA). Diventato operativo il Centro Studi per la Storia di Cava. Eletto Direttore il prof. Giuseppe Foscari

Il Battesimo è avvenuto la settimana scorsa in due momenti solenni, oltre che aperti al pubblico.


Si è insediato ufficialmente il Centro Studi per la Storia di Cava de’ Tirreni, proposto da un qualificato gruppo di studiosi, creativi e giornalisti cittadini, germogliato come organo interno al Comune e ora pienamente operativo e pronto per iniziative di ricerca e per manifestazioni pubbliche incentrate sulla storia e sulla cultura e sugli usi e costumi di ieri e di oggi.

Martedì 17, alle 11,30, nell’Aula Consiliare del Palazzo di Città si è tenuta la prima riunione, aperta al pubblico, del Consiglio Direttivo, convocata e presieduta da Vincenzo Servalli, Sindaco di Cava de’ Tirreni e Presidente pro tempore. Una volta insediato, il Consiglio ha eletto come Direttore il prof. Giuseppe Foscari, docente universitario, e come Segretaria la Dott.ssa Beatrice Sparano, archivista e funzionaria della locale Biblioteca Comunale.

Gli altri componenti del Gruppo Dirigente sono Tommaso Avagliano, Lucia Avigliano, Claudio Azzara, Agnello Baldi, Serena Bisogno, Dario Cantarella, Gianluca Cicco, Enrico De Nicola, Giuseppe Foscari, Francesco Senatore.

Il Direttivo ha anche definito le prime linee operative: cooptazione di alcuni qualificati operatori della Cultura nel territorio, già a suo tempo proponenti della nascita del Centro; piena apertura alla partecipazione e alla collaborazione all’interno della comunità cittadina; ricerche e studi, a tutto campo, locale e globale, nell’ambito della storia e della vita culturale e sociale di ieri e di oggi; nessuna preclusione pregiudiziale o ideologica; promozione di iniziative pubbliche in tema; rapporto di leale collaborazione e interazione con le istituzioni in quanto tali, a prescindere dalle appartenenze politiche.

Per l’applicazione concreta di queste linee, il Direttivo si è dato appuntamento al 4 settembre prossimo, quando saranno definiti i primi aspetti concreti del programma.

L’ultimo atto di nascita da compiere, cioè l’approvazione da parte del Sindaco delle nomine effettuate dal Direttivo, è avvenuta venerdì 18 luglio ed è stata ufficialmente comunicata il giorno successivo nel corso del Convegno su “Cava Aragonese”, organizzato dal prof. Francesco Senatore in cui, con la partecipazione di qualificatissime personalità, tra cui il neodirettore Foscari, sono state ridefinite su basi scientifiche le premesse storiche di importanti rievocazioni folkloriche cittadine.

Più opportuno “battesimo” non poteva esserci. Non resta che augurare buon lavoro ad un Gruppo che potrà e dovrà dare una spinta importante al processo di ampio respiro promosso dall’Assessore alla Cultura e Vicesindaco Armando Lamberti verso la candidatura di Cava a Capitale Nazionale della Cultura nel 2022.

CETARA (SA). Premiazione del Concorso e Canto del Mare: sarà spettacolo Maric

Sarà una spettacolare serata tutta MARIC, quella di mercoledì 24 luglio 2019 a Cetara, in Costiera Amalfitana.


Nell’ambito della Mostra CetArte, che prevede l’esposizione di quadri nella Torre di Cetara dal 5 al 30 luglio, alle ore 18, nella Torre stessa, sarà effettuata la premiazione del Concorso Nazionale di Poesia, Narrativa e Fotografia “Disarmiamo l’ignoranza”, organizzato dal MARIC (Movimento Artistico per il Recupero delle Identità Culturali), giunto alla sua seconda edizione, che ha avuto una bella risonanza e una ricca partecipazione, con circa centocinquanta opere in gara e concorrenti di varie regioni italiane (nutrita e qualificata soprattutto la rappresentanza toscana) e di tutte le generazioni ed età, dai dodici ai novant’anni.

La premiazione è supportata anche dall’Associazione Giornalisti di Cava e Costa d’Amalfi “Lucio Barone”, che sarà rappresentata dal suo Presidente, Emiliano Amato. I saluti istituzionali saranno portati dall’Assessore alla Cultura di Cetara, Angela Speranza, e dal Presidente e Fondatore del Maric, l’artista salernitano Vincenzo Vavuso.

Spettacolare conclusione, alle 21,30 circa, con la performance di poesia, danza, musica e arte “Il canto del mare“, ideata e diretta da due creativi del Movimento, la cetarese doc Lucia De Santis e il riminese Mario Formica. Teatro della performance, le emozionanti suggestioni del borgo e del mare di Cetara, nella cornice sempre straordinaria della Divina Costiera Amalfitana.

Per il Maric sarà un’anticipazione spettacolare del grande evento del 21 settembre prossimo, quando ad Accumoli, paese del Centro Italia distrutto dai terremoti del 2016, avverrà l’inaugurazione della Casa della Cultura, realizzata grazie ad una raccolta di fondi promossa e gestita dal Movimento e diretta alla grande dal Presidente Vavuso.

È il segno prezioso della fusione possibile tra Creatività, Solidarietà e Società. Un esempio da seguire e da percorrere fino in fondo …

CAVA DE’ TIRRENI (SA). Presentazione show in Comune per “Non a caso”, di Carla Di Domenico: una meditazione in parola, musica e immagini.

La dimensione perfetta è il marchio di vita di Carla Di Domenico, artigiana con la passione della meditazione spirituale, collegata alla fede ed alla sua pratica. “Quando passeggio, le vetrine di libri con saggi di riflessione spirituale o filosofica mi attraggono più delle gioiellerie o dei negozi pieni di vestiti firmati”: è questo il suo motto. Pur non avendo alle spalle una specializzazione scolastica in tal senso, si è tanto appassionata all’argomento che ha prodotto un pamphlet, dal titolo non casuale: Non a caso (Il pendolo di Foucault edizioni). Pur non facendo riferimento alla sua vita personale, lascia tracce del suo percorso esistenziale interiore, un po’ per condividere un possibile progresso dell’anima, un po’ anche per dimostrare come si possa essere diversi dal ruolo pregiudiziale attribuito dalla società in funzione di un’attività o di una condizione sociale.

In diciannove brevi capitoli, con parole a volte quasi iniziatiche che assumono ora le vesti del ragionamento di matrice religiosa ora la forma di una preghiera, lei sviluppa un cammino che si apre verso la dimensione dello Spirito e poi si ritrova e si realizza nell’affermazione dei suoi valori in rapporto agli altri, alla natura.

Ha presentato questo suo spaccato di anima il 24 giugno nel corso di una presentazione show, originale e coinvolgente, tenuta nella Sala del Consiglio di Palazzo di Città davanti ad un pubblico molto folto e attento. Dopo la “benedizione del’Assessore Comunale e amica personale Antonella Garofalo, ha illustrato il suo pensiero e le sue emozioni, con il supporto delle musiche suggestive di due artisti estrosi e dolcemente “penetranti” come Gigi Miu e Renata Frana, oltre che con una successione di immagini significative, alcune delle quali sono scatti fotografici prodotti da lei stessa.

Partendo dalla presenza e dalle immagini di un olmo e un vaso di fiori, fonti di forza e bellezza, ha ricordato la sua origine e le sue radici, attraverso un ulivo oggi ben cresciuto e frondoso che i suoi genitori piantarono nella casa di Sant’Anna in occasione della sua nascita, quarantotto anni fa.

Questo per evidenziare l’equilibrio della sua crescita, incentrato sulla presenza di un ulivo centenario accanto al suo albero “coetaneo”: è l’energia degli avi e della loro identità, emanata in un contesto naturale e come tale generatore di uno spontaneo amore per la Natura e per la Vita che da essa promana.

Su queste basi la Di Domenico ha proclamato la sua identificazione col colore rosso, segno del fuoco vitale ma anche del fuoco dato dalla Fede, attraverso i simboli colorati della Pentecoste e dello Spirito Santo. Carla, questa sua essenza di fuoco non è rivolta alla vita quotidiana, ma si realizza nella vita spirituale, nel suo voler essere, in contemperanza col suo nome, persona forte e spirito libero.

Da qui l’invito rivolto non solo a se stessa, ma a tutte le persone, di fermare il ritmo stordente dell’attività quotidiana per osservare, meditare, ascoltare il silenzio.

È un invito a tornare indietro verso le misteriose e luminose nebbie da cui proveniamo, ad ascoltare la voce del divino che fermenta dentro di noi, alla ricerca di una rinascita, quasi una nuova origine.

È un invito a muoversi con tutto il carico delle nostre sofferenze e delle nostre gioie, non per piangere o per sorridere, ma per purificarci e per conoscere e riconoscere ancora una volta chi siamo, a elaborare la lezione che la natura ci regala, a farlo con l’energia del cuore e con la forza della mente, che ci permette di capire e di regolare l’energia esplosiva del fuoco che si agita dentro di noi.

Questa è la chiave della nostra vita quotidiana, se accompagnata però dalla coscienza attiva del cambiamento.

Il tempo cambia e ci cambia, così come ci cambiano le cose della vita e le relazioni con gli altri. Proprio su questo punto si deve esercitare la nostra scelta, per evitare che le relazioni contaminino la nostra aspirazione all’innocenza e alla purezza.. Anzi, anziché essere contaminati noi, possiamo essere noi a cambiare e purificare gli altri, soprattutto se riusciamo a vivificare il divino che ci nutre e da noi è nutrito.

Carla Di Domenico ha chiuso la sua presentazione con un’immagine molto suggestiva: un percorso segnato da orme di un cammino sulla sabbia del deserto e tendente all’infinito: il segno delle tracce che noi possiamo lasciare con la nostra presenza e la nostra personale “Pasqua”.

Al termine, dopo i rituali ringraziamenti (a proposito dei quali va precisato che nel libro per un deprecabile refuso di cui ci scusiamo mancano i nipoti Mariano e Giovanna e la figlia Camilla è stata chiamata Camillo), in bella simbiosi con lo spirito del suo discorso, ha regalato al pubblico un memorabile buffet, quasi tutto cucinato da lei (a parte il pane e la squisita torta al limone, comunque personalizzata) a base di legumi, verdure e prodotti naturali. Alla fine, sorrisi e complimenti. Almeno per questa sera, la dimensione perfetta è stata toccata …

Poi, non a caso toccherà ad ognuno nel suo piccolo inserirla nel suo vissuto. Non è facile, ma è una sfida: la sfida a luci e ombre tipica della Vita con la V maiuscola …