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“Trappola per topi”, terza opera della Rassegna di Arte Tempra: un giallo “ricco” che intrappola gli spettatori

Il 19 e il 20 gennaio in scena “La Settima Arte”, con regia di Renata Fusco.


CAVA DE’ TIRRENI (SA). Dopo la pausa natalizia, torna in scena l’Autunno cavese del Gruppo Teatrale Arte Tempra, diretto da Clara Santacroce e Renata Fusco. Sabato 19 e domenica 20 gennaio, sarà in scena presso l’auditorium De Filippis dell’Istituto Vanvitelli-Della Corte, La settima arte – Il senso della vita tra cinema e teatro, con la regia di Renata Fusco. Il titolo promette tanto, il cast ancora di più, la direzione è una garanzia: ce la godremo, ne siamo certi.

Intanto ricordiamo ancora con il bel retrogusto che ci ha lasciato l’ultimo spettacolo del 2019, presentato il 16 e 17 dicembre. Una sfida coraggiosa nel nome di un mostro sacro della cultura anglosassone ed europea del Novecento.

In scena, infatti, Trappola per topi, di Agatha Christie, un classico del teatro europeo del ventesimo secolo. Oltre ad essere stata rappresentata in tutto il mondo, dal 1952, anno della prima, l’opera è ininterrottamente in cartellone al Teatro St. Martin’s di Londra. Un record assoluto. Ancora più apprezzabile se si pensa che, trattandosi di un giallo in cui non si conosce dall’inizio la soluzione “definitiva”, con tante messe in scena l’”assassino” diventa pur sempre noto ai più. Il segreto vero sta allora nella capacità dell’autrice di caratterizzare psicologicamente i personaggi, in modo da farne persone in toto, con le loro maschere e la loro complessità umana, il che richiede nell’esecuzione scenica anche delle vere e proprie prove d’attore, oltre che una regia adeguata per ritmo e profondità.

In Trappola per topi (opera teatrale che deriva da un romanzo breve del 1948, elaborato da un radiodramma scritto per la BBC e realizzato come omaggio per il compleanno della regina Mary), il punto di partenza non è tanto un delitto su cui si indaga quanto un delitto annunciato, riflesso di altri delitti già avvenuti. Infatti la storia è ambientata in un albergo isolato in ore buie e tempestose: qui arrivano progressivamente vari personaggi, tutti col loro carico di stranezze e poi alla fine un poliziotto, il Sergente Trotter, che avverte dell’imminenza di un delitto proprio in quell’albergo, conseguenza di un fatto criminoso avvenuto anni prima e di un ulteriore delitto avvenuto qualche ora prima. Questo evento pregresso è un eclatante fatto di cronaca realmente avvenuto nel 1945, quando morì per maltrattamenti uno di due fratelli adottati da una famiglia.

Come si vede, prima ancora che nel mondo del giallo, stiamo in quello della storia e della cronaca e prima ancora in quello del costume, se si pensa che la canzoncina chiave dei Tre topolini ciechi è una filastrocca popolarissima per gli inglesi, stile il nostro Fra Martino campanaro, e che il titolo Trappola per topi (Mousetrap) è lo stesso dell’opera teatrale realizzata dagli amici di Amleto nella celeberrima tragedia. Anzi, meglio ancora, stiamo nel mondo della letteratura pura, perché il dramma, che procede a ritmo serratissimo, è anche uno scavo a volte impietoso a volte affettuoso nell’animo umano.

Perciò la rappresentazione nella Rassegna dell’Arte Tempra era in qualche modo una sfida. E dobbiamo dire che è stata vinta alla grande, per una serie di motivi.

Innanzitutto, l’invenzione registica dell’introduzione e del prefinale gestiti in prima persona da una rediviva Agatha Christie in persona, impersonata con divertito e divertente aplomb inglese da quella simpatica e versatile animalaccia di scena che è Brunella Piucci. Come se non bastasse, la Piucci si è ritagliata in stile Christie anche il ruolo della terribile brontolona Miss Boyle, un carroarmato di acide e sgradevoli lamentele che sottintendono solitudine e sgradevolezza di se stessa e che è stato reso da lei con tanta forza di antipatia che, quando è stata ammazzata per motivi di sceneggiatura, l’evento ha fatto piacere per il personaggio ma è dispiaciuto per la scomparsa dell’attrice…

Se la Piucci-Christie-Boyle ha fatto da mattatrice bisogna dire che tutta la squadra ha collaborato con classe e disinvoltura, grazie anche alla regia agile e coinvolgente di Clara Santacroce ed alle adeguate scenografie “bucascena”.

Sono stati tutti convincenti sia individualmente che nell’affiatamento, nella caratterizzazione psicologica: Luciana Polacco, una giusta Miss Casewell, sensibile ma anche spigolosa, con atteggiamento ora da vittima ora da aggressore vittima; Gianmaria Salerno, il Sergente Trotter, il poliziotto di Scotland Yard che dietro l’incalzante forza investigativa nasconde a sorpresa un tremendo dramma umano e dondola tra il mondo degli indaganti e quello degli indagabili; Lello Conte, veterano dell’Arte Tempra, bravo ad essere inquietante e rassicurante nelle vesti del misterioso maggiore Metcalf; Carmine Squitiero, che rende del signor Paravicini la problematicità di un filosofico furbetto; Gerardo Senatore, che nel ruolo di Giles, il marito della padrona di casa, mostra i chiaroscuri di un’ambigua seriosità per fortuna poi “disambiguata”; Francesco Savino, che, soprattutto nella prima parte, illumina alla grande le nevrosi di Christopher, maestro di fantasia e di artistico orrore, ma in fuga da se stesso. Ultima, ma non certo la meno importante, anzi, Vivian Apicella, Mollie, la padrona dell’albergo e moglie di Gilles, che, nonostante la giovane età, riesce a rendere con padronanza, attraverso le significazioni dei gesti, la varietà delle intonazioni e la fluidità delle battute, le tante facce di un personaggio delicatamente umano ma anche troppo tormentato tra gli sballottamenti di una realtà a volte troppo grande per lei.

Insomma, una simpatica goduria … Ma la goduria è di casa per gli spettatori dell’Arte Tempra …

Rassegna Teatrale “Piccolo Teatro al Borgo – Arcoscenico”

Dopo il classico “Natale in casa Cupiello”, il 19 e 20 gennaio in scena la novità “Hope, fame di vita”.


Il 22 e 23 dicembre scorsi, nel salone del Teatro Il Piccolo, presso il Palazzo Vescovile di Cava de’ Tirreni, è andato in scena il terzo spettacolo del cartellone congiunto 2018-2019 Piccolo Teatro al Borgo – Compagnia Arcoscenico.

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Dopo La voce rotta di Napoli e Costretti a fare Miseria e Nobiltà, è stato rappresentato un classico natalizio della Compagnia del Piccolo Teatro al Borgo diretta da Mimmo Venditti, Natale in Casa Cupiello, di Eduardo De Filippo, nell’edizione originale in due atti, essendo il terzo stato aggiunto in un secondo momento. La messa in scena quindi escludeva l’intrigante andirivieni familiare e condominiale intorno a Lucariello morente e l’ancora più intrigante unione “involontaria” delle mani di Ninuccia con quelle di Vittorio, ma comunque è risultata, come sempre, intrigante e suggestiva, per la bellezza assoluta del testo dei primi due atti e per lo spirito “pionieristico” in esso insito, oltre che naturalmente per la bravura della Compagnia vendittiana, oramai proprio di casa in Casa Cupiello: Mimmo Venditti (Luca), Maria Spatuzzi (Concetta), Matteo Lambiase (Nicolino), Roberto Palazzo (zio Pasquale), Attilio Lambiase (Nennillo), Daniela Picozzi (Ninuccia), Raffaele Santoro (Vittorio Elia), Andrea Manzo (il portiere).

Grazie alla fantasia inventiva ed alla bravura del giovane poeta vietrese Alessandro Bruno, stavolta non riportiamo una recensione classica (il contenuto è patrimonio acquisito della cultura partenopea e non solo), ma un commento in lingua napoletana, in armoniose quartine a rime alternate, con il sottofondo di un compianto per il teatro mancante, in vago stile vendittiano. Un lamento che vorremmo tanto diventasse presto solo il ricordo di un’assenza, per l’arrivo dell’agognata presenza della sala “vera”.

Alla fine della lettura, vi chiederemo naturalmente: “V’è piaciuta ‘a puisia?” Quale sarà allora la vostra risposta affermativa? (Franco Bruno Vitolo)

 

Te piace ‘o Tiatro?

Tavule ‘e ponte chiene ‘e povere

senghiate e tramiate d’ ô tiempo!

Segge ‘e nu tiatro “povero”…

Pigghiate posto… nun perdite tiempo!

 

S’arape ‘o sipario ‘e velluto!

Oh! Oh! Natale in Casa Cupiello!

‘O friddo ‘ncuollo mo m’ è venuto.

‘O fatto ‘e Luca… è sempe bello!

 

‘A stanzulella ‘e lietto cu ‘o pparato

‘o mobbile marrò cu ‘a Maronna

colla e presebbio appriparate

se va in scena… e ‘a platea sonna.

 

‘A cumpagnia ‘e Venditti… cavota

te sape emozzionà a ogne bbattuta.

Comme ‘a ggire e comme ‘a vuote

‘e tiatrante teneno… arta futa!

 

Lucariello, Cuncetta e Tummasino

battaglieno a tammuro battente.

Ninuccia ‘nzieme cu Niculino

contrastati… nun vonno sapè niente!

 

Vittorio e zio Pasqualino

cu Raffaele ca fa ‘o purtiere

te ‘nzuccareano in modo fino.

Sta cumpagnia… fatica a mmestiere!

 

Ma mo… m’ addummanno e dico:

into a stu tiatro se po’ recità?

Ccà nce scioscia nu friddo nemico

e a ogne ppecone se ‘nvoca pietà!

Nu stanzone stritto, luongo e freddegghiuso

pe quatte segge ‘i lignamme rotte!

Pe fa ‘o tiatro nun se ausa!

Ccà a Cava…s’ ha da cagnà rotta!

 

Nun può abbozzà comme a Pascale,

nun se po’ ‘nzerrà comme a Cuncetta.

Nu tiatro fatto a tiatro è normale

pe Cava nosta ce vo…e ce vò in fretta!

 

Ente Comune! Scetate…so ‘e nnove!

È tarde…’A cultura nun è fessaria.

P’ ‘a Città ce vo ‘o tiatro nuovo!

Scetate, fallo… p’ ammore ‘e Dio!

 

Vuo’ sta dint’ ‘a nota d’’a salute?

E allora muovete e fa’ ampressa

ca fine a mmo…nun me si’ piaciuto,

pecche ‘o tiatro assaje ce interessa!

 

In platea scuccaveno ‘e mmane

ma ce sbatteveno pure ‘e riente!

Comune, nun attennere a dimane!

Jamme, jà… nun fa ‘o fetENTE!

Alessandro Bruno

 Il quarto appuntamento della Rassegna vedrà in scena la Compagnia Arcoscenico, diretta da Luigi Sinacori, con Hope, fame di vita, dello stesso Sinacori e Mariano Mastuccino, in scena HOPE, fame di vita, di Luigi Sinacori e Mariano Mastuccino, un dramma originale in tre quadri già presentato con successo e apprezzamenti l’estate scorsa. Attraverso storie di migranti, di esistenze sospese e costrette all’isolamento, di vite malate allo specchio, affronta il tema della speranza, cercando una luce anche oltre il buio della “nottata”…

Non è ancora un classico, come Natale in Casa Cupiello, ma potrebbe diventarlo … Vale proprio la pena venirlo a scoprire.

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Capri in cartolina: una divina passeggiata nella bellezza di ieri … e di sempre

Dedicata all’Isola Azzurra la settima raccolta realizzata da Alfonso Prisco e AreaBlu.


CAPRI (NA) – CAVA DE’ TIRRENI (SA). Quasi cinquecento cartoline del secolo scorso con carta patinata e raffinata in grande ed elegantissimo formato 24×30, duecentosettantadue pagine, una storia da amare … e tanto sole e tanto mare negli occhi e nel cuore.

Riguarda stavolta l’isola Azzurra, Capri superstar, la settima perla della originalissima raccolta delle cartoline del Grand Tour, realizzata come sempre da quello strardinario archeolabrador della cartolina d’epoca che è Alfonso Prisco e stampata in Champions style da AreaBlu Edizioni. Segue i due volumi di Lady Cava e quelli singoli su Salerno, Costa d’Amalfi, Pompei e Napoli e proprio alla logica che ha ispirato il lavoro su Napoli si ispira maggiormente quest’ultima fatica. Infatti ci sono anche molte immagini non solo di luoghi, ma anche di pitture, volti, palazzi, storici hotel, oltre naturalmente a quegli scorci che hanno fatto dell’isola la Regina del Golfo ed uno dei luoghi più ammirati ed amati al mondo, come sapeva bene il buon imperatore romano Tiberio, che di bellezze e ricchezze se ne intendeva.

Tra tutte, spicca infatti la serie dei panorami dipinti, con la stampa in cartolina di opere dell’Ottocento, quando in Campania trionfava la pittura paesaggistica, che fungeva anche da promozione turistica: in queste immagini, riprodotte con magistrale fedeltà, la Grotta Azzurra, i Faraglioni, l’Arco Naturale, anche un semplice pescatore che tira le reti o delle barche che partono per pescare assumono una dimensione magica, così doveva risplendere nell’immaginario di chi poteva solo volare con la fantasia per immergersi nella bellezza dell’isola. Una magia che in alcune delle scene più riuscite è stata del resto evocata di recente dal regista Martone nel film Capri revolution, nell’intrigante storia della Comune di stranieri che agli inizi del Novecento si insediò in un fatato angolo dell’isola. E che dire dei volti di uomini anziani o fiorenti popolane che evocano quasi la preistoria dell’isola, quando si era ben lontani dal vederla pullulare di aristocratici dandy o “aspiranti imperatori”? O di quelle cartoline che sono anche delle performance fotografiche, vista la predisposizione di inquadrature dall’alto con rocce a strapiombo o strade che si inerpicano come nuvole bianche intorno a quei monti così magicamente sposati col mare?

Perciò lo scorrere queste pagine non è solo un ricercare le radici di un luogo, perché altrimenti interesserebbe solo il caprese doc, ma è una divina passeggiata nella Bellezza. Del resto, l’isola di Capri è detta Azzurra forse anche perché azzurro è il colore del cielo che abita in lei …


In Biblioteca la mostra di “Pro poor people”, a sostegno di una località della Tanzania

Uno stimolo al dialogo con i più giovani, una benefica finestra di solidarietà.


CAVA DE’ TIRRENI (SA). “In Kenia e in Tanzania, abbiamo aiutato e aiutiamo famiglie senza tetto, povere e con prole. Le aiutiamo ad acquistare un terreno, a costruire una casa confortevole, ad avviare una piccola attività di agricoltura e di allevamento, in modo da raggiungere gradualmente l’indipendenza economica. Diamo un aiuto per risolvere i problemi minimi dell’esistenza quotidiana e nello stesso tempo per acquisire gli strumenti di costruzione del futuro. Tra questi il primo e più importante è la scuola. Bastano poche decine di euro, non più di cento, per permettere ad un ragazzo di sfamarsi, pagarsi l’istruzione e con essa di acquistare uno spicchio di speranza.

È il sogno di tanti volontari per l’Africa in generale e, nel nostro caso, l’obiettivo dichiarato di un gruppo di volontari coraggiosi e generosi, guidati da Marco Battaglini, il quale in Kenya, a Watamu, undici anni fa entrò in contatto con la famiglia di una vedova rimasta senza casa e senza sostentamento. Capì che non era, non è possibile in certi casi stare con le mani e mano senza dare una mano. Chiese aiuto e sostegno a parenti, amici e conoscenti in Italia e riuscì a far tirar su un’abitazione decorosa, con ecocomponenti, e a dare gli strumenti per andare avanti e procurarsi il sostentamento quotidiano.

Da lì nacque l’idea di creare un’organizzazione in grado di aiutare questo “poor people”, ma anche la scelta consapevole del finanziamento diretto, senza intermediazioni, ma solo attraverso agenzie di trasmissione di danaro da un paese all’altro. Dopo qualche anno in Kenya, la sua attenzione si è trasferita in Tanzania, in particolare a vantaggio dei bambini di un orfanotrofio di Kipengere, per poi stabilirsi definitivamente a Nyombe, dove agisce in libertà e autonomia a beneficio di persone e famiglie disagiate..

Da quel momento la sua primaria attività è stata quella di raccogliere fondi per adottare a distanza bambini nello studio (con cento euro annui si coprono un intero anno scolastico e due pasti al giorno!) e aiutare le famiglie a farsi un tetto, un campicello e qualche strumento per produrre e vendere frutti, ortaggi oppure oggetti artigianali.

Quella che era un’iniziativa di pochi si è poi estesa ad amici e conoscenti e quindi, attraverso la rete, a coloro che ritengono giusto e opportuno sostenere, in loco oppure a distanza, l’azione di questo gruppo, che ci sta mettendo anima e cuore, intelligenza ed energia. È nata formalmente l’Associazione Onlus Pro poor people, dallo stesso Marco Battaglini presieduta, che negli ultimi mesi si sta facendo conoscere attraverso significative iniziative pubbliche, in particolare a Cava de’ Tirreni, città di residenza di Rosanna Lamberti, l’attuale Vicepresidente, e di alcuni membri della famiglia Battaglini, che è originaria del Cilento. Il papà di Marco, Gianfranco, fa da segretario, l’amico James da gancio e tramite in Tanzania, a supporto ed a volte, se serve, anche in sostituzione di Marco stesso.

Ha avuto una bella risonanza la mostra organizzata prima a settembre in Comune, con la spinta promozionale del Consigliere Umberto Ferrigno e della Presidente del Consiglio Lorena Iuliano, e nel periodo prenatalizio in Biblioteca Comunale. Qui si è aperto un fecondo canale con le scuole, destinato ancora a crescere nel mese di gennaio. I ragazzi rimangono molto colpiti dalle “fotografie parlanti” che accompagnano la mostra, e dalle vibrazioni del cuore che connotano la presentazione curata da Rosanna Lamberti e dalla sorella Teresa, capaci di infiorare le parole con episodi che colpiscono l’immaginario dei giovani. Per tutte, vale la testimonianza delle ragazze della II BL del “De Filippis – Galdi”, che ha visitato la mostra con le le prof. Rinaldi e Coppola.

Siamo rimaste molto impressionate dal fatto che in quei luoghi bruciavano i copertoni delle ruote delle macchine per favorire la concimazione ignorando i veleni che quelli contenevano. E ci hanno intenerite scene come la preghiera recitata sulla spiaggia da parte della famiglia senza tetto a beneficio di Marco e dei suoi amici. Ci hanno tanto commosso sia la carica d’amore che rimane in quelle persone nonostante la povertà, sia il vedere tanti bambini sorridere gioiosamente. Abbiamo capito che quello che per noi è poco o niente per loro è tutto. Dovremmo imparare a distinguere meglio il valore delle cose che noi abbiamo e che diamo per scontate…

Parole sagge e mature, parole che, se elaborate e trasformate in pensieri e azioni d’amore e di solidarietà, sono il segno di una crescita e l’apertura di una mano tesa a far da ponte con il mondo che ci circonda.

Ci conforta perciò che stiano prendendo piede iniziative come quelle di Por poor people, che ci siano persone come Marco Battaglini che tengono viva la fiammella della fraternità, che questi incontri mettano su, sia pur faticosamente e mattone dopo mattone, dei ponti di umanità e solidarietà in controtendenza con le diffidenze e gli egoismi che troppe volte ci portano a vedere queste popolazioni svantaggiate come dei pericoli per la nostra “pace” e il nostro più o meno reale benessere. Come se nella nostra storia non fossimo mai stati svantaggiati o migranti…

E allora, se possibile, diamo il nostro sostegno; se non siamo impegnati con altri, diamo il nostro cinque per mille; se abbiamo tempo, doniamo i nostri minuti. E i benefici, per gli altri e per noi stessi, non saranno certo “minuti”…

“Costretti a fare Miseria e Nobiltà”: la stagione del Piccolo Teatro al Borgo è iniziata con una brillante contaminazione da Scarpetta

CAVA DE’ TIRRENI (SA). C’è chi, con un brillante neologismo anglicheggiante e assonante con renaissance-rinascita, l’ha chiamata greynaissance, cioé rinascita del grigio, dell’età in grigio, quindi della terza età. A dire la verità, il termine si adatta oggi di più alle donne, che ad un certo punto, per circostanze ora liete ora difficili della loro vita, si trovano a vivere non per qualcuno o per qualcosa, ma per dimostrare se stesse ed essere se stesse. Gli uomini, soprattutto in passato, erano da sempre abituati ad essere in prima fila fin dai tempi infantili delle “coccole da figlio maschio”.

Oggi il termine assume un valore più ampio, magari riferito alla pensione oppure a quell’età in cui si può essere più facilmente liberi di liberarsi o di “togliersi gli sfizi”.

Mimmo Venditti appartiene in parte a questa categoria. Non è cambiata certo la sua identità: in scena da sempre, sul palco e a volte non solo sul palco. Eppure tante volte bisognava e bisogna anche scendere a piccoli e grandi compromessi col pubblico, che per lui è sempre stato un interlocutore privilegiato. Segnali di piccole trasgressioni ogni tanto ne ha lanciati, comunque: la contaminazione de Il medico dei pazzi, la commedia non tradizionale di Santanelli, la cornicetta socialeggiante del Viviani di Fatto di cronaca

Negli ultimi tempi però si è tolto qualche sfizio in più. Prima la formazione della strana coppia in cartellone con i ragazzi di Arcoscenico (della serie “voialtri volete procedere svincoli e sparpagliati? E io non ci sto!”) e adesso, nell’ambito della Rassegna teatrale 2018-19 del Piccolo Teatro al Borgo di Cava de’ Tirreni da lui diretto, la “vendittizzazione” di un superclassico come Miseria e nobiltà, commedia scarpettiana scolpita nell’immaginario popolare soprattutto nella resa cinematografica del grande Totò, più che in quella teatrale di Scarpetta o dello “scarpettiano” Eduardo.

Il titolo, Costretti a fare Miseria e nobiltà, già induce il pensiero alla contaminazione, con la curiosità di capire il perché della costrizione. E c’è subito un doppio d’ambiguità. “Costretti” nella vita reale, perché è stato espressamente richiesto alla compagnia del Piccolo Teatro al Borgo di rifare l’esperimento, a suo tempo di grande successo, de “La vera storia del medico dei pazzi”, con un prologo esterno che introduceva il famoso testo scarpettiano, comunque rispettato nella sua sostanza. “Costretti” nella finzione teatrale, perché la compagnia protagonista dello spettacolo, per poter recitare e di conseguenza mangiare, deve subire la prepotenza di un assessore interessato a far dare una parte alla bella Gemma, sua “raccomandata” diletta, o di letto che dir si voglia.

E qui il doppio esplode, soprattutto nel primo atto, diretto e condotto con un ritmo galoppante, da apllausi. La vita reale del gruppo recitante si mescola con la finzione delle prove e della miseria che deve emergere. Mimmo Venditti si è veramente divertito a rimescolare le carte, facendo e non facendo “Miseria e nobiltà”, in un gioco di intrecci nella sceneggiatura che è una vera goduria per teatrofili. Ad esempio, le battute sulla fame sofferta dai protagonisti del teatro vengono trasferite al gruppo recitante, che la fame la soffre veramente, al punto da non avere neppure la possibilità di procurarsi gli spaghetti veri per la famosa scena del finale del primo atto. E così anche la vendita del paltò, con la serie dei famosi “desisti”, che diventa un duetto per i big Mimmo Venditti e Matteo Lambiase nel loro ruolo di guitti (la classe non è acqua…) e non in quello degli sgarrupati disoccupati del testo. E il tormentone “bellezza mia…” del marchesino Eugenio (l’attor giovane Marco Coglianese) si trasforma nell’intercalare del vero spasimante della ragazza che interpreta Pupella (Titta Trezza), ricco ma impossibilitato a usare le sue ricchezze. E che dire della litigiosissima accoppiata delle due donne, moglie e concubina, che viene trasferita, con molte delle battute del testo, alle due attrici, anche loro moglie e concubina, e che determina momenti trascinanti di rabbiosa comicità, grazie anche alle spumeggianti ondate di energia generate dalle due attrici vere (Ida Damiani e Daniela Picozzi). Sarebbe lungo citare tutte le corrispondenze, ma come dimenticare l’invenzione dell’assessore (un Raffaele Santoro convincentemente marpione) e del prologo, che Venditti si è sentito quasi “costretto” ad inserire. Nel prologo, infatti, svolto quasi in penombra, come segno di distacco rispetto al resto, il colloquio tra l’assessore e il custode del teatro (un disinvolto Roberto Palazzo, a suo agio anche come il cuoco arricchito papà di Gemma) svela la miseria della situazione e la mancanza di nobiltà con cui si gestiscono beni pubblici di interesse culturale. Lì, con il garbo del teatrante ma con il cruccio del cittadino, Venditti si toglie sassolini, pietruzze e vetrini dalle scarpe denunciando la mancanza di un teatro vero in città e le difficoltà che una compagnia di qualità incontra per essere profeta in patria, soprattutto quando è riuscita tante volte a “profetizzare” fuori città ed anche fuori regione ed anche fuori nazione. Non solo si è divertito, ma si è anche sfogato… ah, Venditti, tremendo Venditti!…

Tornando alla logica del doppio, quasi tutto il secondo atto della commedia è poi dedicato alla recita che nella commedia reale i guitti devono fare per fingere di essere i nobili parenti del marchesino. Qui, nonostante qualche ricercato richiamo alla situazione reale della compagnia, vengono di più seguiti, al di là dei tagli, il testo e lo spirito del copione scarpettiano. Ma lo spettacolo procede comunque gradevole, grazie al convincente affiatamento della squadra in scena.

E si arriva al finale tradizionale con la piena disponibilità del rispettabile pubblico a donare il suo consenso e i suoi applausi… ed a partecipare con l’ascolto e con le parole all’incontro doposcena che Venditti non manca mai di organizzare e che costituisce un arricchimento ed a volte anche uno spettacolo a sé.

I saluti sono pieni di di promozione e di promesse. Viene chiamato sul palco Luigi Sinacori, il capocomico e sceneggiatore di Arcoscenico, con cui il PTB ha creato una coppia di fatto, e viene preannunciato per il mese di gennaio il ritorno di Hope, la pièce più matura di Sinacori. Infine, in periodo di Avvento, viene creata l’attesa per il tradizionale avvento dell’eduardiano Natale in casa Cuopiello, che Venditti ha realizzato in chiave filologica, fermandosi, come nella prima stesura dell’opera, ai primi due atti: quindi, da “Lucarié, scitate!” a “Tu scendi dalle stelle, Concetta mia…” Non vedremo morire il buon Luca Cupiello né sentire Tommasino finalmente ammettere che ‘o presebbio gli piace, ma la torta è gustosa anche senza la ciliegina finale…

Casa Cupiello in due atti, lanciata anni fa, era una sfida rischiosa, ma il buon Mimmo è riuscito a vincerla, con un bel ghigno di soddisfazione. Ah, Venditti, tremendo Venditti …