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Cava de’ Tirreni (SA). Le Ville di Rotolo e tre grandi artiste alla terza, magnifica tappa di “Camminare il paesaggio”

Terzo appuntamento a Cava de’ Tirreni con Camminare il paesaggio, la bella iniziativa di Aniello Ragone, Dario Cantarella e Geltrude Barba che sposa il benessere del camminare con il piacere della scoperta di luoghi a volte tanto nostri quanto sconosciuti, con l’arricchimento di performance teatrali ad hoc e il nutrimento della Storia, della Cultura, dell’Arte che nasce da questo ben saporito mix.

Dopo Badia e Castello, le Ville di Rotolo, cariche di storie e di bellezza, fiori di quella magnifica strada di verde e di sole realizzata dal Sindaco Trara Genoino nei primi anni del neonato Regno d’Italia. Tre perle, tre grandi donne protagoniste dell’Arte e della Letteratura: Villa Galise con la pittrice Pia Galise, Villa Marghieri con la scrittrice Clotilde Marghieri,Villa Ricciardi con la ceramista IreneKowaliska.

Appuntamento alle canoniche 9,30, sul declivio della Maddalena … e via, con Aniello e Dario a fare da sapienti e chiare guide e ciceroni e Geltrude a preparare le performance dei suoi pupilli.

Uno spettacolo puro, il giardino di Villa Galise, soprattutto per l’aereo panorama che si gode dai suoi belvedere: uno scenario da sballo che parte dallo squarcio sul mare di Vietri, si apre sull’apertura della Valle, vigilata a est da Monte San Liberatore e a ovest dalle propaggini della Molina e dalla deliziosa zona di Vetranto, estendendosi poi quasi a trecentosessanta gradi tra le file collinari fino all’incrocio con la Piana del Sarno. All’estremità orientale, quella palazzina della Villa che ne ha vista, di storia, dai Casaburi che hanno il nome al casale di Rotolo fino ai Di Martino di oggi, passando per i decenni che hanno visto fiorire qui la famiglia Galise. È qui che ha abitato la pittrice Pia Galise, una delle figure artistiche femminili più rilevanti della prima metà del secolo scorso, oltre che nonna della star nazionale del musical Renata Fusco e madre della scrittrice-pittrice Elvira e della musicista-regista teatrale Clara Santacroce. Una pittrice che sapeva sposare la tradizione del figurativo con le moderne sfumature tonali che fanno qualità e generano emozione. A lei qualche anno fa la Provincia di Salerno ha dedicato una magnifica monografia , a lei la Commissione Toponomastica, quando esisteva nel corso della precedente consiliatura, ha deciso di dedicare una strada, che a lei sarà effettivamente dedicata se e quando la Commissione tornerà ad esistere.

In questa Villa, soggiornarono i soldati durante l’ultima guerra, qui il pittore Matteo Apicella fece il ritratto della ricamatrice Ersilia Manzo, che è stato riscoperto recentemente da Anna Ferrara e Stefano Esposito, come è stato spiegato dallo stesso Esposito e dal consigliere comunale Eugenio Canora, nel presentare l’opuscolo “Le vite di Villa Galise”, che racconta l’episodio e che è stato da lui curato, insieme con i due scopritori, con Lucia Avigliano, Giuseppe Apicella e lo scrivente Franco Bruno Vitolo.

Qui hanno soggiornato grandi personaggi, come il Conte di Harach, Viceré della Corte di napoli, qui ospitato per assistere al tradizionale e spettacolare “gioco dei colombi”, che aveva uno dei suoi centri proprio intorno alla Torretta della famiglia Casaburi.

E qui la vita era piacevole e salutare per tutti gli ospiti, come ha ricordato con la solita abilità e la voce chiara e potente l’attore Pietro Paolo Parisi in veste talare.

Dopo il bagno di sole e di verde, il gruppo si è diretto nella zona alta di Rotolo, fino a Villa Marghieri, che oggi è un suggestivo condominio, ma una volta era abitata solo dalla famiglia Marghieri, all’interno della quale spicca la figura di Clotilde Marghieri, scrittrice di lusso della seconda metà del secolo scorso. Come ha spiegato Dario Cantarella, che ha anche letto alcuni suoi brani, è autrice tra l’altro di importanti, tra cui spiccano “Amati enigmi”, con cui vinse nel 1974 il Premio Viareggio, “Lo specchio doppio”, carteggio di trent’anni di scambi epistolari con il grande critico d’arte Bernard Berenson, e “Vita in villa”, un diario che la fece notare dal tutto il mondo della critica letteraria. Il primo e il terzo di questi libro, è giusto ricordarlo, sono stati pubblicati a suo tempo anche dal nostro Avagliano, sempre pronto a fiutare le opere di qualità e di successo.

Quindi, gran passerella finale a Villa Ricciardi, dal 1973 sede de “La nostra famiglia” (centro di rieducazione per bambini affetti da problemi neurologici) per donazione della famiglia Ricciardi. Con il suo grandissimo e spettacolare parco abbracciato alla collina e la svettante struttura architettonica incentrata su una deliziosa torretta, .è una delle ville metelliane più belle e affascinanti. Ed è anche una delle più ricche di storia. Basti pensare che è stata alla fine della seconda Guerra Mondiale sede del governo greco in esilio, ospitando tra gli altri il poeta Giorgio Seferis, futuro premio Nobel, allora soldato, che da qui scrisse un’ode bellissima alla nostra Cava, ricordata per l’occorrenza da Lucia Avigliano, come sempre sul pezzo quando si tratta di rievocare le storie cavesi.

In un angolo giardino a stadio, è stata ricordata dal prestigioso studioso e critico d’arte Vito Pinto la figura della grande ceramista polacca Irene Kowaliska, che ha soggiornato a lungo dalle nostre parti lasciando tracce splendenti della sua arte, come il magnifico pavimento decorato di Villa Ricciardi, da poco reso noto al grande pubblico ma realizzato nel 1939, di cui è stato esposto un frammento. È ricco di grazia, di atavica e quasi primitiva armonia, di moderne stilizzazioni in perfetto connubio con il realismo della ceramica tradizionale vietrese. Per di più con tratti simbolici evocanti l’identità ebraica crea un garbato ma netto e significativo elemento di contestazione nei confronti del nazismo, da cui lei e il compagno, Wegner, erano dovuti fuggire.

Al termine, la Kowaliska si è materializzata nella figura attoriale di Teresa Accarino, che con limpida grazia ha elevato il suo inno personale alla bellezza del colore, della creatività, della manipolazione della terra cotta, pura energia vitale.

Quindi, un congedo particolare, con l’estrazione di numeri tra i presenti per distribuire riproduzioni di piatti con figure della Kowaliska, opera del ceramista Falcone. A moltiplicare il tasso di emozione di una mattina già tanto carica di vibrazioni, il saluto emozionato di Yelena, una giovane ucraina che per varie vicende ha trovato a Cava una seconda famiglia. Affettuosissimo l’abbraccio da parte di tutto il pubblico, che con lei ha condiviso le terribili sofferenze della sua terra martirizzata. E per questo ha anche sottolineato con un caldissimo applauso il gesto della vincitrice di uno dei piatti, che lo ha donato proprio a Yelena. Per lei, un raggio di sole nell’acqua fredda di questi tempi… ma quanta speranza può essere coltivata in quell’abbraccio ed in quel piatto!

E così, nel segno proprio della speranza e della solidarietà, ci si è dati appuntamento per la visita del Borgo, il 3 aprile prossimo.

Il paesaggio continua a parlare, ma siamo noi che non dobbiamo mai smettere di ascoltarlo…

Salerno. In Provincia e in TV “Nel nome dell’amore”, di Vittorio Pesca: un inno alla Vita, contro l’uomo Caino

È andata più volte in onda nei giorni scorsi sull’emittente Telediocesi la ripresa integrale della presentazione del volume di poesie “Nel nome dell’amore”, decima opera del poeta e scrittore salernitano, di origini cilentane, Vittorio Pesca, per l’occasione illustrata dalla prestigiosa artista Alida De Silva. La manifestazione, svoltasi nella Sala Bottiglieri della Provincia di Salerno, è stata promossa dal Centro Artisti Salernitani, presieduto da Elena Ostrica, presentata da Michele Sessa e dal sottoscritto scrivente e allietata dalle musiche del violinista Felice D’Amico e del pianista Vittorio Bonanno. Oltre alle persone citate, sono intervenuti, a vario titolo di lettura e/o commento, Gina e Marco Pesca, Pina Sozio, Patrizia De Mascellis, Florinda Battiloro, Rosanna e Teresa Rotolo, Antonio e Gerardina Russolillo.

In questo volume c’è l’anima collante dell’intera produzione di Pesca. Nelle sue precedenti raccolte di versi o di prose, pur scegliendo quasi sempre specifici fili conduttori, come le radici di Piano Vetrale, l’esperienza di migrazione, il tempo, la famiglia, i sentimenti, la religione, la pace, li faceva gravitare sempre, in un modo o nell’altro, intorno ad un Sole ben preciso, cioè l’Amore. Perciò questa è la madre di tutte le raccolte, perché, pur conservando le classiche tematiche peschiane, è dedicata esplicitamente proprio all’Amore, ora per descriverlo, ora per cantarlo, ora per deplorarne la mancanza, ora per rimpiangerne la perdita.

Per lui l’Amore è aria, respiro, sapore, colore, è il cordone ombelicale della vita: è occhio dell’anima, chiave del cuore dell’essere umano in dolore. È la cosa più bella e graziosa al mondo, come egli la definisce con quello spirito di francescana semplicità e limpida sensibilità che fa parte del suo DNA.

I suoi versi, come sempre carichi di espressiva immediatezza, partono dal cuore, vengono filtrati dall’esperienza e tornano al cuore con la stessa genuinità con cui erano partiti., perché egli sente nel profondo la magia della vita, che gli addolcisce la rugiada del cuore, con la quale egli tende costantemente ad abbeverarsi.

Per lui comunque l’Amore non è statica contemplazione degli affetti o della bellezza o della natura, ma deve trasformarsi in inesauribile motore di vita, la cui messa in moto il poeta l’affida a quattro fonti cardinali di energia.

La prima è il rapporto con la propria persona: chi ha la forza di amare riesce ad avere fiducia in se stesso, a non avere mai paura per affrontare la vita.

La seconda è il rapporto con le radici della propria identità: per lui, come da sempre,queste si identificano con la famiglia, la terra natia di Piano Vetrale, con i due amatissimi genitori-maestri di vita, con la natura in generale e la campagna in particolare, con i valori che gli hanno trasmesso.

Basti citare al riguardo due delle tante bellissime illustrazioni di Alida De Silva, che ancora una volta ha confermato maestria assoluta del disegno e fantasia, delicatezza e sensibilità nel tocco, tali da generare delle vere e proprie poesie a colori. Ci riferiamo innanzitutto alla copertina, dove simbolo d’amore è Mamma Teresa, con lo sguardo serio della custode e la postura amorevole dell’affetto materno, esaltato dalla presenza di una colomba. Sullo sfondo, campeggia l’albero nodoso e fiorito, segno delle radici e della loro forza. Ed è naturale accoppiare a questa l’immagine emozionata di Papà Luigi, rappresentato con il volto di Vittorio da grande, mentre, affiancato al caro albero di famiglia, con aria amorevole trasmette i suoi insegnamenti a Vittorio bambino, che si abbevera alle sue parole.

La terza fonte di energia è il rapporto con gli altri e col mondo. Senza Amore non si può costruire e vivere la Pace, che fa parte del cuore, del perdono dell’altro e del tuo nemico peggiore. Senza la Pace nel cuore nasce l’uomo Caino, si scatena l’egoismo perenne in questo mondo, si perde la bussola del cuore. E scattano le guerre, le distruzioni, la devastazione dell’ambiente, le morti di quei teneri e innocenti batuffoli di vita che sono i bambini…

La quarta fonte è la tensione verso il cielo, verso il Signore e qusnto di divino ci circonda ed è in noi. Il poeta innalza costantemente un inno alla forza potente di Nostro Signore, che per lui è sorgente imprescindibile di calore, di gioia e di amore; è la nostra vita, la nostra morte e in suo nome la vita è sacra e come sacra deve essere vissuta,

Pesca crea un movimento che parte dall’io per giungere fino a Dio, attraverso un cammino colorato che si chiama Vita, a cui egli non manca di innalzare inni anche attraverso l’emozione del colore: ora l’autunno rosa, azzurro e oro, ora l’Amore del verde, ora il connubio tra natura e persona (Amo la rosa, la sua bocca rossa, le sue labbra di sposa”… ) e così via.

Tanto colore, insomma… e non a caso colore fa rima con amore… e il colore dell’amore è la garanzia più grande per dipingere un mondo migliore…

Salerno – Cava de’ Tirreni (SA). Piazza della Libertà e la violenza di genere in un video di Rosanna Di Marino e Anna Panariello

Una musica avvolgente e tambureggiante, quasi ad urlo di cuore, un montaggio rapido e a volte stordente, un’atmosfera inquietante in scuro chiaro, con dominanza di notturni, due volti di donna smarriti e dolenti per sottintese violenze e abusi, due corpi in camicione chiaro ora rannicchiati su se stessi, ora coperti di veli, ora nell’atto di togliersi il velo in un gesto liberatorio, inseriti spesso in uno scenario di gabbiosi reticolati, ad indicare lo stato di sottomissione e di prigionia in cui si trovano e da cui desiderano liberarsi.

Contestualmente, nella fase iniziale, ad indicare lo sbocco possibile rispetto a tali compressioni, domina Lei, la nuova monumentale Piazza della Libertà di Salerno, che, pur se ancora in fieri, ha aperto nuovi cammini e nuove spettacolari angolazioni, collegando il porto di Molo Manfredi e gli arrivi delle navi con tutto lo scenario meraviglioso e sterminato del Lungomare che si estende fin quasi alla Piana di Pestum.

Lei, la Piazza denominata col valore supremo della vita umana, è stata inquadrata con grande suggestione, in chiave notturna e con lo sfondo de Lungomare illuminato, dal basso e dall’alto, come da un aereo in atterraggio su grande aeroporto o percorrendo una pista piena di lucine che come stelle indicano la strada. Su queste luci si avviano le due donne, ancora in camicione, lentamente, senza veli o gabbie. È il sogno tarpato di un cammino di luce? È la strada ritrovata dopo l’inferno delle violenze? Forse ambedue, ma l’importante è il respiro di vita che da quel cammino si emana e da quei piedi nudi che sinergizzano con la terra.

Sono questi i due cuori di Ab-uso, la creativa performance video (recuperabile on line da You Tube), generata in occasione della Festa della Donna ma valida per ogni giorno dell’anna. A realizzarla, Rosanna Di Marino e Anna Panariello, due artiste di Cava de’ Tirreni che ci hanno abituati a produzioni del genere, sospese tra il provocatorio e l’indefinito, ma sempre impregnate da uno spirito di sensuale vitalità, da un contatto plurisensoriale con la materia e con l’ambiente, da un messaggio di denuncia contro le violenze di genere e contro le offese arrecate alla dignità della donna ed alla persona: inni alla libertà e alla vita.

Sono importanti, video del genere, perché non solo aprono o perseguono le nuove frontiere dell’arte e della comunicazione, fondate sulla creatività multimediale e trasmissibili integralmente on line, ma producono messaggi di luce tra le ombre di cui abbiamo costantemente bisogno in questi tempi di regressioni civili, politiche e umane. E lo fanno creando un rapporto stretto con l’ambiente urbano, che assume un’anima e dimostra di poterne avere anche altre, di anime, a seconda dello sguardo di chi lo rappresenta.

È bello questo spirito, perché permette di passare dall’Ab-uso all’uso e di far trasvolare l’uso stesso in un connubio carico di condivisione e di felice unione.

Ma sarebbe ancora più bello non aver bisogno di video di denunce di abusi, perché significherebbe non ci sarebbero abusi da denunciare…

Roma – Cava de’ Tirreni (SA). Monologhi teatrali nel nome di Settimia, reduce da Auschwitz e cittadina onoraria di Cava

La premiazione del concorso, giunto all’ottava edizione, si è svolta a Roma il 15 febbraio.


Il significato del Premio “Settimia Spizzichino e gli anni rubati”, giunto ormai alla sua ottava edizione, è di ricordare che cosa è stata la deportazione e lo si fa attraverso una forma d’arte teatrale. Con un monologo e pochi oggetti di scena, l’attore o l’attrice si pongono al pubblico con una storia. Sono tanti piccoli monologhi che riescono ad emozionare il pubblico, arrivando dritti ai loro cuori.

Il mio ruolo all’interno del Premio è quello di Giuria Storica e familiare. Ad affiancarmi prima c’era mia zia Carla Di Veroli e tutto questo è nato proprio grazie a lei e al direttore artistico Sasà Russo. La Giuria Storica non ha competenze tecniche o artistiche, che riguardano invece la Giuria teatrale, ma verifica la coerenza, anche emozionale, col vissuto ed è composta dai familiari di Settimia Spizzichino, in qualche caso integrata da esponenti della Comunità Ebraica”

A spiegarci la natura e gli obiettivi del Premio “Settimia Spizzichino e gli anni rubati, è Miriam Spizzichino, pronipote di Settimia, testimone diretta della Shoah, unica donna sopravvissuta ai lager tra i 1022 romani deportati dal ghetto il 16 ottobre 1943.

L’occasione è stata offerta dalla cerimonia di premiazione, svoltasi il 15 febbraio scorso al Teatro Antigone di Roma, alla quale però sfortunatamente non ha potuto presenziare causa Covid, ma era presente in spirito, in lettera di saluto ed in evocazione da parte del conduttore Sasà Russo. Così, come, con accenti commossi, è stata “reincorporata in sala” la figura e la persona di Carla Di Veroli, recentemente e precocemente scomparsa, nipote di Settimia e custode della sua memoria e fondatrice del premio, oltre che combattiva e ardente paladina della libertà, dei diritti e della dignità umana. In suo onore è stato introdotto il Premio Speciale della Giuria, che per l’occasione è stato consegnato al vincitore dal figlio Jonathan Limentani, venuto apposta da Israele, dove attualmente vive.

La serata finale, che ha previsto come sempre l’esecuzione dei sei monologhi finalisti, scelti tra oltre quattrocento e uno più coinvolgente dell’altro, è stata fluida, vivace, intensa, corposamente ricca di emozioni, e di stimoli culturali, storici e umani. Guidata con passione e ironia dal “presentattore” Sasà Russo, si è conclusa con la gioiosa consegna dei premi.

Si sono spartiti la parte del leone due monologhi: Il canto della cicala (primo premio assoluto “Settimia Spizzichino”, miglior attore, miglior testo) e Greta Hoffman (Gran premio speciale della Giuria “Carla di Veroli”, miglior attrice, miglior regia). È stata a nostro parere una spartizione buona e giusta, perché entrambi i lavori hanno letteralmente conquistato il pubblico in quei brevi ma intensissimi dieci minuti concessi ad ogni monologo.

Spiazzante, tenero, straziante, “Il canto della cicala” racconta con discrezione e incisività l’orrore della Shoah dall’angolazione di una cicala, che si rivolge direttamente ad un bambino deportato di cui si sente “amica”. Sono due fragili esserini dalle vite brevi: naturale per l’una, violentemente innaturale per l’altro, travolto dallo tsunami della crudeltà estrema. La dolcezza del feeling ideale tra la cicala e il bambino esprime la poesia bella e luminosa della vita, in contrasto con la quale si svela ancora più tetro e cupo il buio della violenza. Con un’idea del genere, era facile cadere nella retorica, ma questo non è avvenuto, sia per la letteraria e ammirevole leggerezza che caratterizza il testo di Elena Pelliccioni sia per la bravura dell’attore, Alessio Braconi, che ha sempre mantenuto pacati i toni riuscendo a trasmettere profonde emozioni attraverso leggere vibrazioni della voce e il colore dato alle parole.

Altrettanto feeling con il pubblico ha riscontrato il monologo Greta Hoffmann, di Giancarlo Moretti, recitato dalla bravissima Patrizia Bellucci con partecipata emozione e composta maestria attoriale. Anche qui non era facile conservare la misura, non essendoci neppure il varco della dimensione fantastica e dell’immaginazione. Sa di lacrime e di sangue la situazione della donna che dopo la perdita del marito in guerra si trova a combattere con i figli piccoli e con la mancanza di lavoro. Lo trova, il lavoro, e ne è felice. Deve tessere con dei fili che le vengono dati dalla direzione. Maneggiandoli, come se parlassero, sente da quei fili una strana percezione di dolore, fino a quando non prende coscienza che quelli sono capelli umani, che vengono dai campi di prigionia. Ed è una morsa che l’afferra fino al profondo del cuore, da cui però non può fuggire. È una progressione di emozioni che il testo e la recitazione riescono a trasmettere con un’empatia a battito di cuore. E quell’abbraccio con cui la mamma alla fine stringe i figli è carico di tutto l’amore, il dolore e l’impotenza che ognuno di noi prova di fronte alle violenze causate dall’uomo sull’uomo. E ne sappiamo qualcosa in questi giorni…

Pur se non hanno conquistati i podi più alti, gli altri monologhi non hanno certo sfigurato. Anzi, hanno colto pienamente nel segno anche loro, ognuno con la sua specificità.

Tutto questo silenzio, di e con Gabriele Zedde, è penetrato nelle ferite profonde della psiche attraverso un lacerante sdoppiamento di personalità nell’esercizio di una memoria “sanguinante”.

L’angelo del focolare, di Andrea Frediani, diretto da Laura Jacobini e interpretato da Donatella Esquino, con spiazzante provocazione, presenta una mamma imbevuta di retorica nazista che non si spaventa, anzi si inorgoglisce, davanti al volto inzaccherato di sangue del figlio adolescente, reduce dalla sua prima esecuzione nel campo: per lei è la prova che sta diventando “uomo”. Ma il suo atteggiamento genererà orrore anche nel suo compagno, un soldato nazista…

Una giornata buona, di Andrea Casanova Moroni, mette a fuoco il devastante tormento delle ore e dei minuti della giornata di un deportato, in cui anche un male minore può dare il senso di una giornata buona.

27 gennaio 1980”, di Fabio Rosato con Valeria De Vito, è la rivisitazione dell’esperienza del lager da parte di una ex deportata attraverso la memoria e il suo diario, nell’anniversario di una particolare “ri-nascita”.Come ha detto poi Jonathan Limentani, tante parole e percezioni di quel monologo facevano pensare ai pensieri e alle parole della zia.

La figura di Settimia, anche quando non era direttamente richiamata, aleggiava in permanenza nella sala del Teatro Antigone. Settimia è stata una delle voci più vive e pungenti della Shoah, una grande guerriera della memoria, che fin dal primo giorno del ritorno a casa ha gridato al mondo la sua rabbia e testimoniato l’orrore dei suoi anni rubati, perché il mondo sapesse, imparasse e non dimenticasse. A decine i suoi viaggi ad Auschwitz per accompagnare e raccontare, a centinaia le sue testimonianze nelle scuole, in incontri pubblici, sui media.

E quanti ricordi, e che scia e che valori ha lasciato pur avendoci lasciati! A lei sono dedicati a Roma un istituto scolastico, un francobollo nazionale e il ponte più moderno sul Tevere. La memoria visiva della sua esperienza è contenuta nel film monografico “Nata due volte”, realizzato da Giandomenico Curi. La sua testimonianza diretta si trova nel volume “Gli anni rubati” (da cui il nome del Premio) e pubblicato in tre edizioni dal Comune di Cava de’ Tirreni, città di cui lei è cittadina onoraria, che le ha intitolato una strada e quando può continua a testimoniarne la memoria.. Il ricordo più dettagliato dei suoi ritorni al lager è in “Cioccolato ad Auschwitz”, diario romanzato di un viaggio fatto da studenti e cittadini di Cava de’ Tirreni con lei ed altri romani, reduci o familiari. A Cava, era diventata “di casa” e qui, nelle persone che l’hanno conosciuta da vicino, ha lasciato una scia profonda di amicizia, di affetto e di ricordi che dura e durerà nel tempo.

E poi, naturalmente, c’è il Premio Settimia Spizzichino e gli anni rubati: che è un memoriale della figura di Settimia, è un ponte della memoria che attraversa le generazioni. Ben pochi tra i partecipanti al concorso avevano conosciuto Settimia o gli altri reduci. Eppure hanno fatto i conti con la loro testimonianza e con le loro “lezioni”.

Per tutto questo, il Premio “Settimia Spizzichino e gli anni rubati” non è un premio qualsiasi, ma un premio necessario. Almeno per gridare e continuare a gridare fino allo sfinimento contro tutti gli anni rubati di ieri, di oggi e di domani.

E sarebbe ben felice il giorno in cui si smettesse di gridare perché non ci sono più anni rubati … ma purtroppo la madre dei ladri di vita è sempre incinta …

Cava de’ Tirreni (SA). Premiate a Palazzo di Città le Donne Coraggio del Premio Mamma Lucia 2022

Sono Barbara Pierro avvocato di Scampia, Laura Silvia Battaglia e Bianca Senatore, giornaliste free lance.


Incontri e riflessioni ad alto tasso di interesse e di emozione sabato 19 febbraio, a Palazzo di Città di Cava de’ Tirreni,, per la settima edizione del Premio Mamma Lucia alle Donne Coraggio

Il riconoscimento, come è noto, è destinato a donne che a livello nazionale e internazionale si siano particolarmente distinte nella vita sociale e attraverso i media come testimoni attive di solidarietà, difesa dei diritti umani, cultura di pace, sul modello della “maternità universale” di Mamma Lucia, la nostra carissima “Madre dei caduti”, che recuperò nel territorio i corpi di circa seicento soldati, morti durante la Seconda Guerra Mondiale nella “Battaglia di Cava” tra gli Alleati appena sbarcati e i Tedeschi appostati sulle alture costiere.

Nel corso della cerimonia hanno portato il loro saluto: Armando Lamberti (Assessore alla Cultura del Comune di Cava de’ Tirreni), Mons. Orazio Soricelli (Arcivescovo dell’Arcidiocesi Amalfi Cava de’ Tirreni), Antonio Armenante (Fondatore del Premio e Presidente del Punto Pace), don Francesco Della Monica (Presidente della Caritas Diocesana), Giuseppe Mazzotta (Presidente del Lions Club Cava de’ Tirreni) Ester Cherri (rappresentante del Rotary Club Cava de’ Tirreni), Ferdinando Castaldo D’Ursi (Presidente dell’Associazione “Eugenio Rossetto”), Francesco Romanelli (Presidente dell’Associazione Giornalisti “Lucio Barone”), Felice Scermino (Presidente del Comitato “Figli di Mamma Lucia”, per il nascente Museo a lei dedicato). Ha condotto la manifestazione il sottoscritto scrivente, Franco Bruno Vitolo, Presidente dell’Ass. VersoCava.

Dal Comitato Organizzatore, formato dalle associazioni Punto Pace Pax Christi, Rotary Club e Lions Club sezioni di Cava de’ Tirreni, Caritas Diocesana, Eugenio Rossetto, VersoCava, il premio per la sezione Con l’occhio delle donne è stato consegnato a Barbara Pierro, avvocato di Napoli che da quasi venti anni, attraverso la sua partecipazione professionale e umana e nell’ambito dell’Associazione “Chi Rom e chi no” (premiata con lei e da lei fondata con altri “pionieri”), esercita un’opera di profonda vitalizzazione e socializzazione della periferia, nel quartiere di Scampia, anche e soprattutto a sostegno dei diritti degli emarginati e a beneficio di una feconda osmosi interculturale. Ad accompagnarla, Emma Ferulano, un’altra fondatrice di quest’associazione, che con lei ha presentato il libro “Chi rom… e chi no”, un pamphlet illustrato, vivace e comunicativo, che presenta i progetti e le tante attività di ieri, di oggi… e di domani, dai work shop alle iniziative culturali alla formazione all’aperto, dall’ascolto socializzante all’innovativo Ecomuseo nascente. Insieme, le due giovani donne hanno offerto una testimonianza intensa del vivere una comunità solidale e un’edificante lezione di vita, che induce anche a rivedere i pregiudizi tanto diffusi su territori e quartieri come Scampia bollati da una stereotipata immagine negativa.

Il Premio per la Sezione Carmela Matonti, destinato alle donne coraggio “mediatiche” e dedicato alla donna che aiutò Mamma Lucia nei primi scavi di soldati caduti, è stato assegnato a Laura Silvia Battaglia, giornalista free lance di Milano, da anni testimone diretta di eventi e situazioni relative a territori particolarmente travagliati del nostro pianeta, in particolare dello Yemen, dove da anni una tremenda “guerra dimenticata”, grazie anche a dolorose infiltrazioni “dall’esterno”, devasta, insanguina, contamina tutta la popolazione e tutte le età, compresi i bambini, “vittime sacrificali” e a volte perfino coinvolti in prima persona col fucile tra le mani. Non solo Yemen, però, per la Battaglia, e non solo Medio Oriente o Africa, ma anche tante ricerche e studi sul campo nel nostro territorio ed anche docenze di specializzazione giornalistica: un’attività che ne ha fatto una delle più autorevoli e ricercate professioniste del settore.

Un premio speciale del Comitato è stato assegnato a Bianca Senatore, cavese d.o.c. , giornalista free lance residente a Milano, che negli ultimi tempi si è distinta in campo nazionale, ricevendo anche prestigiosi riconoscimenti, per dei reportage “dal vivo” di eventi drammatici, come la situazione dei profughi sospesi tra i confini di Ucraina e Bielorussia e quella dei migranti della “Ocean”, costretti a rimanere sulla nave in attesa del permesso di sbarco. La qualità dei suoi servizi, già garantita dal prestigio degli editori (tra i quali L’Espresso e Radio Popolare), emerge a tutto tondo dalla lettura o dall’ascolto diretti. Gli scenari e le situazioni da lei raccontati sono messi a fuoco con cinematografica efficacia: sequenze a tutto campo e “inquadrature” in primo piano, sostenute da una scrittura di giornalistica pregnanza, senza effetti speciali, ma in grado di smuovere il giusto tasso di emozioni e riflessioni.

Al termine della manifestazione, ciliegina su una torta già ben gustosa, i bambini “pulcini ballerini” del gruppo scuola “Emozioni in volo” hanno intenerito un pubblico già “cardiobattente”, danzando deliziosamente sulle note e sulle parole de “La cura” di Franco Battiato: un testo perfettamente in tema, con quelle donne coraggio che hanno saputo “superare le correnti gravitazionali”…

Ci si è salutati con un abbraccio ideale carico di calore: un giusto sole di pace e di solidarietà nell’acqua gelida di questi giorni infestati da venti di guerra. E che quei raggi di sole arrivino presto anche lì, dove si spara e si soffre.

Beato il paese che non ha bisogno di Mamme Lucie che scavino i corpi dei caduti di guerra sulla sua terra …