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Alla mediateca una mostra sulle strade statali: la prima in italia. Cinquantadue belle fotografie con la firma della storia

CAVA DE’ TIRRENI (SA). Con inaugurazione alle 17,30 di sabato 14 gennaio p.v., fino a domenica 21 gennaio, sarà esposta presso la mediateca in Cava de’ Tirreni, nella Piazzetta Nicola Di Mauro, la mostra Le Vie nazionaliViaggio fotografico alla scoperta delle Strade Statali dell’Italia del Sud, di Licio Pallino.

Nel corso dell’inaugurazione interverranno: il Sindaco di Cava de’ Tirreni, Vincenzo Servalli; il Dirigente della Mediateca Marte Rosario Memoli; l’autore della mostra, Licio Pallino; il Dirigente regionale dell’ANAS Francesco Gabellone; l’autore delle didascalie, Franco Bruno Vitolo, che farà anche da conduttore della manifestazione.

52 fotografie ognuna corredata da didascalia, 35 strade statali e altrettante cartine illustrative: è la prima volta che una mostra del genere viene esposta in Italia.

L’autore, il caveseLicio Pallino, ha selezionato le foto in esposizione tra le centinaia scattate durante i suoi viaggi di lavoro (è entomologo area manager di una multinazionale olandese.) nei percorsi lungo le strade statali del Sud (quelle istituite nel 1928), oggi spesso disusati, ma da lui preferiti alle autostrade per poter entrare in piena sintonia con il territorio.

In particolare, egli si è concentrato sulla scoperta delle case cantoniere che tuttora costellano queste strade, alcune delle quali brillantemente restaurate e conservate, altre invece in pieno degrado e meritevoli di miglior sorte e di uso ben più produttivo. Inoltre è andato alla scoperta dei significativi segni della Storia che ancora si ritrovano lungo le nostre statali. Tra questi, la dogana borbonica di confine tra Regno delle due Sicilie e lo Stato della Chiesa, o l’ottocentesco ponte di ferro sul Garigliano, il primo costruito nell’Europa continentale (tra l’altro con materiale proveniente dalle ferriere del cavese Carlo Filangieri, figlio del grande filosofo Gaetano), o il cippo in memoria di un carabiniere ucciso dai briganti, o la Fontana del Re, usata per gli spostamenti di corte, e così via.

A rendere ancora più attrattiva la mostra, il fatto che, oltre alla valenza culturale e documentaria, le immagini hanno tutte le qualità di bellezza estetica delle foto di esposizione: inquadrature molto creative, uso particolarmente dinamico del grandangolo e delle scale di grigi, profondità di campo chiare ed a tratti “vertiginose”, tonalità di colore vagamente shocking, immagini capaci di “bucare” la tela anche quando si tratta di semplici case cantoniere mezzo diroccate. Basti citare, a titolo di esempio, il taglio grandangolare dal basso sotto un cielo cobalto della Casa sulla Casilina, o la seppiatura totale di una Cantoniera immersa tra le foglie già naturalmente in seppia

Insomma, è la mostra che non c’era, una mostra con un’anima profonda, dettata dalle emozioni visive e dalle sollecitazioni culturali di un “commosso viaggiatore”. Una mostra originale tutta da gustare, capace di arricchire il cuore e la mente ed anche di offrire lo stimolo a viaggiare, e camminare, utilizzando di più gli occhi e meno la fretta da stress che ci divora ogni giorno di più …

“Amministrazione stabile e lavori in corso”: nella conferenza stampa di fine anno il Sindaco Servalli ostenta un moderato ottimismo sulle prospettive di medio termine

conf-stampa-fine-anno-sindaco-servalli-dicembre-2016-cava-de-tirreni-vivimediaCAVA DE’ TIRRENI (SA). In disinvolto maglione e pantalone sportivo, il Sindaco di Cava Vincenzo Servalli si è presentato ai giornalisti per la conferenza stampa di fine anno, che, più che un contraddittorio a domande e risposte, è stato un lungo ed ampio discorso sulla situazione generale della Città e sulle prospettive dell’immediato futuro.

Il Sindaco ha cercato di offrire un quadro il più possibile rassicurante, senza minimizzare i limiti imposti dalla crisi e dalla china decadente del paese, ma anche senza rinunciare ad evidenziare le non poche luci, accese, nello specifico metelliano, dalle opportunità turistiche e “storiche” offerte dalla nostra Città, dal fermento vivo del suo tessuto commerciale e culturale, e, perché no?, dalla stabilità politica attuale, che le garantisce un po’ di respiro dopo tante fibrillazioni e cadute degli ultimi anni ed anche rispetto agli sbandamenti che si intravedono in tanti comuni viciniori e nazionali.

Secondo il suo stile sobrio e alieno da esclamativi trionfalismi, il Sindaco ha esaminato le questioni più impellenti, senza particolari omissioni, tranne quella, comunque significativa, sui buchi e sulle prospettive dell’imprenditoria aziendale, che, tranne poche eccezioni, cammina sempre su creste di onde instabili, tra poche emergenze e resilienze e purtroppo non poche decadenze e delocalizzazioni.

Comunque, si è trattato di un incontro sereno, senza polemiche “di stampa”, tranne l’intervento di Livio Trapanese, con l’invito rivolto ai colleghi giornalisti di essere presenti sui luoghi dei fatti senza privilegiare l’acritico copia e incolla, e la puntatina ironica dello stesso Sindaco sui titoloni dei giornali che deformano artatamente le vicende, come l’ultimo del Mattino, che parlava di fantomatiche, e presto smentite, risse e cosettine hard verificatesi alla vigilia di Natale.

Punto fermo di partenza, la questione dell’ospedale. Il Sindaco da una parte ha riconosciuto il dovere civico dell’opposizione e della protesta da parte dei gruppi che hanno organizzato la manifestazione in difesa del reparto di ginecologia e delle strutture mediche metelliane, ma dall’altro ha ”rilanciato”, sostenendo che l’esito della lunga questione merita più soddisfazione che mugugni. Infatti, a compensare la chiusura di un reparto che oggettivamente non poteva neppure lontanamente raggiungere i parametri richiesti dalla legge (trecentocinquanta parti all’anno a fronte di mille richiesti!), c’è la soddisfazione del garantito riconoscimento di novantuno posti letto, con relativa copertura strutturale ed occupazionale. Confrontando questo con l’azzeramento di posti letto stabilito tempo fa e con il blocco delle assunzioni che soffocava di fatto le potenzialità operative e sottraeva le risorse umane necessarie, pur se non si può gioire, almeno si può tirare un buon sospiro di sollievo.

Nel campo delle operazioni strategiche, tra le priorità il Sindaco ha indicato con decisione il Piano Urbanistico: il PUC, questo dimenticato… Oramai se ne impone l’impellenza: sono troppi anni che la Città l’attende e ne ha vitale bisogno. Occorre quindi prima di tutto recuperare le carte lasciate dall’Arch. Gasbarrini qualche anno fa, al termine dello studio ordinato dal Sindaco Gravagnuolo, e poi mettersi subito al lavoro per dare finalmente un indirizzo chiaro allo sviluppo della Città.

Intanto si deve provvedere alle opere pubbliche in sospensione, che possono diventare un nuovo cuore pulsante per la collettività. Prima di elencarne le priorità, il Sindaco ha prodotto una dura polemica contro la Sovrintendenza, che, anziché salvaguardare, finisce a volte col creare lacci e freni (vedi l’eccessiva pignoleria per la rifinitura intonacale della “non storica” scuola di Santa Lucia). Servalli non ha mancato di punzecchiare il suo predecessore, sia per le irregolarità di costruzione dello sguinzagliatoio tali da impedirne l’autorizzazione all’uso, sia per il macigno inutile del pagamento del debito per l’improduttivo e insano acquisto della COFIMA. Quanto alle opere da completare, spiccano il Palasport, che sarà trasformato in Palaeventi, e il complesso di San Giovanni, in cui tra l’altro nasceranno il Museo Civico, il Museo di Mamma Lucia e il teatro di centoventi posti. Per quanto riguarda Villa Rende, lo stadio avanzato dei lavori è stato bloccato purtroppo dalla scoperta della “non pulizia” di una delle ditte appaltatrici. Una volta sciolto il nodo, i locali saranno utilizzati per un centro di sviluppo delle attività musicali.

Una grande soddisfazione il Sindaco l’ha dichiarata per l’assegnazione di quarantaquattro alloggi e la constatazione che oramai solo dieci famiglie sono ancora ingabbiate nei prefabbricati. È la soddisfazione che nasce da ogni scelta volta a sostenere i più deboli. A questo riguardo il Sindaco ha sottolineato la grande operatività dell’Assessorato alle politiche sociali e l’arrivo in porto del Progetto di vita indipendente, un’iniziativa di avanguardia che permette a giovani disabili di raggiungere l’autonomia lavorativa e abitativa.

Non è mancata un’attenzione particolare per le attività e i ruoli strutturali e strettamente amministrativi, tra i quali spicca la necessità di nominare finalmente un Comandante di Polizia stabile e di sbloccare i concorsi per avere un numero di dipendenti adeguato. Devono andare in sblocco anche i concorsi per l’assunzione di nuovi geometri e ragionieri. E poi, bisogna lavorare di fino sul Bilancio, perché le risorse economiche sono quello che sono e, nonostante il gran lavoro dell’Assessore Salsano, bisogna sempre barcamenarsi con il ripiego di fare la frittura con l’acqua fresca.

Non è acqua fresca, ma tutta sostanza, invece, la stabilità politica che ha garantito serenità e qualità al lavoro dell’Amministrazione: nessun cambio di assessore, sostanziale concordia e affiatamento, positivo spirito di squadra. Ora però sta venendo al pettine un nodo non indifferente: la scelta dell’UDC di sganciarsi, per alcune operazioni significative, come le candidature alle provinciali, dalle scelte della maggioranza. Il Sindaco ha detto chiaramente che non si può tenere il piede in due scarpe: disponibilità piena, ma anche ferma richiesta di chiarezza. Del resto, come lui spesso puntualizza, la sua mitezza non significa debolezza, anzi… Per lui è una forza, la forza dei nervi distesi…

In conclusione, il Sindaco ha chiesto, per ogni commento positivo o negativo, di tenere presente che sono in atto “lavori in corso”: i semi in germoglio non mancano. Chiaro l’invito ad evitare giudizi pregiudiziali o preconcetti. Ma è anche chiara l’attesa della popolazione che le premesse e le promesse elettorali, pur se opportunamente non eclatanti, continuino il loro cammino più o meno sicuro e si traducano in fatti visibili e concreti. L’anno prossimo i lavori dovranno essere in gran farte non più in corso, ma fuori corso. Altrimenti la conferenza stampa di fine anno sarà un po’ meno serena di quella del 2016…

Buoni lavori, Sindaco Servalli! 

Domenica 18 e lunedì 19 dicembre in scena “Novecento”: un racconto meraviglioso, una metafora emozionante, una grande sinfonia scenica. Ne parliamo con la regista, Clara Santacroce

01-clara-santacroce-renata-fuscoCAVA DE’ TIRRENI (SA). Sedicesimo Autunno cavese, l’annuale rassegna organizzata da Temprart -Teatro Arte Tempra di Clara Santacroce e Renata Fusco (insieme nella foto). Dopo gli splendidi esiti degli shakespeariani La dodicesima notte e Shakespeare in lab, ora è in programma un grande ritorno: Novecento, di Alessandro Baricco, la straordinaria storia di un uomo che è nato su una nave da crociera e da lì non scende mai, imparando a conoscere la vita dagli spicchi di mondo che passano per la nave e riuscendo ad esprimere le sue emozioni con la tastiera del pianoforte, con la quale ha un trascinante rapporto ematico. Ne fu fatto uno spettacolare reading agli inizi dell’avventura del gruppo Arte Tempra.

Nell’edizione di tanti anni fa, si trattava di una lettura spettacolo: gli attori non recitavano, ma a turno leggevano, con movimenti e a tratti si sublimavano in movenze di danza, che occupavano la parte anteriore della scena, alle cui spalle dominava un grande velo che evocava una nave, al cui interno si stagliava l’ombra di un pianista (Julian Mazzariello, agli inizi di una grande carriera), che accompagnava dal vivo l’azione e le parole e si produceva in emozionanti assolo, come richiede il testo. Tutt’altro spettacolo, invece è il nuovo Novecento.

Ne parliamo con la regista di ieri e di oggi, Clara Santacroce.

Sono cambiate tante, tante cose, rispetto al Novecento di quindici anni fa. Vero?

È vero. È tutto un altro spettacolo. In comune con il precedente, sono rimasti la scenografia fortemente evocativa, con il velo – nave che racchiude l’ombra del pianista, la fedeltà piena al testo, sul quale viene fatta solo qualche piccola ricucitura, ma senza cambiare nessuna parola,. E la musica dal vivo, che sarà affidata ad un prestigioso Maestro come Lucio Grimaldi, un signore dei tasti ricco di inventiva, nello stile del protagonista del romanzo, Novecento.

E gli attori?

Gli attori recitano narrando e narrano recitando e contestualmente fanno anche da spettatori, tutti.

Insomma, un’affabulazione corale di spettattori e narrattori?

A parte il gioco di parole, proprio così. La vicenda viene rievocata da un gruppo di persone che se la raccontano sotto forma di conversazione, non come novità, ma come ri-scoperta. Appare chiaro infatti che la conoscono già e che ne sono rimasti affascinati, tanto è vero che parlano con appassionato interesse e si inseriscono nel discorso con il tono di chi aggiunge sempre il piccolo particolare illuminante.

Sulla base dello stile Arte Tempra e di quanto finora anticipato, dobbiamo dedurre che si tratterà di uno spettacolo sinfonico e “plurisensoriale”?

Questa è la mia intenzione. La parola e la voce sono fondamentali, ma la protagonista vera sarà la musica, come suggerisce il testo di Baricco, come è nelle corde di Novecento, che sente e parla con i tasti. E non dimentichiamo il gioco delle luci, che, grazie anche alle moderne tecnologie, permette una vera e propria, benefica “farmacia di colori”.

Come tutti i capolavori, e Novecento possiamo tranquillamente considerarlo tale, una vicenda può avere vari livelli di lettura. Quali la regista Santacroce ha privilegiato nello spettacolo?

Innanzitutto, la musica, come già ho detto: è un linguaggio universale, uno di quelli che necessitano di meno mediazioni per l’acquisizione e l’impatto.

Nel nostro caso, c’è il valore aggiunto delle note di Ennio Morricone, che hanno nobilitato il film di Tornatore La leggenda del pianista sull’Oceano, tratto proprio da Novecento.

Certamente, ma posso anticipare che ne saranno evocati solo i temi principali. La “nostra” colonna sonora svaria su più terreni.

Altri livelli di lettura?

Senz’altro, l’immaginazione. Un’intuizione geniale di Baricco, quella di creare un personaggio che nasce e vive su una nave e conosce il mondo solo attraverso i racconti e gli sguardi delle migliaia di persone che nel corso degli anni salgono e scendono da essa. E non scende, perché il mondo è troppo grande per poterlo abbracciare con uno sguardo totale. Con l’immaginazione, si può cogliere anche l’infinito, come faceva Leopardi dietro quella siepe.

E allora, voleremo nell’infinito anche noi, dalla platea?

È quello che ci auguriamo tutti. Per “volare” insieme …

“Shakespeare in lab” dell’Arte Tempra: e l’Autunno cavese ricrea i colori dell’anima nella magia del teatro

CAVA DE’ TIRRENI (SA). Shakespeare in lab: intriga fin dal titolo il secondo spettacolo messo in scena il 4 e 5 dicembre, presso l’Auditorium De Filippis di Cava de’ Tirreni, nell’ambito dell’Autunno cavese, la rassegna teatrale organizzata come sempre dalla compagnia Teatrart Arte Tempra, diretta da Clara Santacroce e Renata Fusco.

Il nome del grande drammaturgo, al quale è dedicata la manifestazione di quest’anno nel cinquecentesimo anniversario della morte, è già di per sé una garanzia. Il termine in lab, se da una parte richiama spiritosamente il titolo del famoso film interpretato da Gwyneth Paltrow e Joseph Phiennes, dall’altra lascia intendere che i testi “superclassici”, sottoposti a laboratorio, saranno rivissuti e ricreati, ma, come nello stile Arte Tempra, profondamente rispettati.

E così è stato. Questo percorso sperimentale nell’opera di Shakespeare, realizzato in piena simbiosi tra coralità di base e fioriture di individualità, ha svariato dalla Bisbetica domata a Molto rumore per nullaRomeo e Giulietta, da Amleto e Macbeth ai sonetti, da Otello al Racconto d‘inverno. E, a parere nostro e del pubblico in sala, il risultato è stato anche superiore alle pur benevole aspettative dettate dall’acclarata qualità della compagnia.

Le due ore filate, giustamente senza intervallo, ci hanno regalato uno spettacolo in avvolgente crescendo, che è penetrato nello sguardo, nel cuore e nella mente, così come con teatrale evidenza Shakespeare era penetrato nella persona del magnifico ed affiatatissimo gruppo di attori, che, ognuno dando il meglio di sé, hanno fatto esplodere tutta la varietà dei colori dell’anima che emerge dai testi del “grande bardo”. Attori che, pur giovanissimi, hanno già alle spalle lunghi anni di studio, di crescita e, soprattutto, di esperienza di teatro vero, con la T maiuscola.

Nel caso di Shakespeare in lab, il valore aggiunto è stato merito del metodo.

Innanzitutto, i frammenti, i sonetti, i monologhi e i dialoghi sono stati scelti liberamente da ogni singolo attore secondo la propria sensibilità e in corrispondenza dell’eco che parole scritte cinquecento anni fa possono ancora suscitare sulle corde interiori di un giovane del XXI secolo.

Detto così, potrebbe sembrare un semplice assemblaggio di testi antologici. Niente di tutto questo. Anzi…

Merito del curatissimo ed appassionato lavoro di approfondimento, di cuciturà e di complice condivisione che la regista Renata Fusco è riuscita a tessere insieme con i suoi ragazzi .La scelta dei pezzi è avvenuta dopo un approccio seminariale all’autore e al suo tempo ed il collegamento tra di loro è stato il frutto di una ricerca collettiva. In esso, grande parte hanno avuto proprio le intuizioni, a volte geniali, dei protagonisti, ben assecondati dall’entusiasmo creativo della regista, sempre da parte sua ribollente di fervore scenico ad energia ricaricabile.

Per meglio inserire questo mosaico, la Fusco ha creato una cornice ad alto effetto. Ha previsto un gioco di luci “protagonista”, vario e costantemente adattato alle situazioni, favorito dalla modernissima tastiera a led, manovrata ottimamente da Clara Santacroce, per l’occasione diventata “pianista delle luci”. Un assaggio si è avuto fin dal prologo, quando gli attori, tutti in scena, hanno recitato versi legati alla forza creativa del teatro, della poesia, dell’amore, con leggere movenze circolari, mimando i gesti e i sentimenti che metteranno in scena, come passioni e suicidi. E intanto tenevano in mano candelabri dalla luce tenue, sotto un’ombrata luce azzurrina, quasi ad aprire la danza di un esplorazione nelle caverne del cuore.

La Fusco inoltre ha ipotizzato una scenografia semplice e duttilmente adattabile alle circostanze, con un rialzo centrale che, senza alcun supporto particolare e grazie anche alla magia evocativa della finzione scenica, si trasformava ora in tribunale, ora in trono, ora in letto nuziale, ora in catafalco funebre, e così via.

Ha accompagnato scene e passaggi con un sottofondo musicale senza facili effetti anacronisticamente romantici, ma tutto basato sulla comunicativa eppur intensa discrezione delle note cinquecentesche e seicentesche, scelte con la saggezza di chi come lei è abituata a nuotare nel mare delle antiche consonanze.

In questa cornice così ben tornita, monologhi, dialoghi e battute di collegamento si sono innestati felicemente formando non un puzzle, ma un insieme unitario. E qui entrano in gioco i collegamenti e le evocazioni sceniche.

La parte iniziale è stata dominata da vivaci duelli verbali, in cui è emersa la freschezza di Maria Luisa Mollo e Gerardo Senatore, che, evocando Beatrice e Benedetto nelle citazioni da Molto rumore per nulla, hanno saputo fare “il rumore giusto”, ben assecondati dal corale accompagnamento degli altri interpreti. Subito dopo si sono scatenate le diatribe verbali in chiave Bisbetica domata e Romeo e Giulietta su uomini e donne, matrimonio e “libertà”, sottomissione e ribellione. A turno, sul trono tribunalizio, il sesso maschile e quello femminile e poi tutti e due insieme, con gli altri a fare da “spettattori”, con i personaggi principali, interpretati da più attori contemporaneamente, con battute della stessa scena tratte da traduzioni diverse. Il tutto introdotto da un momento corale in cui il testo italiano aveva come controcanto la originale versione in lingua inglese. E monologhi e dialoghi sprizzavano con una vivacità che attraversava i tempi ed era favorita dalla grinta attoriale e dalla divertita e divertente gommosità delle espressioni visive dei bravissimi contendenti, in particolare la doppia coppia di doppi, Giuliana Carbone e Luciana Polacco vs. Gabriele Casale e Luca Senatore.

Forse il momento più alto del mix creativo si è riscontrato nella seconda parte, quando l’amletico essere o non essere, con dolce ed empatica drammaticità interpretato da Pasquale Senatore prima in un angolo e alla fine al centro della scena, è stato frammentato ed intervallato da momenti che evidenziavano grandi conflitti interiori e tremende scelte. Tra questi, incastonato nell’amletico dubbio, tra l’aleggiare di bianchi veli polivalenti, il tormentato assassinio di Desdemona da parte del gelosissimo Otello (dopo il suo lacerato e bellissimo monologo di “Spegniti, torcia!”), in un duetto “da brividi”, intenso e serrato, dolce e violento, catartico e disperato, reso da Gabriele Casale e Giuliana Carbone con una maturità di movenze e di toni ed una forza espressiva da talenti assoluti.

Quindi, due colpo di genio.

Il monologo della pazzia di Ofelia, che prelude al suicidio, è stato interpretato, con stranita disperazione ben variate tonalità e con convincente pathos, dallo stesso Pasquale Senatore-Amleto (doppio di Ofelia, oltre che maschio nel ruolo di donne, come era d’uso nell’epoca), accanto al corpo di Desdemona, adagiata però tra i veli in modo da far pensare al famoso quadro preraffaellita e quindi da evocare proprio la successiva morte di Ofelia.,

All’improvviso però “resuscita” Desdemona, appena uccisa ed avvolta in un sudario di veli bianchi, e si produce nel monologo di Ermione dal Racconto di inverno, che, per una coincidenza forse anche voluta dall’autore, trattando di una gravidanza innocente accusata ingiustamente di adulterio, comprende tutto quello che Desdemona avrebbe voluto e non ha potuto gridare. Giuliana Carbone qui si colloca in posa statuaria, con accenti e atmosfere stavolta da tragedia greca, che evidenziano ancor più la forza della parola di una donna che diventa in quel momento emblema dei soffocamenti subiti da tutte le donne della storia.

In questa magica mescolanza di persone diverse ed uguali, in un’atmosfera di continua sospensione tra vita e morte (ulteriormente rafforzata dal monologo del finto suicidio di Giulietta, recitato con dolce, tremante e speranzosa passione da Francesca Senatore), ecco l’apparire di spiriti neri ed il passaggio dal bianco dei vestiti all’oscurità dei panni. Così, sempre con piccoli intervalli amletici, veniamo immersi nell’esplosione espiatoria di Macbeth e della sua Lady, in preda ai rimorsi ed alle paure per i delitti che la loro ambizione di potere ha scatenato in loro.

Anche qui, brividi sulla pelle, grazie al gioco congiunto di movimenti corali, di luci, colori e suoni, illuminato dall’interpretazione “bucascena”, da applausi, di Lady Grinta Luciana Polacco e di Luca Senatore, intensi e coinvolgenti, oramai ben “temprati” nel ruolo di primo piano che si sono guadagnati con le loro recenti performance sulla scena.

Quindi, i nodi arrivano al pettine con il canto a voce flautata di Pasquale Senatore sul corpo femminile oramai inerte, il monologo di Pasquale Senatore-Amleto in estensione totale e la dolorosa meditazione sul senso della vita, assurdità raccontata da un idiota, modulata con dolente e convincente malinconia da un Luca Senatore-Macbeth oramai vicino alla morte.

Tutti i magnifici attori, a questo punto, si possono lentamente riconcentrare con le loro candele intorno al piccolo trono scenico centrale, ma la luce ora è più chiara del misterioso azzurro ombrato della scena iniziale.

Il viaggio nei colori dell’anima è giunto al suo provvisorio compimento. Ed è stato un cammino dall’ onda lunga, come si nota, a luci riaccese, sui volti degli spettatori, sospesi tra lo slancio di applausi convinti e sinceri e l’ondata appassionata suscitata dai bellissimi versi di Shakespeare e dalla sinfonica magia che queste due ore hanno saputo creare.

È bello comprendere quanto siamo fortunati in Città a poter godere i frutti del lavoro di due regine dello spettacolo come Clara Santacroce, maestra di musica e di scena, e Renata Fusco, che, non dimentichiamolo, è un’artista di livello internazionale, con un curriculum da applausi a scena aperta.

Insomma, è bello sapere che l’Arte Tempra c’è.

Coccoliamocela. Non tutti ce l’hanno …

Inaugurato nella Chiesa della Congrega il dittico “L’Immacolata colomba candida della nostra liberazione”, di Enzo Avagliano: un’opera che guarda lontano

02-enzo-avagliano-artista-dicembre-2016-cava-d'-tirreni-vivimediaCASTEL SAN GIORGIO (SA). L’Arciconfratenita Maria S.S. Immacolata di Castel San Giorgio ha celebrato il cammino che porta all’8 dicembre con un evento artistico di forte valenza simbolica e spirituale, cioè con il disvelamento, nella Chiesa della Congrega, del dittico dell’Immacolata Colombacandida della nostra liberazione, del pittore e scultore Vincenzo Avagliano, originario di Cava de’ Tirreni, ma da anni sangiorgese di residenza e di adozione, oltre che accolito dell’Arciconfraternita.

Il 27 novembre, giorno dell’inaugurazione, per felice coincidenza, secondo il culto mariano è anche il giorno dell’apparizione nel 1832 della Vergine a Parigi alla vincenziana Caterina Labouré, apparizione al termine della quale donò una medaglia che, oltre che segno divino, fu subito considerata miracolosa perché due anni dopo, secondo la tradizione, fece guarire molti cittadini colpiti dal colera durante la terribile pestilenza che tanto danno causò alla capitale francese.

L’8 dicembre, nella tradizione cattolica, è il giorno dell’Immacolata Concezione di Maria, che, contrariamente a quanto pensano alcuni fedeli non sempre ben informati sulla propria religione, non ricorda il concepimento di Gesù Cristo da parte di Maria “da vergine”, ma il concepimento di Maria stessa da parte di Sant’Anna senza la macchia del peccato originale. Non a caso, l’8 dicembre cade giusto nove mesi prima dell’8 settembre, Festa della Madonna. Detto per inciso, il concepimento verginale di Gesù viene celebrato il 25 marzo (Annunciazione), nove mesi esatti prima di Natale…

Nel suo aereo dittico, realizzato su tela con tecnica mista e tenuto teso da un telaio rigido, Vincenzo Avagliano, con un volo ardito ma teologicamente pertinente, ha rappresentato l’Immacolata con lo slancio di tante bianche colombe dinamicamente, e a volte per linee contrastanti, convergente verso l’alto.

La colomba, sempre secondo la visione cristiano-cattolica, è l’immagine visibile dello Spirito Santo, terza persona della Trinità, vale a dire l’humus profondo dell’Amore cristiano, il ponte più alto tra l’uomo e il cielo, il segno mistico della saggezza e del fervore emozionale, l’irrinunciabile linfa della liberazione dell’anima dal peccato.

La colomba, come tale, è anche una protagonista dei testi sacri e della storia cristiana: è lei che porta a Noè il ramoscello d’ulivo che annuncia la fine del Grande Diluvio e rilancia la Pace tra Dio e gli uomini (da qui il simbolo internazionale odierno della Colomba della Pace).

È la colomba che vola sul capo di Gesù il giorno del Battesimo nel fiume Giordano. Ed è sempre la colomba il simbolo preferito dell’angelico candore contrapposto alle malefiche arti del demonio.

La figura di Maria potrebbe sembrare marginale rispetto a simboli e valenze così forti. Eppure, Avagliano, nel suo volo d’immaginazione, ha colto non ciò che divide la Madonna dalla colomba, ma ciò che unisce le due figure, e che è invece ancora più sostanzioso.

01-enzo-avagliano-artista-dicembre-2016-cava-d'-tirreni-vivimediaNon è forse Maria figura di Pace e di Amore universale, madre di tutti gli uomini e come tale della loro fratellanza (non dimentichiamo la proclamazione che ne fece Gesù sulla croce)?

E non è Maria, evangelica “colomba senza fiele”, che dovrà schiacciare il capo al serpente tentatore dell’Eden, il simbolo universale del demonio e quindi del male?

E, come la colomba è nell’immaginario comune simbolo di purezza e innocenza, non è forse Maria la figura stessa dell’innocenza e della purezza?

Come la colomba-Spirito Santo è portatrice di luce in volo verso Dio, non è forse Maria, in tutte le forme iconografiche e letterarie, il tramite più forte tra la persona umana e la persona divina?

Tutto questo Vincenzo Avagliano è riuscito a trasmetterlo con un linguaggio semplice e comunicativo, grazie al dinamismo delle forme, quasi fuoriuscenti dal piano di disegno, cariche di intense connotazioni emozionali e devozionali, ed alla “parola chiara del colore”, caratterizzato dal netto contrasto tra il color terra degli elementi umani e quello azzurro del paradisiaco alto dei cieli.

Il risultato è un’opera in cui si sposano elettricamente la tecnica e l’intuizione formando un insieme lineare e composito.

È un’opera dalla plasticità scultorea, viva, gravida di fuoco interiore, in linea con l’evoluzione personale di Avagliano, in cammino crescente verso le forme più alte della spiritualità, ed anche con quella artistica, mai disgiunta dalla ricerca e dal travaglio interiore, che ha portato a risultati notevoli, in particolare nel campo della scultura, dove le figure elaborate dalla sua mano riescono dinamicamente a bucare la scena e ad occupare lo spazio (non dimentichiamo, tra gli altri, l’emozionante Cristo morto presentato a Giffoni valle Piana, il bellissimo portale della Banca Popolare a Cava de’ Tirreni, il monumento ai caduti di tutte le guerre a Santa Lucia,).

Come osserva Antonio Donadio, in luiil segno è propositivo e riesce a cogliere la misteriosa vitalità dell’oggetto in sé.

Per tutto quanto detto, riteniamo che l’Immacolata colomba sia un’opera destinata non solo a rimanere fisicamente, ma anche ad essere conosciuta e “vissuta” dalle future generazioni.

L’arte in essa si sposa con l’anima e, quando avviene un connubio del genere tra tecnica e intuizione, l’onda è lunga e gli spruzzi vanno lontano. E ben riescono a valicare il confine limitato della vita individuale…