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CAVA DE’ TIRRENI (SA) – Genzano (RM). Fiorello Doglia, il poeta della pandemia e delle parole scolpite

Fiorello Doglia, poeta e scultore di Genzano (Roma). Abbiamo avuto il piacere di conoscerne il fascino artistico e lo spirito creativo e costruttivo in occasione delle ultime manifestazioni dell’Accademia Arte e Cultura di Michelangelo Angrisani, dove egli è stato pluriesposto e pluripremiato come poeta e come scultore. Con lo stesso piacere, abbiamo accolto la sua più recente pubblicazione, Un autunno, un inverno, e ci accingiamo a parlarne, perché le sue opere sono sempre un bagno di sensibilità, fantasia, emozione e umanità.


Grandinano parole, nelle poesie di Fiorello Doglia. Parole ungarettianamente scavate nell’abisso, ma nello stesso tempo pesanti come pietre. Ognuna col suo peso, nessuna leggera, tutte miranti alla leggerezza perduta e sperduta. Parole che solo apparentemente piovono dalla realtà contingente, ma di fatto sono meteoriti d’immenso, che bruciano, guaiscono, guariscono, cauterizzano le ferite.

La sua ultima raccolta, la quinta, sia nel titolo sia nelle immagini di copertina (due belle sculture da lui stesso realizzate, rappresentanti il bisogno di Oblìo e il sogno della Rinascita) richiama la lunga e defatigante odissea che l’umanità sta affrontando con le quattro stagioni della pandemia. Si pone come ideale continuità rispetto alla raccolta precedente, Pan-de-mi-a, che con accenti più o meno simili cantava la primavera del coronavirus e delle clausure. Se però quella primaverile era figlia del dolore e madre di speranza, carica di lampi di improvvisa coscienza, questa stagione invernale (esaltata dalla serie di incipit “viene l’inverno” e tremante all’idea di un oggi senza domani) è piuttosto una defatigante maratona di soffocati respiri disperati alla speranza, ma mai alieni da quel cocktail di pessimismo dell’intelligenza e ottimismo della volontà che nasce dalla coscienza di potere e dover resistere (respiro: tutto il resto lotta!).

In entrambe le raccolte, la dimensione pandemica è solo un punto di partenza.

Come altrove, egli parte da quello che succede per riflettere su quello che i cinque sensi del suo sguardo colgono o percepiscono. Ben oltre la superficie, ben oltre le mascherine, che coprono di ulteriori maschere esseri umani inscemiti dalle apparenze. Proprio queste apparenze sono scardinate dalla grandine di parole che spezza la crosta di inconsapevolezza che copre la nostra coscienza del vivere.

Da poesia della storia i suoi versi si trasformano nel canto dell’esistenza, guizzante favilla lampo scintilla. È un viaggio verso se stesso e verso l’uomo realizzato attraverso un’arte viva visionaria farneticante meditabonda solitaria erratica. Che sia il canto dell’esistenza è dimostrato dalla pioggia di amore e dolore che egli inietta nella sua grandine: è l’alternanza che ognuno di noi assapora nel lungo lampo della vita. Così, la falce di luna vola tra acque teneramente silenti e un graffio crudele e noi col poeta voliamo dall’alto della carezza più pura del mare alla riva danzante fino a ricadere, trascinati da lacrime come lapilli eruttati al cielo, in un’alternanza defatigante tra purezza e putridume. E rimaniamo laceri di ferite e di domande, pronti a provare e riprovare progetti fandonia su spoglie inerti, inutili, illuse, ma coscienti di non poter rinunciare al dono immenso dell’immenso, perché ognuno di noi finisce col sentirsi sperduto ma mai perduto, pronto comunque a distillare amore dall’amaro agire.

Le espressioni appena tracciate sono rubate qua e là tra le poesie e accorpate in versi unitari lì dove nel testo sono scritte in versi spesso monoverbali, dove il poeta si rivela lirico direttore di un’orchestra di parole, assonanze, consonanze, chiasmi, anafore, metafore… La forma non è però fine a se stessa, bensì congruente con la sostanza. Egli, pur frantumando il suo mondo emozionale in un bollente big bang di pietrosi frammenti, non perde mai né il controllo né le tracce del suo essere primario. Per questo è in grado non solo di ricomporre la grandine di parole in un blocco unico pur se disomogeneo, ma anche di offrire al lettore la possibilità di vivere con lui tutto il percorso di uno scoppio dell’anima che sa ricomporsi e ricomporre pur nella sua scomposizione.

Questo succede perché il poeta ha il cuore in magmatica ebollizione, ma non perde mai la mano ferma della ragione e non la fa perdere al lettore, che infatti riesce a seguirlo, anche concettualmente, nel succedersi “visionario” dei suoi frammenti e nei suoi messaggi. Non a caso egli, artista per passione, è agopuntore di professione, vale a dire un maestro del ricomporre equilibri all’interno degli squilibri. Non a caso egli, scultore di parole, è anche poeta della scultura, autore di opere che ricompongono in forme liriche ma ben riconoscibili tutto il doloroso groviglio dell’essere e della storia.

Perciò egli si può permettere di farci rotolare tra le scintille, perché sa che è la strada per farci toccare la radice del fuoco, quello più profondo, quindi di vivere, o rivivere finalmente il tempo-tempio della poesia del dire e del vivere vero.

È questa l’anima più concreta ed emozionante del suo percorso poetico, che gli permette di essere spettatore-attore di un’umanità in cerca di umanità. Egli ne vive dentro tutti gli smarrimenti, ma sa anche distaccarsene in astrale come un gatto sornione indeciso se piangere o ridere a vedere lo spettacolo di tanti levrieri che corrono verso il nulla per afferrare la polvere di niente.

In questo distacco, egli, pur con assorte parole stormite appena, riesce ad intravedere la strada del viaggio verso se stesso e verso se stessi. Si aggrappa alla bellezza struggente e sfuggente del mare di settembre, prende coscienza che ciò che è è e ciò che c’è è, decide, e implicitamente invita a decidere, di cogliere, migliorare, abbracciare, amare, condividere. E parte verso l’obiettivo più affascinante, che solo l’intenso dell’immenso può donare: rubare la meraviglia che siamo.

E la speranza di questo furto ci ridona tutta la carezza dell’energia…

CAVA DE’ TIRRENI (SA). Parrocchia di San Lorenzo: il congedo di don Raffaele Conte, maestro di “religioia”

Gli succede don Giuseppe Nuschese, colonna nascente della Chiesa metelliana.


Il buon sacerdote si riconosce da come viene unto il suo popolo. Quando la nostra gente viene unta con olio di gioia lo si nota: per esempio, quando esce dalla Messa con il volto di chi ha ricevuto una buona notizia.

Pronunciata da Papa Francesco agli inizi del suo pontificato quando cominciò la sua campagna a favore dei “sacerdoti non asettici”, questa definizione si adatta a pennello a don Raffaele Conte, il parroco della Chiesa di San Lorenzo a Cava de’ Tirreni che lo scorso week end (30-.31 gennaio) dopo oltre cinquant’anni di sacerdozio e venti circa proprio in quella parrocchia, ha concluso il suo mandato. Si è congedato in un emozionato ed emozionante abbraccio collettivo, gravido di un affetto profondo che viene da lontano e guarda lontano, Si è congedato con la sobrietà, l’essenzialità e l’incisività di sempre: semplicemente celebrando l’eucaristia e poi, nel consueto congedo scritto, invitando a vivere la vita come un’opera d’arte, non nel senso estetico, ma cercando sia il senso della vita e delle azioni sia la bellezza delle cose e delle persone.

I fedeli se ne sono andati per una volta non solo unti di gioia ma anche unti di lacrime, pregne di commozione e dolore per il distacco da una figura straordinaria, intrise di contrito dispiacere per la non buona notizia di un congedo che, per quanto non inatteso a causa di problemi di salute, è risultato quasi improvviso e accelerato rispetto all’interregno collaborativo che da poco si era instaurato con il futuro parroco, don Giuseppe Nuschese.

In effetti, il modo di vivere il sacerdozio e l’esistenza da parte di don Raffaele è di quelli che lasciano un segno profondo, perché danno colore e calore ad ogni istante della vita quotidiana, gioioso o doloroso che sia, e arrivano al cuore della spiritualità di una persona. Questo segno egli lo ha lasciato fin dall’inizio della sua missione, quando, pur rispettando le regole della liturgia tradizionale, finiva a volte col romperle, nel suo intento di puntare all’uomo e non alle forme, di privilegiare il potere dei segni sui segni del potere.

Fermo restando il cammino verso l’al di là che caratterizza alla base la vita del cristiano ed è segnato dal lato verticale della croce, don Raffaele è sempre stato molto attento anche al lato orizzontale della croce stessa. Quindi, il suo messaggio in tutte e due le direzioni era ispirato rigorosamente dalle buone novelle che provengono dalle Scritture, in particolare dalla purezza di intenti e dall’inno all’amore fraterno esaltati dal cristianesimo originario e poi tenuti accesi nei secoli dai cristiani di buona volontà. Parole d’ordine: santificare la giornata con la coscienza della gratitudine e della gioiosa meraviglia per i doni utili e belli del creato, con l’intensità dell’armonia benedicente rispetto al mondo esterno…. e poi preghiera, meditazione, apertura del cuore, fraternità. Il tutto non tanto nello spirito imperativo dei dieci comandamenti quanto soprattutto in quello purificatorio e rivoluzionario delle beatitudini, che suggeriscono non cosa non fare ma quale strada seguire per essere “unti di gioia”.

Le celebrazioni e le iniziative di don Raffaele andavano tutte in questo senso.

La vita parrocchiale, oltre che dalla normale liturgia, era arricchita da un progetto permanente di formazione comunitaria, fatta di incontri, dibattiti ed eventi culturali e spirituali. La sua messa era un’ “ora di religioia”, perché i fedeli vivevano in pieno il senso della comunità, condividendo tra loro l’anelito verso l’alto, trasmettendo frammenti dell’anima nelle preghiere, meditando sulle lezioni di vita quotidiana offerti dalle letture del giorno.

Queste lezioni erano corroborate dai deliziosi “pizzini” distribuiti ogni settimana: luci di Vangelo vivo, testimonianze e suggerimenti d’Amore, tracce beatificanti di guida per un cammino personale e collettivo di purificazione e miglioramento. Questi foglietti, messi uno sull’altro, rappresentano un patrimonio etico e spirituale di straordinario valore, un patrimonio da custodire e trasmettere. Non a caso è nell’aria l’intenzione da parte di qualche fedele di pubblicarne i più significativi e distribuirli alla collettività, magari alla presenza testimoniale dello stesso don Raffaele, che per una volta, anche se conoscendolo ne farebbe a meno, dovrà stare sotto la luce dei riflettori non solo come ministro: e lo accetterà, sapendo bene che anche quello sarà un ministero…

Perciò, vogliamo tutti quanti intendere che il suo sia il congedo da un incarico, ma non dalla vicinanza pastorale, amicale e spirituale che tanti legami e tanto affetto ha stabilito in questi anni. Vogliamo intendere che egli non sarà più “in un ruolo”, ma in un modo o nell’altro continuerà a condividere con i fedeli momenti altissimi di cultura, spiritualità e umanità.

E continuerà a cambiare le vite delle persone, come testimoniano queste parole di Annamaria Apicella, una delle sue più affezionate compagne di viaggio, che tra l’altro in parrocchia per anni ha avuto l’onore e l’onere di incontri di formazione ed ascolto con gli adolescenti, nel pieno spirito della “Linea Conte”.

Ha cambiato la mia vita!

Come? Lo racconto!

Venivo fuori da concetti arcaici: un Dio punitivo attraversava le mie ore di cammino.

Durante i suoi ascolti tra Messe recitate in ordine e orari perfetti, tra libriccini “confezionati” da lui con l’aiuto di volontari, mi guardavo intorno e sentivo il silenzio. Una meraviglia!

Il nostro ascolto procedeva e raggiungeva il cuore!

Le preghiere dei fedeli erano il frutto del vissuto di ognuno di noi. Come pure l’omelia, forte e decisa mentre rompeva vecchie regole. Una lezione di vita: succo di un amore evangelico.

Raffaele è entrato nella mia vita in punta di piedi così come sa fare… quando avevo 18 anni.

Da allora è stato il punto di riferimento nel percorso non sempre facile della mia vita.

Il suo ascolto era vero, sentito: apprezzava la sincerità del cuore.

Con lui Cristo non è lontano. È uno di noi che sa vivere il quotidiano con verità di vita.

Una volta gli chiesi dove fosse Cristo. E contemporaneamente mi rispose a cuore aperto “È con noi, dentro di noi”.

Il nostro rapporto di profonda semplicità. Era come scavare nell’interiorità quando diceva Messa.

Le sue Messe! Di notevole cultura!

Passaggi sinteticamente profondi: dall’altare al cuore aperto e pronto a ricevere per poi trasformare in azioni. Quelle azioni che erano frutto del suo ascolto. E il tutto veniva catturato per giorni futuri diversi.

E il quotidiano diventava più leggero. Aveva già il sapore del futuro. Un futuro in prospettiva di arrivi divini.

La divinità altrove!

Pur con le amarezze del congedo, ci sembra però cosa buona e giusta anche aprire il cuore in un abbraccio di benvenuto al successore di Padre Raffaele, don Giuseppe Nuschese, giovane carico di energie, di entusiasmo e di cultura, che a dire di tutti rappresenta una delle perle nascenti più luminose della Chiesa territoriale. A lui dedicheremo tra qualche giorno uno spazio specifico, per imparare a conoscerlo e stabilire un approccio il più possibile fecondo, in un cammino di ideale continuità e diversità rispetto al solco tracciato da Padre Raffaele.

CAVA DE’ TIRRENI (SA). Liceo “De Filippis Galdi”: tra i banchi della DAD è nata MG on Air, la radio che non c’era

Da Noemi Villacaro, studentessa del quarto anno presso il Liceo Classico “Marco Galdi” di Cava de’ Tirreni, riceviamo e volentieri pubblichiamo una nota relativa alla nascita di una radio all’interno dell’Istituto, di cui è redattrice e speaker. Con lei, numerosi compagni di scuola, di cui per ora citiamo Leonardo Gravagnuolo, Alessandro di Somma , Sofia Guida, Maria d’Amico, Martina Russo, Pierpaolo Russo, Dario Russo, Graziano Villani, Andrea Carratù, Andrea Grimaldi, Angela Manzo, Chiara Papa, Francesca Leopardi, Andrea Grimaldi. Ma in futuro ci sarà spazio per citare tanti altri di questi “benemeriti”… (La Redazione)


A volte mi chiedo se tutte le cose che noi studiamo a scuola saranno utili per il nostro futuro, se ci aiuteranno a intraprendere una strada lavorativa, se ci aiuteranno a creare la nostra identità, perché ad oggi io sono una ragazza di diciassette anni, che è terrorizzata dal futuro, che ha mille domande a cui non sa rispondere.

Credo che proprio questo sia il compito della scuola: guidarci e prepararci alla vita, tanto bella quanto complessa.

Io frequento il liceo classico “Marco Galdi” di Cava de’ Tirreni, un liceo tosto ad essere sinceri, ma allo stesso tempo devo ammettere di essere sempre più convinta e felice di questa scelta.

Questo liceo offre la possibilità a noi studenti di metterci in gioco, di sperimentare cose nuove e, nel mio caso, grazie ai tanti progetti che la scuola ci propone, ho deciso di prendere parte ad uno nuovo, quello della radio.

Inizialmente con molta franchezza ero dubbiosa, perché credevo che fosse la solita attività extracurriculare che noi studenti dobbiamo seguire, ma ora, essendo nel cuore del progetto, capisco quanto giudicare qualcosa senza conoscerla sia un errore.

La radio “MG on Air”, appena nata nel nostro Istituto, è una radio innovativa, gestita e montata da noi ragazzi. Questo progetto, coordinato e proposto dai nostri docenti Nicoletta Tancredi, Giuseppina Orsini, Emilia Aliberti, è un metodo alternativo di studio, un modo per affinare le nostre abilità, passioni e soprattutto per farci sperimentare cose nuove. L’obiettivo è quello di dare voce ai giovani, di mostrare le nostre capacità e soprattutto condividere le nostre conoscenze.

In che modo? Modernizzando tutto, per apprendere in maniera diversa, con curiosità e voglia di approfondire e non come siamo abituati di solito, studiando mnemonicamente e senza interesse pur di passare la verifica o l’interrogazione del giorno dopo.

Credo che questo sia uno dei progetti più interessanti a cui abbia mai partecipato e il mio stesso interesse e voglia di provare li ho riscontrati anche nei miei compagni, una cosa del tutto bizzarra a dire il vero… Solitamente non c’è mai molto interesse nel frequentare attività previste dopo l’orario scolastico, e invece tantissimi ragazzi hanno aderito e ad oggi siamo una grande redazione che ha campo libero nella scelta degli argomenti da trattare, nel mondo in cui produrli.

Per rendere il tutto più moderno, abbiamo aperto le pagine della nostra radio sui social network come Instagram e Facebook, per essere in contatto con ragazzi e adulti che seguendo ed ascoltando i nostri gr si interessano ai nostri servizi.

Mg on air contiene molte rubriche, tra cui la sezione politica “Agorà, i sondaggi Doxa, Eureka! (scienze), salotti letterari e musicali, cinema, gossip, Pillole di traduzione (vademecum per le versioni), Toghe e coturni (moda di ieri e di oggi), e tantissime altre.

Tutto quello che vedrete e ascolterete è stato realizzato da noi, partendo dalla stesura dei pezzi al montaggio, ognuno di noi ha dei compiti precisi e sceglie cosa fare in base alle sue abilità e alle sue preferenze.

I nostri docenti ci sostengono e ci accompagnano in questo progetto, verificando l’attendibilità dei nostri pezzi e offrendoci dei consigli preziosissimi sulla scrittura e nella registrazione di essi.

Io ad esempio per due edizioni sono stata la cronista della nostra radio, qualcosa di straordinario e che mi ha permesso di conoscere questo incredibile campo!

Mi sono molto divertita facendo la cronista, prestando la mia voce e facendola sentire alle persone ma soprattutto facendo lezioni di dizione con lei mie professoresse. Tutti noi diamo del nostro meglio e teniamo moltissimo al nostro progetto, proprio perché è qualcosa che abbiamo creato noi e speriamo che pian piano riesca a coinvolgere tutti gli studenti italiani e magari, chissà, anche a rivedere la concezione di studio.

è un po’ una scommessa sì, ma noi ci crediamo e vi aspettiamo nella nostra radio:

https://youtube.com/channel/UCRQzhpyvVHCEf5or_s9NCcA

Instagram: @mg_on_air

Facebook: MG on Air – la Radio del Marco Galdi

CAVA DE’ TIRRENI (SA). Cava de’ Tirreni commemorerà la Shoah in Tv e sul Web il 27 gennaio alle ore 18:00

Nonostante l’impossibilità, causa pandemia, di organizzare incontri e dibattiti pubblici con i cittadini e con le scuole, la Città di Cava de’ Tirreni non mancherà di far sentire almeno via etere e via web il suo contributo alla commemorazione della Giornata della Memoria in ricordo delle vittime della Shoah e delle persecuzioni razziali.

Infatti, mercoledì 27 gennaio, alle ore 18:00, per del Centro Studi per la Storia di Cava de’ Tirreni, diretto dal Prof. Giuseppe Foscari, sarà organizzato un incontro-dibattito in remoto sul tema:

Tra memoria, ricordi e impegno civile: perché parlare della Shoah?

L’incontro sarà trasmesso in diretta TV sulla rete televisiva locale (can.654) e sul sito Facebook del Centro Studi per la Storia di Cava de’ Tirreni.

Interverranno: Vincenzo Servalli (Sindaco di Cava de’ Tirreni), Armando Lamberti (Assessore alla Cultura), Giuseppe Foscari (docente presso l’Università di Salerno), Claudio Azzara (docente presso l’Università di Salerno), Francesco Senatore (docente presso l’Università di Napoli “Federico II”), Gabriella Liberti (Dirigente Scolastica dell’IC “Santa Lucia” di Cava de’ Tirreni), Maria Alfano (Dirigente Scolastica dell’IIS “De Filippis Galdi” di Cava de’ Tirreni). Coordinerà Gianluca Cicco (giornalista).

Non mancherà ovviamente la partecipazione dei giovani, a cui implicitamente rivolta l’iniziativa, perché non sia mai dimenticata la “lezione” della Shoah: prenderanno infatti parte all’incontro gli alunni delle classi terze della scuola media dell’IC di S. Lucia e gli studenti del primo biennio del Liceo De Filippis Galdi. In particolare, il Liceo musicale interverrà con il brano Schindler’s List, eseguito al pianoforte dall’allieva Antonella Di Marino.

L’iniziativa ha un particolare significato per la Città di Cava de’ Tirreni, che annovera tra i suoi concittadini onorari uno dei testimoni attivi più importanti della Shoah, cioè Settimia Spizzichino, ebrea di Roma, l’unica donna sopravvissuta alla deportazione di 1022 ebrei dal ghetto di Roma, avvenuta il 16 ottobre 1943. Settimia è scomparsa nel 2000, dopo che nel corso dei cinque anni precedenti era entrata nel cuore e nel tessuto sociale della Città, attraverso l’incontro con migliaia di studenti e cittadini, la pubblicazione del suo libro di memorie “Gli anni rubati”, l’organizzazione di un memorabile viaggio ad Auschwitz con lei e altri reduci ed ebrei romani, l’amicizia personale stretta con tanti concittadini.

È anche a lei che, come ogni anno, idealmente è dedicato l’annuale memorial organizzato dalle istituzioni e dalle associazioni della Città di cava de’ Tirreni.

CAVA DE’ TIRRENI (SA). Centouno candeline per Anna Di Stasi, la nonna che a cento anni ha sconfitto il Covid

I brividi della sua avventura nel racconto della nipote Stefania Lamberti.


Anna Di Stasi (maritata Lamberti) è nata nel gennaio del 1920, in piena pandemia, quando infuriava la spagnola. Le prime poppate le ha fatte con uno slalom tra i virus. Poi, nel settembre 1943, ha dovuto fare un nuovo e ancora più pericoloso slalom tra le bombe. Viveva infatti a Santa Lucia quando, al momento dello sbarco, gli Alleati riempirono la vallata di granate. Immaginando un attacco e vedendo troppo esposta la sua casa, Anna cercò rifugio con la figlia Lina Lamberti (poi diventata professoressa di Lingua) in una casa adiacente, a suo dire più riparata, ma lì erano già in molti e obiettarono che una bambina in quella situazione avrebbe lordato i materassi. Dovette andare altrove… e le bombe caddero proprio su quella casa, uccidendo una decina di persone.

Quindi, nell’autunno del 2020, dopo che a gennaio aveva festeggiato alla grande il suo secolo di vita (vedi foto con il Sindaco e i figli Mimmo, Maria Cristina e Lina, il genero Giovanni Trezza, la nuora Maria Pia Scapolatiello), tra il 2 novembre e il 4 dicembre ha dovuto fare lo slalom più difficile. Ancora una pandemia, quella purtroppo ancora incombente del Covid 19. E una “bomba” diretta del Virus su di lei…

Ma ancora una volta, nonostante l’età, ce l’ha fatta. Grazie alla sua capacità di mantenersi sempre in buona salute, grazie al suo indomito spirito di combattente che l’ha accompagnata per tutto il suo secolo, ma grazie anche e soprattutto all’intervento e all’assistenza degli angeli custodi della Croce Rossa, Presidente Valentino Catino e coordinatrice Gabriella Pisapia in testa, ed all’amorosa presenza e assistenza dei nipoti Stefania Lamberti (figlia di suo figlio Mimmo e di Maria Pia Scapolatiello) e Gino Trezza (figlio proprio della Lina, scampata alle bombe, e di Giovanni Trezza), che, superando la paura del contagio, da avanguardia in campo della sua numerosa famiglia.

Anna Di Stasi ha vinto la sua battaglia ed è diventata un caso, un mirabile esempio di resistenza al flagello pandemico. Ora, pimpante come prima, è tornata a casa, ha trascorso il Natale con i suoi e si accinge a varcare la soglia dei centouno anni, proprio il giorno dell’Epifania. Ma la Befana il dono glielo ha già portato con la guarigione. Quel dono si chiama Solidarietà, Sacrificio, Amore… Vita.

Abbracciandola idealmente e corredando l’abbraccio con una carezza dal sapore metelliano, ripercorriamo con la nipote Stefania la sua vincente e “brividosa” odissea.

Quando e come è cominciata questa “battaglia”?

Tutto cominciò agli inizi di novembre, con una febbricola leggera, di pochissimo superiore ai trentasette gradi, ma tale da insospettirci, anche perché era accompagnata da un leggero affanno e dalla constatazione che Nonna era stata a contatto con una persona poi risultata positiva. Di questi tempi, non si sa mai. Pensammo allora di farle fare un’analisi sierologica, giusto per avere un’idea.

Quindi le faceste fare il prelievo.

Quindi cominciarono i grandi problemi. Bisognava trovare un’infermiere che glielo facesse. Ma in tempi di Covid anche le incombenze più semplici diventano complicate per gli ammalati. Se non è facile trovare un infermiere disposto a venire a casa a fare il prelievo e a seguire il paziente, figuriamoci un badante oppure un idraulico o un altro tipo di artigiano…

Allora cosa decideste?

Dopo vari tentativi andati a vuoto, non trovammo nessuno disposto a venire in casa, così alcuni di noi familiari ci rassegnammo a fare da assistenti, ben consapevoli di correre rischi pesanti per noi e per le nostre famiglie. Ma nonna non poteva certo essere lasciata sola.

Tu sei stata la prima a dovertene occupare?

Sì, è toccato a me ed è stata la svolta decisiva e fortunata. Un caso, un’intuizione ed un gran colpo di fortuna. Non per la mia persona, ma perché, mentre mi stavo recando da lei, dopo aver lasciato la mia famiglia come un soldato che va in guerra, poco prima della casa di Nonna mi sono trovata davanti alla sede della Croce Rossa. Ho deciso di fare l’ultimo tentativo. Sono entrata lì dentro ed ho chiesto aiuto.

E l’hai subito ricevuto?

Sì, ed è stata una vera e propria grazia. La Dea Fortuna ha voluto che in quel momento ci fosse il Presidente, Valentino Catino, il quale ha offerto immediata e massima attenzione, professionale e umana, e si è subito preparato per accompagnarmi a casa della Nonna.

Ma … ci siete andati così, a mani nude, senza precauzioni?

Assolutamente no! Abbiamo dovuto indossare le tute di copertura assoluta. Sembravamo proprio dei marziani! E non dovevamo proprio essere rassicuranti, perché la nonna quando ci ha visti si è assai impressionata e spaventata per la visione, perché odia le mascherate e le mascherine e perché intuiva quello che stava succedendo.

E allora avete fatto finalmente il tampone …

Sì, un tampone rapido, che purtroppo ha confermato tutti i sospetti. Il giorno dopo le è stato fatto anche il tampone molecolare, che ha appurato la positività. E allora, su suggerimento di Valentino e con le indicazioni telefoniche del medico di famiglia, abbiamo cominciato immediatamente la terapia Covid.

Chi materialmente seguiva da vicino le operazioni?

Abbiamo costituito una piccola squadra, che oltre Valentino e gli altri angeli della Croce Rossa comprendeva me e mio cugino Gino Trezza come parenti stretti. Ci siamo occupati di tutte le necessità, ovviamente con il sostegno delle ormai amiche “tute da marziani”.

Come è stato il decorso della malattia?

La prima settimana è continuata la febbricola ai livelli iniziali, ma poi la situazione stava precipitando, a partire dalla seconda settimana. Saturazione scesa a novanta, febbre salita fino a trentotto e mezzo, preoccupante pallore in volto, affanno montante, prostrazione fisica crescente. L’unica cosa che ci confortava era l’autonomia del respiro. Ma la paura e la preoccupazione erano tante.

E lei, come reagiva?

Con la forza e la capacità di sopportazione di sempre. E… trattenendo il respiro, non solo coi polmoni. Così come lo trattenevamo noi familiari, tutti idealmente presenti vicino a lei.

Non avete pensato di portarla in ospedale?

Per il protocollo degli ammalati di Covid, finché il respiro è autonomo, la terapia può essere domiciliare. Ma il periodo era quello del grande balzo in avanti della pandemia anche da noi in Campania. Gli ospedali erano saturi… e poi avevamo non infondati dubbi che in caso di necessità non sarebbe stato facile, soprattutto per una persona dell’età di Nonna, trovare posto in terapia intensiva.

Con molta delicatezza, stai dicendo che avete toccato con mano la durezza della situazione e le difficoltà nascenti dalle inadeguatezze delle strutture ufficiali

Proprio così, purtroppo. E non era solo un fattore di numeri, ma un grande dramma umano. Io stessa, nei lunghi periodi che trascorrevo alla Croce Rossa, ho avuto modo di ascoltare le telefonate di persone disperate per la difficoltà di ricevere assistenza oppure di trovare il posto per un ricovero. Mi vengono i brividi anche solo a pensarci…

Durante il decorso della malattia di nonna, non vi venivano brividi di paura, oltre che per le condizioni di lei, anche per voi stessi?

Quando sei un soldato e sei nel pieno di un combattimento, sai già che non esisterà un solo momento a rischio zero e non hai nemmeno il tempo mentale per pensare alle paure ed ai brividi.

Perché non ci sono o perché è tutto un brivido sottile diffuso minuto per minuto?

La seconda che hai detto. Ma riuscivamo a farcene condizionare il meno possibile, anche perché ci sentivamo accompagnati e protetti da angeli custodi che sapevano il fatto loro, come è stato dimostrato dl fatto che i volontari della Croce Rossa non hanno subito contagi al loro interno.Ed io, con tanti classici “pizzichi sulla pancia”, dovevo affrontare anche la lontananza da mio figlio e dai miei cari.

Tornando a nonna, quanto è durata la fase acuta della malattia?

Trentatré giorni, dal 2 novembre al 4 dicembre. Negli ultimi tempi la febbre è scesa, le forze sono ritornate, il colore del volto pure. Poi, attraverso l’USCA, i test di verifica. E sono arrivati un grande sospiro di sollievo e la grande liberazione.

Una gioia per tutti e per voi due “combattenti sul campo” il segno di una straordinaria battaglia di vita…

Che non si cancellerà mai… come non si cancellerà mai la gratitudine per Valentino, Gabriella e tutti gli altri angeli della Croce Rossa. Senza quel fortunato incontro del primo giorno, si sarebbe perso del tempo prezioso e… non credo che Nonna, per quanto forte e combattente pure lei, ce l’avrebbe fatta…Ma non si può descrivere l’emozione del “ritorno a casa” da vincitori…

Nel dire così, la voce di Stefania si incrina e lo sguardo si perde nel ricordo… e nel battito del cuore. E rimane in silenzio. Un silenzio che è parola d’Amore, parola della Vita.