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Un’antica cartolina del 1916 con versi di Parini per un fante in Zona di Guerra nell’inferno della Prima Guerra Mondiale
…… Oh fortunate
Genti, che in dolci tempre
Quest’aura respirate,
Rotta e purgata sempre
da venti fuggitivi
e da limpidi rivi
Giuseppe Parini
Sono versi di Giuseppe Parini tratti dall’ode La salubrità dell’aria (dalle Odi, 1791). Potremmo definirlo un ecologista ante litteram (e pensare che Parini è un poeta ormai dimenticato e solo raramente studiato!). La Poesia in questo caso diventa mezzo di denuncia, impegno sociale e civile. Ma non è di questo che voglio parlare, oggi 21 marzo 2022, Giornata Mondiale della Poesia, ma, purtroppo di qualcosa d’altro, di tremendo: di questi giorni che stiamo vivendo per una STORIA fatta da uomini che amano sempre gli stessi errori, gli stessi orrori e da ALTRI UOMINI che sconosciuti ed eroici illuminano quella medesima STORIA.
Questi versi sono a corredo di una cartolina postale illustrata: un dolce ameno paesaggio collinare con centro un viottolo dove passeggiano serenamente donne e bambini. Il fondo s’intravede una casetta, emblema di un sicuro rifugio che ben illustra i versi del poeta lombardo. Ma quest’antica cartolina ha una data e un destinatario molto particolare. Venne spedita da Caserta il 14 SETTEMBRE 1916. Il mittente è M. R. che scrive a suo fratello F. R. SOTTOTENTE DI FANTERIA PRESSO IL 53° FANTERIA OSPEDALE N. 81mo CALALZO, ZONA DI GUERRA.
Siamo in piena Prima Guerra Mondiale (1915/1918). Calalzo di Cadore, centro nelle dolomiti bellunesi, con la sua linea ferroviaria fu fondamentale per lo spostamento delle truppe in quella Zona di Guerra. Lì si combatté una massacrante guerra di posizione dove fanti, alpini e bersaglieri contarono una perdita di vite umane che sfiorò il numero di mille unità.
E’ straziante pensare a questo giovane sottotenente di fanteria che in ZONA DI GUERRA, riceve questa cartolina, ora, quasi laica reliquia, fra le mie mani, da suo fratello ove i versi del Parini e l’illustrazione rimandano a un mondo di serenità, di pace, fosse anche quella data da momenti di semplice quotidianità.
Come è dolce pensare che quella cartolina gliela abbia consegnata un poeta: E.A. Mario. Infatti, non tutti sanno, che con l’entrata in guerra dell’Italia nel maggio del 1915, E A. Mario, poeta napoletano e impiegato postale, ottiene dalla Direzione delle Poste, l’autorizzazione a viaggiare nelle unità ambulanti postali addette al trasporto della posta in prima linea. E nel giugno del 1918, nasce la celeberrima “Leggenda del Piave” che diviene da subito quasi un inno nazionale.
In questi giorni di lutto, di distruzione e di sofferenze inenarrabili, mi è sembrato giusto, oggi 21 marzo, rendere omaggio non solo alla Poesia, indicibile compagna di spirito e mente, ma sopratutto a tutti coloro, sconosciuti eroi, che ieri come oggi con il loro sacrificio illuminano questo nostro cammino di uomini di terra.
P.S. La cartolina fa parte di una mia collezione privata di cartoline postali (dal 1914 agli anni ‘40) di paesaggi con versi di poeti famosi (Leopardi, Carducci, Ariosto, Pascoli, …)
BASTA GUERRE
Ricevo e pubblico volentieri questi versi dell’amico poeta Giancarlo Zizola.
Nessun commento né lettura critica da parte mia: l’orrore per la guerra cadenza solo un mortale lugubre ritmo.
ASSEDIO
Lungo i marciapiedi
un vuoto da raschiare
con la spietata lucidità
di manifesti a brandelli,
e un odore di morte
che si nutre del vento.
Ma tra i resti delle case,
nel fuoco del fuoco
sempre acceso, c’è ancora
chi spezza il pane
come fosse cibo eterno.
Giancarlo Zizola
Ho visto ballare Mamma Lucia sul palco del teatro Donizetti di Bergamo
“Le esponenti di quella che una volta veniva chiamata ‘l’altra metà del cielo’ hanno fatto la storia, contribuendo all’evoluzione dell’umanità in tutti i campi possibili: dall’arte alla letteratura, dalla scienza alla politica, non trascurando la cibernetica e la fisica quantistica; ma per uno strano sortilegio raramente vengono ricordate, con difficoltà appaiono nei libri di storia e tantomeno sono riconosciute come maestre e pioniere: in sintesi, si fa fatica a intestar loro persino una strada periferica” da questa premessa di Serena Dandini dal suo libro Il catalogo delle donne valorose (N.d.R. Mondadori 2018),
l’attrice e autrice Lella Costa ha preso spunto per portar in scena “ Se non posso ballare… non è la mia rivoluzione” ovvero 93 storie di valorose donne che hanno contribuito al progresso e all’innalzamento morale dell’umanità che idealmente l’attrice invita a ballare sul palco accanto a lei delineando di ognuno l’esemplare modello di vita. Ed è così che l’altra sera presso il teatro Donizetti di Bergamo “ho visto ballare accanto a Lella Costa” anche la nostra amatissima Mamma Lucia! Non nascondo la mia forte emozione ed anche un pizzico di orgoglio per questa cittadina cavese diventata la mamma di tutti senza distinzioni geopolitiche “Son tutti figli di mamma”. Ho conosciuto Mamma Lucia.
Eccola: alta, magra nel suo lungo abito nero quasi tunica talare. “Vai avvicinati e baciale la mano” invitava me bambino mia madre ed io ricevevo da lei un bacio sul capo con un bene augurante “ Crisci santo figlio mio” e non mancava mai un affettuoso saluto ai miei genitori. Chi era per me, bambino, Mamma Lucia? Una figura mitica, un’eroina, affascinato da quanto si narrava avesse fatto: raccogliere centinaia di poveri resti di soldati caduti nelle nostre terre senza distinzione alcuna di opposte bandiere. Ma tutto ciò si sa ed è noto. E così Mamma Lucia, al secolo Lucia Apicella, l’altra sera sul palco del Donizetti “ha ballato” idealmente con Anna Frank, Emily Dickinson, Ilaria Alpi, Saffo, Frida Kahlo, Maria Callas, Margherita Hack, Edith Piaf, Eleonora Duse, Teresa D’avila, Anna Magnani, Anna Kuliscioff, Tina Anselmi, Elsa Morante, … uno straordinario corpo di ballo di 93 prime donne. Insomma un fiume inarrestabile di storie e di gesta esemplari, un fiume di donne celebrate da Lella Costa in un ballo che è un inno alla vita e all’amore universale.
Tra liriche e saggi sul Covid 19 anche un libro di “fiabe al contrario” per sconfiggere il famigerato “ drago Covidone”
In questi quasi due anni di pandemia, tante le pubblicazioni sul Covid-19. Tutte, più o meno, originali e ricche d’argomentazioni e spunti degni di attenzione, tra cui:
Una furtiva lacrima. Poeti al tempo del dolore. Di Felice Edizioni, a cura del poeta e critico, prof. Vincenzo Guarracino che sull’interrogativo, mai così di stretta attualità, “Perche si piange”, “interroga “ un nutrito numero di poeti italiani, alcuni molto noti come Ottavio Rossani, Guido Oldani, Valerio Magrelli, Giuseppe Langella, Gilberto Isella, Paolo Fabrizio Iacuzzi, Franesco D’episcopo. Delicata e intensa è la “risposta” che ci viene dai versi dall’amico poeta pavese ma da molti anni residente a Cava de’Tirreni, Fabio Dainotti: per lui, la creazione poetica, è una compensazione al disordine interiore. Una poetica della memoria affidata al riemergere dei ricordi, sia gioiosi sia anche i più dolorosi.
Assai interessante è poi il libro Storia del Coronavirus a Salerno e in Campania, Typimedia, testo che di là dalla dolorosa attualità, è un prezioso tassello bibliografico per la storia ultra millenaria della città di Salerno. In esso l’autore, il dott. Romano, giornalista e scrittore, si sofferma anche su i primissimi tremendi giorni di pandemia che flagellarono sopratutto Bergamo e la sua provincia, richiamandosi, tra l’altro, anche all’esperienza vissuta dallo scrivente, cavese ma bergamasco d’adozione, ripubblicando alcuni versi sul Covid, scritti in quei giorni e pubblicati su La Repubblica e altri quotidiani.
Ma soprattutto voglio soffermarmi su un libro di fiabe, o meglio di fiabe al contrario: Lo gnomo blu contro il drago Covidone e altre storie, Il quaderno edizioni, scritte a quattro mani dalla poetessa Teresa Rotolo e dal notissimo prof. Franco Bruno Vitolo, instancabile, costante presenza nel panorama culturale non solo cavese e campano ma anche con frequenti presenze a livello nazionale. Il libro molto piacevole e divertente, impreziosito anche dalle deliziose illustrazioni di Chiara Savarese, si legge veramente tutto dì un fiato con il sorriso sulle labbra tanto da far quasi dimenticare il doloroso dramma che ha scaturito la fertile fantasia dei due scrittori. Ma quale la novità di questo libro? In questi ormai due anni in cui la nostra vita è stata crudelmente violentata dall’inaspettato mortale arrivo del Covid, tanto da far quasi scomparire sulla bocca un sorriso, uno scatto d’ilarità e di spensierata gioia, ecco che i bambini, apparentemente proprio i più indifesi e deboli, si mettono all’opera e diventano essi i portatori di un sorriso, quel sorriso rasserenante che solo le favole sanno da sempre regalare. Progetto nuovo e ardito il loro: far tornare il sorriso ai grandi e in primis a mamma e papà. E allora eccoli impegnati “al contrario”: saranno loro che racconteranno ai propri genitori delle belle, divertenti, magiche fiabe.
“Quando ero più piccolo e avevo paura del buio, la sera, a turno mamma e papà si sedevano sul mio lettino e mi raccontavano fiabe, favole, leggende. Al suono delle loro voci dolci e morbide come la panna montata sula torta di cioccolato, mi addormentavo facendo sogni bellissimi in compagnia di elfi, gnomi, fanciulle fatate, folletti, maghetti. Ho deciso! Ora che sono loro un po’ spaventati e tristi sarò io a rassicurarli! Leggerò a loro una fiaba, la sera, prima di addormentarci, e poi parleremo insieme della storia che avrò raccontato io… E i sogni torneranno belli come prima! Non è magica la mia idea?”
“Ti racconterò una bella storia del folletto Magi, lo gnomo blu contro il drago Covidone ! E vedrai il bestione come se la darà a gambe!”
E non resta, quindi, che unirci in questo concerto di fiabe con la speranza che sia di preludio alla vera definita fuga del famigerato “Bestione”!
Alfonso Vitale, un uomo e un artista che lascia un vuoto incolmabile
A metà dicembre del 2019, nel far ritorno a Bergamo dopo alcuni giorni trascorsi nella “mia” Cava, come consuetudine, mi ero affettuosamente salutato con Alfonso con la mente alla primavera dell’anno dopo: quando, ancora una volta, saremmo stati insieme per la presentazione del mio ultimo libro di versi “Il senso vero della neve” che Alfonso aveva impreziosito con un Sua opera originale (ndr vedi foto). Ma poi…il maledetto Covid e questo fulmine che mi ha impietrito. Queste lacrime stanno urlando che non può essere vero che il carissimo amico Alfonso in solo pochi orribili attimi di un afoso luglio ci ha lasciati per sempre. Alfonso Vitale, il pittore come tutti, ma proprio tutti, lo conoscevano e non solo a Cava. Esuberante, sempre pronto al sorriso, a un’amichevole stretta di mano, … Quanto potrei dire, scrivere, di Lui, … ma, ahimè, la mano non ubbidisce vinta da mille emozioni e da un dolore vivo e penetrante. Proprio non ci riesco.
E penso allora che migliore ricordo non possa esserci che ascoltare Lui, Uomo e Artista, in questa mia intervista/presentazione all’ampio catalogo d’arte (Alfonso Vitale nel segno del colore tra disciplina e sperimentazione, Gutenberg Edizioni, 2014) a corredo della Mostra Antologica per i quaranta anni di pittura (1974- 2014) tenutasi a Cava presso il complesso Monumentale S. Maria del Rifugio.
Intervista ad Alfonso Vitale
Sera di ottobre. Un umido ottobre. A Cava non è per niente una novità. Nello studio di Alfonso Vitale in via 25 luglio, mi accoglie un’ampia vecchia poltrona un po’ sgangherata, ma meglio di niente. Intorno decine di tela di un mare di colori, ultimi suoi lavori. Con il 2014, prossimo a venire, saranno quarant’anni di pittura. Per iniziare questa informale chiacchierata, un tocco di buona banalità di sempre: Come passa il tempo………..
Tu molto spesso hai affermato che per te e in te, l’uomo e il tempo sono due costanti inscindibili …..
Io credo che solo vivendo il tempo, si diventi uomo. Ossia per essere uomo, bisogna vivere il tempo. Vivere il tempo significa non solo viverlo con intensità, ma addirittura intervenire, intervenire sulla sua durata, ………
Lo guardo con malcelato stupore. Sorride e continua.
Non prendermi per pazzo. So che non si può intervenire sulla durata del tempo in modo concreto, oggettivo, ma lo si può fare …dal di dentro, ognuno può intervenire sulla “durata del suo tempo….”
Ossia?
Ossia senza restarne mai schiavo sia quando il tempo è scandito da momenti brutti sia dai momenti belli, piacevoli . Specie in questi casi perché è molto facile attaccarsi possessivamente a stati di benessere , di piacere, disposti a qualunque cosa pur di conservare o almeno prolungare tutto ciò. E questo ti rende schiavo.
Credo di aver capito
E questa schiavitù ti allontana dal tempo reale; ti porta in una dimensione irreale in cui tu hai paura di confrontarti con nuove idee, hai paura dell’incerto, del non risaputo prima, hai paura e basta! Questo significa anche invecchiare pur essendo giovani.
E l’arte come può aiutarti? O meglio: l’arte ti ha aiutato in questa lotta?
L’arte può molto. L’ho capito sin da subito, appena ventenne.
Sul muro campeggia una vecchia tela con una scritta: “Uomo, più volte rompi l’equilibrio, più lo ristabilisci, e più sei giovane e più sei libero” Gliela indico …
Ti riferisci a quel periodo della tua vita?
Annuisce. Devi sapere che un giorno dei primi anni ’70, davanti ad una grande tela, accidentalmente squarciata, nel silenzio assoluto del mio studio, iniziai a ascoltare i miei pensieri interagendo con essi: segnando e macchiando quello spazio infinitamente bianco e vuoto. Non so quando tempo sia passato. Alla fine avevo davanti agli occhi quanto ancora si vede lì alla parte.
Pensi di aver toccato, fermato, almeno per un attimo, il tuo sfuggente tempo interiore… ?
Scrolla le spalle.
Penso di sì, o almeno lo spero… Ed è così ogni volta …
La tua pittura viene definita tout court pittura astratta, eppure nei tuoi quadri affiorano qua e là elementi figurativi che fanno storcere il naso ai puristi dell’informale e al tempo stesso non appagano gli amanti del figurativo…. Ci spieghi il perché, a volte, di questa scelta che per taluni è ibrida e forse incomprensibile?
Son felice di questa domanda. Cercherò di spiegarlo. Ogni volta che mi accingo a dipingere, la tela mi appare come un spazio bianco, vuoto ed immenso, più delle stesse dimensioni della tela stessa. E così sono preso dal desiderio di intervenire su di essa, ma al tempo stesso sono assalito dalla paura di intervenire: tracciando anche una semplice retta, una linea, perché con essa avrei disegnato l’archetipo stesso di un frammento, di una forma che “venendo fuori, prendendo vita”, assumerebbe una significazione ben precisa, identificabile da tutti e per sempre. Ma così facendo la “chiuderei” nella sua stessa figurazione, rendendola “schiava” del suo significato.
Ti poni, quindi, l’obiettivo di dare vita, respiro autonomo alle forme,forme aperte, che non siano più significante di qualcosa ma che diventino esse stesse significato, referente di se stesse, perdendo così anche la statica rappresentazione figurativa ?
E’ quello a cui aspiro: la mia pittura non deve mirare alla staticità, a “così e per sempre” come inevitabilmente accadrebbe in un’ opera figurativa e allora, istintivamente, la rompo, la frantumo, la tratteggio tra spazi pieni e vuoti che ridanno movimento, emozione, vita. Allora mi assalgono emozioni forti incontrollabili: i colori si affiancano, si amalgamano, si contrappongono, esplodono in grosse macchie, in grossi spazi. Vanno su e giù cercando contrasto, armonia, equilibrio. Alla fine, credimi, sono esausto.
Quale il tuo rapporto con il territorio, la tua città?
Bello, ma non facile. Si sa che il posto più difficile al mondo dove vivere per un artista è proprio il luogo dove sei nato. Non solo per un pittore, ma anche per un musicista, un poeta….
Interrompo
A volte si vien visti quasi come dei fuori di testa….
Ma in definitiva sono soddisfatto. Ho avuto abbastanza consensi e qualificati, ma anche severe recensioni, diciamo, “accademiche” da chi crede di poter pontificare: la mia parola vale più di un’altra, anzi è l’unica importante e vera.
Questo, lo sai, non si può evitare. C’è sempre chi crede di capire più e meglio di altri…
Si, però io dico che se la critica è positiva, va benissimo, ma se si critica per criticare….quasi per partito preso… non è né giusto né intelligente specie per chi critica.
Devi convenire, però, che anche tra gli artisti c’è chi non è che un mediocre pittore e si crede un Pollok!
Dai, cambiamo discorso….
Come avvenne la nascita de “il cortile- centro d’arte e cultura”, in quei primi anni 70? (*)
Per le nostre ore lontane dalle aule universitarie delle nostre rispettive facoltà, pensammo che fosse necessario confrontarci, ascoltare ed essere ascoltati, noi tra noi e con gli altri fuori da noi. Ma non distanti da noi. Volevamo stringerci attorno ad un sogno.
Un sogno con al centro l’arte. L’arte che parte differenziando e differenziando unisce…
Ci voleva un luogo per riunirsi e fu trovato in un importante palazzo nobiliare del centro. Un valido aiuto, ci venne da uno dei proprietari, lo scultore prof. Franco Lorito, più grande di noi per età, ma giovane dentro come e più di noi. Insostituibile esempio di uomo e di artista. E fu cosi che intorno a me e Massimo De Lista, direttori de “il cortile” si strinsero alcuni giovani artisti tra cui il carissimo amico lo scultore Vincenzo Avagliano. E non solo cavesi.
Cosa si faceva al “Cortile”?
Sorride. Si faceva tardi, a volte molto tardi. Si parlava, ci si confrontava, si sognavano personali e mostre con nomi importanti. Che vennero: Schifani, Mirò, Fiume, Brindisi,… perfino alcune pubblicazioni d’arte,…. ma queste cose tu le sai bene. Un doveroso grazie ancora a te e un ringraziamento caloroso al critico prof. Mario Maiorino, che spesso firmava autorevoli testi critici delle nostre Mostre.
E mentre avevi preso ad insegnare, vennero le tue prime mostre, i primi importanti riconoscimenti ………. Quale i momenti più belli, più esaltanti?
Senza dubbio l’emozione per la mia prima personale al Club Universitario Cavese, poi, ovviamente il Premio Mondadori e l’esperienza didattica/artistica vissuta ad Helsinki …
E ora ti accingi a festeggiare i quarant’anni di pittura con questa Mostra Antologica…quarant’anni di vita, del tuo del nostro tempo….
Ritento, ma non cade nel tranello.
Il tempo? Quale tempo….? Devo ripeterti quanto detto prima?
Lascio lo studio. Ha iniziato a piovere. Non ho l’ombrello. Passo per Corso Principe Amedeo, dinanzi all’abitazione dove ho vissuto per tantissimi anni. E’ buio. Le luci fioche mi rimandano indietro nel tempo (o forse saranno state le nostre chiacchiere di poco fa). Mi butto sotto i portici, come facevo allora: il passo è spedito. Forse incontrerò Mimmi Apicella che mi venderà l’ultimo numero de” Il Castello” o Padre Melloni con cui mi fermerò a discorrere su Dante. Ecco, nella penombra dell’ androne del palazzo, in perenne attesa, il “nostro Cortile”….
Cava dei primi anni ’70. Piccola città dal glorioso passato che ancora riviveva in rivoli culturali, più o meno interessanti. Allora nella nostra città si stampavano, e si leggevano, due, tre periodici: “ Il Castello” dell’Avv. Mimì Apicella, ”Il Pungolo” del notaio Filippo D’0ursi e poi “Il Lavoro Tirreno” del giovanissimo Lucio Barone più altre occasionali pubblicazioni. L’immortale struscio serale dettava i tempi dei giovani e meno giovani, ma l’ozio non era pane appagante per chi avesse voluto “alzare la testa” dalle vetuste arcate. Nessun teatro ufficiale, ahimè, a Cava, eppure c’era – e c’è ancora!- un appassionato compagnia teatrale “Il Piccolo teatro al Borgo” diretto da Mimmo Venditti; il cineforum, presso il Convento di San Francesco con l’annessa Galleria d’arte “Frate Sole” dell’ottimo indimenticato padre Malandrino. Non unica: in via Atenolfi, “Il Portico” del futuro editore prof. Tommaso Avagliano e del maestro Sabato Calvanese. E poi, la prime radio private, più di una, e ben due emittenti televisive “Tele Cava “ e Canale 44” dalla vita brevissima per colpa di un maledetto fulmine.
Cava, sera di un piovoso ottobre del 2013 Antonio Donadio