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In libreria: Tutto fu bello qui di Maurizio Zanon, Guido Miano Editore, 2020
Si perpetua ancora una volta l’Amore, quell’Amore impossibile anche da confessarsi. Il brivido ti annienta stordito. E con esso, la vita, quella di tutti i giorni che ti chiama, ti reclama: la pausa è solo semplice pausa, non può dettare legge né tempi oltre un fugace attimo d’incanto. E il poeta riprende a vivere, ma sul foglio veloce rivive quella Voce. Non altro da sé se non quell’esplosione di attimi. Attimi felici questi versi di Zanon, esplosioni che cesellano il vivere, aiutano a capire forse il dettato della propria vita e dei suoi simili, mortali viandanti: è come un amore clandestino che si scopre nell’evolversi dei versi … caduco quest’amore come un “muovere di foglie “… ma forte, coriacea è la figura dell’altra.
Sei la mia vita:
lo so non ci credi, mi guardi stupita
ed in questo muovere di foglie
non sei solo – dici – c’è sempre tua moglie.
E’ una lirica questa di una lievità e durezza insieme: quattro versi soltanto, dove lui, al suo diniego per “c’è sempre tua moglie”, è confuso, farfuglia qualcosa. Quell’inizio del terzo e ultimo verso “ non sei solo – dici –“ così spezzettato: quattro parole ad inseguirsi, (tre trisillabe e tre quadrisillabe), sonoramente ci regala il balbettare di un uomo che non sa cosa rispondere, quasi stupito che l’amante gli ricordi che ha moglie. E’ tutto come un soffio leggero di foglie portate dal vento. E’ la natura che fa da specchio e da testimone in un gioco di riflesse emozioni e sentimenti in queste liriche di Zanon. E in “Fiorito è il sambuco “ non è forse sconfitto anche il presuntuoso ragno che non può far altro che rifugiarsi in un buco “Scappa il ragno dentro a un buco” nell’esplosione del sambuco fiorito mentre la notte ha inizio con un magico momento d’amore: la luna insegue una stella, la più bella dell’intero firmamento? E’ l’esplosione della gioia di vivere che rende la vita bella, veramente bella. Quattro versi in rima dove la rima non solo ha funzione ritmica ma contenutistica, rima non formale ma sostanziale. La vita, la vita che traccia segni, disegni, tracce di sé dietro di sé: un semplice fazzoletto “accuratamente stirato/e smarrito/lungo i binari alla stazione” colpisce il poeta: certamente smarrito ma sorprendentemente stirato (rima in contrapposizione tematica). Ecco un semplice fazzoletto farsi specchio, testimone di un amore, di tutto un amore domestico. Così una piccola cosa detta agli occhi del poeta, al suo sentire, una storia come altre mille di cui non si conoscono né nomi né volti, ma così simili a noi. E il lettore ne rimane coinvolto. In “L’azzurra fuggevole estate”, poi, il dono di un alito di speranza per questi nostri angosciosi giorni.
L’azzurra fuggevole estate
Che luce traspare se il cielo è cupo
se il giorno non dona cose nuove
ma soltanto irrequietezza o depressione?
Ricordo allora quelle bianche vele al sole
quel caldo mare infrangersi sul molo, le voci dei ragazzi
appena sussurrate nell’azzurra fuggevole estate.
Non credo che sia difficile cogliere quanto attuali siano questi versi: primi tre versi in cui nulla di luce traspare se il cielo è cupo, se il giorno non regala più cose nuove, se in noi è solo ansia e apprensione. Ma il cuore ancor prima della mente si rifugia nei ricordi vitali di bianche vele al sole, del frangersi del mare, delle voci festose di ragazzi sussurrate, nell’azzurra fuggevole estate. Estate fuggevole come la giovinezza, versi che richiamano splendide atmosfere penniane. Ma il poeta tace il suo recondito desiderio: tornino, devono tornare ancora queste estati di bianche vele al sole e di mare e di risa di fanciulli.
Maurizio Zanon è nato nel 1954 a Venezia dove risiede. Laureato in Lettere Moderne, pubblica il suo primo libro di versi “Prime poesie” a venticinque anni. Costantemente attiva è la sua partecipazione a momenti culturali/poetici con stimolanti incontri con importanti poeti contemporanei come Diego Valeri, Giovanni Giudici, Andrea Zanzotto, Paolo Ruffilli. Tra le sue numerose pubblicazioni citiamo: Verrà l’estate (1980), Viale delle solitudini (1982), Epigrammi e altre poesie (1985), Poesie d’Amore (1991), La Bianca Alba (1999), Un girasole ho nel cuore (2004 ), Liriche scelte (2010), A ogni prima luce (2012), Luce campestre (2017), Tutto passa (2019). Alcuni suoi libri sono stati tradotti in inglese, francese, spagnolo, tedesco. Ampia e qualificata la rassegna stampa.
Duecento anni fa moriva Napoleone: dal libro di Vittorio Criscuolo (Ei fu. La morte di Napoleone, il Mulino 2021) all’incipit manzoniano dell’ode “Il Cinque maggio”
Napoleone “ presentandosi al mondo con l’aureola del martire” – sconfitto a Waterloo nel giugno del 1815 e dall’ottobre dello stesso anno esiliato per i suoi ultimi cinque anni di vita nella lontana e sperduta isola di sant’Elena in pieno oceano Atlantico Meridionale – “vinse l’ultima delle sue battaglie” ponendo così “il primo fondamento della leggenda”. E che Napoleone Bonaparte a dispetto di quanti, frettolosamente ed erroneamente, avevano ipotizzato che con la sua morte “sarebbe stato presto dimenticato” sia, invece, da quel fatidico 5 maggio 1821, divenuto figura leggendaria, è una delle affascinanti tesi che il lettore può ritrovare in un indispensabile libro appena pubblicato: “Ei fu, La morte di Napoleone, edito da Il Mulino”. Autore è il ch. mo prof. Vittorio Criscuolo, ordinario di Storia Moderna all’Università degli Studi di Milano. Al centro del libro il documento più importante sull’esilio di Napoleone e fonte insostituibile per le ricostruzioni storiografiche: il Memoriale di Emmanuel Las Cases che fu a fianco dell’imperatore nel suo lungo esilio. Il prof. Criscuolo, nativo di Salerno ma residente da anni a Milano, non è nuovo, tra l’altro, ad approfondimenti su Bonaparte (N.d.R. il giovane Napoleone, 1996; Napoleone, 1997; Napoleon, 2003.) In Ei fu, il professore si sofferma anche sull’eco che la morte di Napoleone suscitò in alcuni importanti poeti europei. Non solo sul “nostro” Manzoni che compose la celebre ode “Il cinque maggio” (su cui ritornerò fra poco). L’ode fu tradotta in lingua tedesca da Goethe e Alfhonse de Lamartine, giudicandola “perfetta”, disse che avrebbe voluto averla scritta lui. Molto significativa è, poi, una poesia scritta da Silvio Pellico, che pur molto lontano per orientamenti ideali da Napoleone, volle, da prigioniero nella fortezza dello Spielberg, ricordare il grande condottiero morto nella solitudine della lontana sant’Elena. Da sottolineare anche il capitolo che Criscuolo riserva alla filmografia napoleonica. Film solo in parte agiografici. Alcuni anche di pura fantasia come ipotizzare una “non morte” di Napoleone. Tesi che fu al centro di una sceneggiatura scritta da Charlie Chaplin nel 1936 ma mai realizzata. Il grande attore, ovviamente, avrebbe interpretato il ruolo del protagonista. Tra l’altro viene ricordato dal professore lo sceneggiato “Napoleone a Sant’Elena, prodotto dalla Rai nel 1973 e interpretato da Renzo Palmer per la regia di Vittorio Cottafavi e disponibile su Rai play.
Al libro, il Corriere della sera del 13 aprile ha dedicato una doppia pagina in Cultura a firma di Paolo Mieli che in modo articolato e ricco, introduce il lettore alla scoperta delle 228 pagine del saggio. Devo però segnalare la presenza in quest’ampio articolo di un refuso, uno svarione che questa mia rubrica di cultura poetica non può tralasciare. Scrive Mieli. “ Quando Napoleone morì, Alessandro Manzoni scrisse la celeberrima poesia il cui primo verso dà il titolo al libro di Criscuolo (Ei fu).” Un’inesattezza non solo formale ma sostanziale. Ei fu, infatti, non è il primo verso, come egli afferma, ma l’incipit del primo verso: “Ei fu. Siccome immobile“. Incipit presente fin dalla primissima stesura della famosa ode, riportata dal prof. Criscuolo e qui di seguito:
Ei fu: come al terribile
Segnal della patria
Tutta si scosse in fremito
La salma inorridita,
Come agghiacciata immobile
Dopo il gran punto sta.
Tale al tonante annunzio
Stette repente il mondo
Che non sa quando, in secoli,
L’uomo a costui secondo
La sua contesa polvere
A calpestar verrà.
Un incipit originale e dalla forza poetica straordinaria. Manzoni per indicare un uomo eccezionale come Napoleone Bonaparte, usa il “semplice” pronome personale Ei (Egli) di chiara derivazione dall’Ille latino (quel famoso). Non ne dice il nome. Per annunciare “questa” morte, gli basta una bisillaba Ei fu. Bisillaba che nella sua essenzialità scheletrica, tre vocali e una sola consonante, ”suona” come un sussurro, un soffio (suggerito dall’uso della consonante labiodentale “F”) leggero, appena solcato nell’attonita aria che il punto fermo posto alla fine tronca di netto. Fenomenale traslitterazione poetica: repentino e inaspettato è il passaggio dalla vita all’improvvisa morte. Infatti, non solo Manzoni ma l’Europa intera rimase sgomenta all’inattesa notizia della scomparsa di Napoleone. Questo fantastico, non che efficace, incipit manzoniano, mi porta a ricordare un altro incipit quasi simile: “ Si sta” in “Soldati” di Giuseppe Ungaretti scritta circa un secolo dopo nell’inferno della prima guerra mondiale:
Si sta come
d’autunno
sugli alberi
le foglie.
In quell’incipit “Si sta” è racchiusa la cifra del “dire poetico”. L’uso di quel bisillabo tronco (accento tronco in chiusura e iterazione/anafora della “S”: come di un temuto mortale sibilo di un colpo di moschetto), dà la rappresentazione ritmica della provvisorietà, del veloce accadimento di qualcosa d’ineluttabile. Il come che segue a fine verso, fondamentale l’enjambement, riveste l’aria di sospesa attesa che è soddisfatta, poi, dai versi seguenti “ d’autunno/sugli alberi/le foglie”. Versi che sono solo una rappresentazione scenografica della tragedia che incombe sui soldati. Immaginiamo, per un istante, che Ungaretti avesse scritto “stanno o stiamo”, certamente il concetto non sarebbe mutato, ma sarebbe cambiato tutto, non sarebbe stato un verso di pura Poesia.
Vittorio Criscuolo, nato a Salerno il 1951, ha conseguito la laurea in Scienze politiche presso l’Università degli studi di Roma “La Sapienza” nel novembre 1974 con voti 110/110 e lode, discutendo una tesi di laurea in storia moderna (relatore prof. Armando Saitta) su “Giuseppe Abamonti e il giacobinismo meridionale”, che è stata riconosciuta degna di pubblicazione. Dopo anni come assistente, assegnista e ricercatore presso l’Università romana si trasferisce a Milano. Attualmente ricopre la carica di professore ordinario di Storia Moderna e Storia dell’età dell’illuminismo e delle Rivoluzioni presso l’Università Statale milanese. Fa parte del Collegio del dottorato in “Storia, cultura e teorie della società e delle istituzioni” della medesima Università. Numerose le sue pubblicazioni che sono fondamentale punto di riferimento non solo per i suoi studenti ma anche per studiosi e appassionati di storia moderna.
Guarda il sole – mi dico – non sarà mica Pasqua?
Un giovanissimo ciclista ritratto in tutta la sua vigoria fisica in questa mia poesia tratta da un libro di parecchi anni orsono, mi auguro vivamente che possa essere il simbolo di questa nostra Pasqua così dolorosamente tormentata, anche quest’anno, dalla pandemia.
Che sia concretamente una Pasqua di totale renovatio, spirituale per i credenti per tutti umana e sociale.
(Stazione n 6)
“Guarda il sole – mi dico – non sarà mica Pasqua?”
Ride il fanciullo innamorato
all’ombra discreta della lunga quercia
a riposo dopo tanto pedalare
stride la catena per tanto moto ormai
silente quasi mormora incomprensibile.
Tutto è primavera da tempo o forse sempre.
Vola oggi più in alto il sole
ad abbracciare l’antico sapore d’aria
ubriaca saltellante senza vergogna
bambina ancora nel gioco di sospirosi zefiri
“e se fosse Pasqua davvero?”
Lascerò al rosato pesco profumato
un posto nel mio giardino tessuto di nuovo
di colori e soffice erba.
Nulla importa -mi dico- della zolla
fredda smorta che impudica s’offre
dalla cima del monte al viandante
che riempie occhi e suoni del lontano paese
addormentato oggi di luce risveglio
“domani smuoverò la mia zolla” lascerò
spazio e mente al mio fiorire
senza invidia né spiare di giardini oltre.
Lungo il sentiero riprende il giovane ciclista
la deposta bicicletta pronta a ripartire:
un colpo di reni e via. Scompare.
Andrà sudato sfrecciando nella catena brontolona
al ritmo gioioso: ”è Pasqua”.
Già mi attendono ormai non posso oltre
mancare. La dura zolla terrosa
attenderà domani giovani fiori piantati.
Antonio Donadio
(da “L’alba nella stanza” con nota di Mario Luzi, Book 1996)
Con i versi del poeta e amico Antonio Donadio da parte della Redazione un caloroso augurio di Serena Pasqua.
Oggi 25 marzo: DANTEDI’. E domani e dopo?
Mi domando: sarebbe giusto, il giorno di Natale o di Capodanno, mangiare tanto fino a esagerare e poi digiunare, o quasi, per tutto il resto dell’anno?
Giusto, giustissimo il DANTEDI’, ma se DANTE è il PADRE della LINGUA ITALIANA e della POESIA e oggi, 25 marzo, data d’inizio della Divina Commedia, è festeggiato con un innumerevole “spiegamento di forze” dal web alla tv alle testate giornalistiche grandi e meno grandi, con “dotti interventi” di accademici, luminari, attori (bravi o solo presunti tali), allora mi chiedo perché si onora il Padre della POESIA e poi ci si dimentica per il resto dell’anno “dei suoi figli” e con essi, cosa estremamente riprovevole, si dimentica la stessa POESIA che oggi attraverso Dante si onora?
Quanto spazio, normalmente, è dato alla POESIA dai mezzi d’informazione cartacea e televisiva? Ai poeti del passato, anche quello più recente? E ai poeti contemporanei? Questi ultimi vivono in vere e proprie “riserve”: dalla loro scrivania “si muovono” in gruppo (spesso, anche gli uni contro gli altri), s’incontrano (ieri dal vivo, attualmente in streaming) tra di loro e con pochi “fedeli”: i loro versi si alzano nell’aria nello spazio di una serata per ripiombare nel chiuso delle pagine dei libri.
Tralascio di parlare della “presenza sul web” di “siti poetici”. In verità numerosi e lodabili senz’altro, ma in molti casi la POESIA è solo sfiorata o addirittura latitante.
E allora perché non pensare a un POESIADI’ quotidiano come un “telegiornale della mente e dello spirito” ? Troppo poche, a mio avviso, le attuali rubriche cartacee e televisive “culturali” e troppo “limitate”: spesso ci si riduce a “libri appena usciti” per una macedonia di generi, ove la POESIA è quasi sempre assente. Perfino il 21 marzo, Giornata Mondiale della POESIA, soffre di un’insufficiente eco.
Anche la POESIA è linfa vitale:
“Considerate la vostra semenza:
Fatti non foste a viver come bruti,
Ma per seguir virtude e canoscenza”
Dante Alighieri
(Divina Commedia, Inferno canto XXVI, vv.118/ 120)
8 MARZO
In questi miei semplici versi scritti nel lontano 1988 festeggiando presso l’Istituto Magistrale di Cava de’ Tirreni la festa della donna e qui riproposti, la mancata parità tra uomo e donna viene denunciata in modo dissacrante e ironico attraverso un excursus temporale tra “luoghi comuni” e libera interpretazione di frasi celebri di scrittori e poeti fino ad atteggiamenti sessisti riscontrabili, ieri come, purtroppo, ancora oggi.
Donna
Donna. Sempre senti parlar nel mondo intero
di quest’Essere che pur non sembra vero.
L’uomo dice: ” Ma se nacque da una costola d’Adamo
allora è proprietà del maschio, non ci sbagliamo!
E se ingannar si fece dal dio serpente
è un essere inferiore, un deficiente!”
E per bontà, l’uomo che è buono per natura,
subito la circondò di ogni cura.
“ A patto però, le disse, sia chiaro questo
che il padrone di tutto io sempre resto!”
E così, seppur ancor non Donna,
presto fu alzata a ruolo di Madonna.
Per lei, l’uomo soffre, piange e si dispera
e questa Donna non gli sembra vera:
“Un angelo in terra a miracol mostrare”
ma per fregarla poi, si dà da fare!
Ma l’uomo che è onesto e fine assai
non si fermò, non si sbagliò giammai:
amarle tutte non è giusto, e lui
“ le vecchie e laide” le lasciò altrui!
Alla Donna gentile ”repaira sempre amore”
e sempre lui la canta con ardore,
ma quando alfin finisce il verso,
l’uomo si mostra, in vero, assai diverso:
la Donna angelicata lo farà cantare
ma le altre lui pensa a conquistare.
E non si ferma e mai non si sgomenta
e ogni seduzion più fina tenta.
Diventa re, guerriero, artista
avendo la sua meta ben in vista:
il regno, la pugna, la poesia
tutto va bene, basta che ci stia!
Dice:” Per lei conquisterò il mondo”
ma pensa solo al suo tornaconto!
Se Beatrice fu il messagger di Dio,
lo fu per Dante che disse: ”La comando io”
E immortale è Laura per il suo Petrarca,
così ogni regina per il suo monarca.
Persin la morte si canta della Pia
per chi dai vivi la condusse via!
E se la donzelletta vien dalla campagna,
del suo faticar, lei non si lagna:
“Ornare ella s’appresta il dì di festa”
per l’unico suo scopo che le resta:
provarle tutte e riprovarle ancora
alfin che un uomo di lei poi s’innamora!
E se il matrimonio, poi,” non s’ha da fare”
non sa quali pericoli va a scampare!
Ma Alessandro ch’è un ottimo scrittore,
salva alla fine il voto eppur l’onore!
In casa, poi, lei dovrà sgobbare
ma lui la chiama “angel del focolare”
Spesso di sentirà sola e strana.
Passerà la vita a rassettar la tana.
E quando l’uomo l’avrà per figlia,
solo azioni oneste le consiglia:
“ Devi essere buona, dolce e ubbidiente
il papà tuo, lo sai, lui non mente.”
Il prete, il padre e perfino i figli
tutti alla Donna regalano consigli.
Tutti le dicon quel che deve fare
per sopravviver se vuole alfin campare:
“Fingi di non vedere e di non sentire
e quello che tu pensi mai non dire.
L’uomo, si sa, è lui il sesso forte,
fai buon viso a cattiva sorte”
E quando alfin contesta e urla tanto
è lui, è l’uomo il solo a trarne vanto:
“E’ isterica, si sa, è sempre Donna
pur se porta brache e non più gonna!
Che ridicole poi, ste’ femministe
Cose d’altro mondo, giammai viste!”
Si combatte per giustizia e parità
ma l’uomo le taccia di stupidità!
Nel cinema si crede la padrona,
ma è l’uomo che porta la corona. .
Furioso le urla il buon regista:
“Metti le cosce bene in vista!
non te move e statte ritta
tu devi star solo nuda e zitta!”
Non ha pensieri né dolori mai
e la TV la libera dai guai.
Oggi la Donna è assai più bella
se lucida a specchio la padella,
se l’uomo giusto vuol trovare,
il sapone delle dive deve usare.
E se il fustino, poi, non vuol scambiare
ecco la prova di sapere amare!!
Da quando nasce, insomma, fino a morte
quella della Donna è triste sorte:
l’uomo non si tanca mai di cacciarla:
quando è giovane e forte per amarla
e quando è ormai assai maturo
e della preda si sente ormai sicuro,
se ne serve sempre a piacimento
in ogni modo ed in ogni momento.
E’ quello dell’uomo uno strano amore
che parte dalla mente e non dal cuore.
Per una Donna, però, lui sempre s’infiamma.
È una gran Donna: è solo la sua Mamma!
Ma il motivo è presto poi svelato:
Sol perché dalla mamma un giorno lui è nato!!!
(Cava de’ Tirreni, 8 marzo 1988) Antonio Donadio