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Cava de’ Tirreni (SA). Cento anni dalla nascita di Settimia Spizzichino, reduce da Auschwitz e concittadina onoraria

La memoria sarà onorata con una serie di iniziative nel dopoCovid prossimo venturo.


La memoria non è cenere, ma fuoco che arde”. Parole sacrosante, quelle pronunciate giovedì 15 aprile dal Sindaco di Cava de’ Tirreni Vincenzo Servalli dopo la meditazione silenziosa e la posa della corona di fiori davanti all’iscrizione marmorea della strada dedicata a Settimia Spizzichino. L’occasione era il centenario della sua nascita, in una manifestazione promossa dal Comune di Cava de’ Tirreni e dall’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) cittadina.

E di fuoco ne fa bruciare tanto, quasi esplodere, il ricordo di Settimia, ebrea romana, cittadina onoraria di Cava de’ Tirreni, l’unica donna sopravvissuta alla deportazione del 16 ottobre 1943 dal ghetto di Roma ad Auschwitz, testimone attivissima della Shoah, paladina della dignità umana.

Arde, e come, il dovere di ricordare quel pozzo nero della storia che è stata la persecuzione razzista contro gli Ebrei, sfociata nella tremenda soluzione finale dello sterminio di marca nazista, ma giunta al termine di un cammino discriminatorio radicato nei secoli. Un ricordo la cui fiamma deve essere capace di illuminare sempre la coscienza di un’umanità che purtroppo non ha smesso di dividere le persone in categorie etniche o culturali o religiose o sociali o sessuali e considera troppo spesso solo una parola l’invito sempre attuale del “fratelli tutti” che viene da lontano e che è il marchio luminoso non solo dell’enciclica ma dell’intero pontificato di Papa Francesco.

Quel fuoco si propaga ardente dalla figura di Settimia, che non ha mai smesso di parlare, testimoniare, accusare, invitare tutti a ricordarci di ricordare. Ed è, o dovrebbe essere, la benzina di energia perché ognuno di noi nel suo piccolo dia il suo contributo, la sua “goccia”, per costruire l’oceano di una società più giusta.

È un fuoco che per noi cavesi ha un livello di gradazione in più. È a Cava che, nel lontano 1995, decollò la voce di Settimia, che, pur se già forte, non aveva ancora lo strumento principale della comunicazione ad ampio raggio, cioè una pubblicazione scritta che raccontasse la sua vicenda.

Fu un decollo indimenticabile: l’invito da parte dell’Amministrazione Comunale, Sindaco Raffaele Fiorillo e il sempre rimpianto consigliere Franco Prisco in primis, l’incontro in Comune con oltre mille studenti e centinaia di cittadini per tre giorni “di fuoco”, la nascita o il consolidamento di un’amicizia “oltre la Shoah” con il gruppo organizzatore e il “grande gancio” Angela Benincasa…

E poi, finalmente, Lui, il libro della Memoria.

Fu il Comune di Cava a pubblicare l’autobiografia di Settimia, “Gli anni rubati”, stesa con il contributo di Isa di Nepi Olper, in un’edizione curata dalla Biblioteca Comunale nelle persone di Teresa Avallone e Federica Clarizia insieme con il sottoscritto scrivente Franco Bruno Vitolo. Tre edizioni, centinaia e centinaia di copie distribuite in tutta Italia, la raccolta di offerte destinate ad un viaggio collettivo ad Auschwitz. E con quei soldi studenti e cittadini cavesi, unitamente a lei e ad un gruppo di reduci romani o loro familiari, visitarono i lager con chi li aveva sperimentati. Difficile rendere a parole l’emozione e la lezione che quel viaggio donò e dona ancora. In compenso, sia la terza edizione de “Gli anni rubati”, con le testimonianze dei ragazzi, sia il libro che racconta il viaggio, cioè “Cioccolato ad Auschwitz”, sono tuttora strumenti che circolano nelle scuole e aiutano a ricordare ed a tenere acceso il fuoco. E una delle foto simbolo di Settimia e della Shoah, con il suo volto in primo e lo sfondo dei fili spinati, usata anche per il manifesto della deposizione della corona, fu scattata proprio nel corso di quel fatidico viaggio.

Intanto, tra un incontro e l’altro in Italia e nei luoghi deputati dei media, Settimia non aveva mai smesso di frequentare Cava, la sua amica-sorella-figlia-“mamma” Angela e la sua famiglia, e il gruppo di amici, abituati ormai a considerarla non la reduce Settimia ma l’amica Settimia.

E così, venne naturale la concessione della cittadinanza onoraria, poco prima della scomparsa, avvenuta il 3 luglio del 2000. Ma la sua memoria mai è rimasta cenere. Uscì postuma la terza edizione di “Gli anni rubati”, con testimonianze anche di Walter Veltroni, Francesco Rutelli, del Rabbino capo. Fu consegnata alla comunità romana a Roma in occasione dell’intestazione di una scuola proprio a lei.

E poi, il film monografico su di lei, “Nata due volte” , montato su materiale originale (di cui gran parte della Fondazione Spielberg) dal regista Giandomenico Curi. Il titolo evocava la data della sua seconda nascita, cioè la liberazione dal lager avvenuta proprio il giorno del suo compleanno e attraverso una fuoruscita “uterina” dal rifugio provvisorio sotto un mucchio di cadaveri.

E poi, l’intitolazione a Cava della traversa di via Filangieri, che presto dovrebbe diventare uno stradone di collegamento.

Di recente, l’avveniristico Ponte Spizzichino sul Tevere, disegnato da un superbig come Calatrava. E proprio il 15 aprile perfino un francobollo emesso dallo Stato!

E ancora tanti, tanti giri delle sue parole e del suo messaggio attraverso i libri, i video, i testimoni indiretti.

Insomma, la figura di Settimia, come quella di altri reduci, è ancora una caldaia bollente in cui far cuocere il cammino verso una società più giusta.

Una caldaia il cui fuoco va alimentato anche dalla Comunità cavese. È questo il senso delle parole del Sindaco, che valgono come promessa. Promessa di un convegno autunnale proprio in occasione del centenario, di un arricchimento di notizie nel sito web comunale, di una quarta edizione de “Gli anni rubati”, tuttora molto ricercato in tutta Italia, di un’adeguata celebrazione anche in Città nelle future giornate della memoria, magari, con l’indizione di un concorso letterario riservato ai giovani.

Perciò siano seme e germoglino presto le parole del Sindaco Servalli, non a caso pronunciate avendo accanto l’ex Sindaco Raffaele Fiorillo, che accolse Settimia per primo, e Luca Pastore, giovane Presidente dell’ANPI, che porterà la fiaccola accesa nei giorni a venire, Ce n’è tanto bisogno, di quel germoglio, e non solo per il ricordo della Shoah, ma anche per rafforzare uno dei picconi necessari per abbattere i muri tuttora presenti e predisporre praterie di giustizia per quello strano e tuttora misterioso mondo del dopoCovid che si prospetta davanti alla nostra umanità smarrita.

A quel fuoco, sotto quella caldaia, non sono chiamate solo le istituzioni, ma ognuno di noi… Insomma, commuoviamoci pure, ma poi muoviamoci…

Cava de’ Tirreni – Salerno. La lettura della musica non sarà più la solita “Sol-Fa”

Dal 23 marzo in streaming il Progetto “La filiera della musica”, promosso da tre istituti scolastici.


Martedì 23 marzo 2021, dalle ore 18, alle ore 20, in diretta streaming sul canale YouTubedell’I.C.“Carducci-Trezza” link e condiviso anche sulla pagina Facebook link si terrà il primo appuntamento del progetto “La filiera della musica”, promosso dall’Istituto comprensivo di Cava de’ Tirreni Carducci-Trezza, dal Conservatorio Statale G.Martucci di Salerno e dal Liceo Musicale De Filippis-Galdi di Cava de’ Tirreni. In programma, un seminario di aggiornamento tenuto dal Adiutore Loffredo, docente della massima istituzione musicale salernitana.

Il seminario, dal titolo “Metro-Ritmo-Tempo. Tematiche inerenti alla lettura ritmico intonata”, rivolto ai docenti di ogni ordine e grado, inserito tra le iniziative formative della piattaforma S.o.f.i.a., getterà nuova luce sull’atavico problema del cosiddetto “solfeggio parlato”, ancora oggi, in parte, vivo nella didattica pratico-teorica delle classi di ogni ordine e grado degli istituti musicali italiani.

L’apertura dei lavori sarà inaugurata dal dirigente scolastico ospite Filomena Adinolfi, unitamente al dirigente del Liceo Musicale “De Filippis-Galdi” Maria Alfano, il direttore del Conservatorio Statale di Musica “G.Martucci” di Salerno Fulvio Maffia, i referenti scolastici del progetto Filiera della Musica, Ciro Abate, per la scuola primaria, la pianista Anna Squitieri e il cellista Ivan Iannone, per il liceo musicale, moderati dal critico musicale Olga Chieffi, con la regia della pianista Miriam D’Amico, referente per la scuola secondaria d’appartenenza.

Il M° Adiutore Loffredo cercherà di risolvere e dissolvere, una volta per tutte, l’etimologia di “Solfa”, derivante appunto da solfeggio, che sta per ripetizione monotona e noiosa delle stesse parole, nel muovere rimproveri e recriminazioni: “è sempre la stessa solfa”; battere o cantare la solfa, ripetere qualcosa fino alla noia, secondo il vocabolario della Treccani. Metodi nuovi, frutto di una nuova visione, attraverso cui si potrà, finalmente, portare l’allievo a leggere ed eseguire in modo semplice e accattivante la partitura.

Con questo corso di aggiornamento, verrà inaugurato anche il progetto inerente la creazione di una filiera formativa dell’istruzione musicale, oggetto, negli ultimi anni, di disposizioni normative importanti, a partire dal DLgs n.60 del 2017 e fino al DM n.382 del 2018, che hanno definito un quadro di riferimento nazionale in cui, la scuola secondaria di I grado ad indirizzo musicale, costituisce il primo dei tre segmenti, su cui si fonda l’intero percorso formativo musicale.

In una dimensione di scuola inclusiva, oggi più che mai, la pratica musicale rappresenta un’esperienza universale imprescindibile, ad alta valenza culturale e sociale. L’obiettivo di una formazione educativo-musicale è l’elemento caratterizzante della scuola secondaria di primo grado: educare attraverso la musica, valorizzando a pieno gli aspetti socio-affettivi dell’esperienza musicale.

A seguito di riflessioni si avvia, così, un percorso di collaborazione con la finalità armonizzare gli obiettivi formativi della scuola secondaria di I grado a indirizzo musicale con quelli del segmento successivo dell’istruzione musicale, ovvero Licei Musicali e Conservatorio, favorendo lo scambio di esperienze e di modelli pedagogici. La costruzione, quindi di un curricolo verticale armonico che parta dalla scuola primaria e arrivi al Conservatorio, condividendo e programmando insieme i percorsi e le strategie più indicate per raccordare tutti gli obiettivi della musica, da quello relazionale, umano e di formazione della persona a quello più marcatamente professionalizzante, da riservare soprattutto a quegli studenti che manifestano motivazione e attitudine alla prosecuzione degli studi nel segmento successivo del liceo musicale o dei corsi propedeutici o pre-accademici.

L’ufficio stampa de’ “La Filiera della Musica”

Cava de’ Tirreni (SA). I versi della Giara: on line i libri e i video della terza Edizione

Rimandata al DopoCovid la pubblicazione cartacea.


Meno male che la Poesia c’è ancora, nonostante questi nostri tempi così terribilmente spoetizzanti. E meno male che c’è la Biblioteca Comunale, qui a Cava. Non per ospitare cittadini (da quasi un anno è pura utopia…), ma almeno per organizzare iniziative di apertura come anticorpi alla chiusura. Palliativi, piccoli raggi di sole nell’acqua gelida, ma proprio per questo è ancora più bello sapere che ci sono.

Uno di questi raggi, tra quelli con maggiore riserva di calore, è la Giara – Raccolta e antologia di poeti metelliani (e non solo), giunta ormai alla sua terza edizione.
Per rinfrescare la memoria, ricordiamo che tre anni fa la nostra Biblioteca, su idea di
Annamaria Armenante e con il supporto pieno dell’Amministrazione Comunale, collocò nella Sala del Consiglio Comunale del Palazzo di Città una giara vera, predisposta per accogliere ad imboccatura aperta i versi prodotti a Cava e dintorni. Un oggetto fortemente simbolico, in piena linea con la splendida metafora di Marguérite Yourcenar, che ne “Le memorie di Adriano” definì le Biblioteche “i granai dell’anima”.

E fu subito un bel successo. Oltre cento le opere raccolte il primo anno da oltre cinquanta autori di tutte le età e formazione, quasi tutti cavesi o di città limitrofe.

Settanta di queste, max un’opera per poeta, furono poi pubblicate in un gradevole opuscolo presentato a Palazzo di Città il 21 marzo 2019, per celebrare nel modo migliore la Giornata Mondiale della Poesia. E fu una manifestazione ricca di presenza, di emozioni, per un’iniziativa che, come disse il Sindaco Vincenzo Servalli e come abbiamo già a suo tempo ricordato, è un’ulteriore dimostrazione di come il Palazzo di Città possa e debba essere la Casa Comune, non solo per la burocrazia ma anche per cementare l’identità collettiva e stabilire un ponte tra le generazioni. Una Casa Comune che ha sempre bisogno di un’anima: e la nostra poetica e originale Giara è tutta energia sul vento di quest’anima.

La pubblicazione e la presentazione dovevano fare il bis anche nel 2020, ma il virus ci ha messo lo zampone… Il 21 marzo scorso cadde nei primi giorni del superlockdown di primavera e della svangante processione di camion mortuari di Bergamo. Come potevamo noi cantare?, direbbe il buon Quasimodo. Le cetre dei poeti, almeno nella dimensione pubblica, furono appese all’arco delle attese.

E la presentazione in Comune non ci fu.

Ma intanto le poesie erano state consegnate e qualcosa bisognava pur fare

La Biblioéquipe, composta operativamente da Mena Ugliano, Federica Clarizia e Gaetano Guida e con la collaborazione del sottoscritto scrivente, non solo non ha rinunciato alla pubblicazione, ma l’ha fatta tripla: prima un’edizione sfogliabile on line sul sito Facebook della Biblioteca Comunale; poi un Bibliovideo, con recitazione delle proprie poesie da parte degli autori e di qualche “ospite d’onore”; infine, ad inizio 2021, la distribuzione dell’edizione cartacea.

E la Giara fu. Anzi, continuò ad essere.

Contestualmente all’uscita del cartaceo 2020, è stata lanciata la Giara 2021. A tambur battente sono state raccolte le poesie di oltre cinquanta autori ed a tamburo altrettanto battente la nuova edizione sfogliabile on line, sul sito I versi della giara 2021, è stata pubblicata proprio il 20-21 marzo, in concomitanza assoluta con la Giornata Mondiale della Poesia. Contemporanemente, è stato aperto lo spazio della VideoGiara, dove i poeti stanno cominciando a far affluire le interpretazioni delle loro opere.

Pertanto, il materiale per il cartaceo è già pronto e il lirico libretto uscirà appena possibile, quando saranno proclamati l’avvenuta Fine della Nottata Covid e l’inizio dell’era DC (Dopoguerra Covid). Se sarà possibile stabilire un canale dinamico con le scuole, saranno anche inserite le poesie degli studenti, per quest’anno sganciate da quelle degli adulti per comprensibili motivi di dislocazione pandemica.

E la Giara c’è… e ci sarà ancora.

Per rispetto dei singoli e dello spirito di totale e democratica accoglienza delle opere presentate non staremo qui a commentare le singole poesie presenti nella Giara 2021, ma ci sembra cosa buonissima e giustissima evidenziare due particolari molto significativi.

Innanzitutto, l’elastico dell’età dei partecipanti: andiamo dai (quasi) novant’anni agli undici anni! È proprio vero che la poesia non ha età!

E poi, per la prima volta la Giara si è extraregionalizzata. Anche se si tratta di persone in qualche modo collegate alla nostra città o al territorio, sono arrivate poesie dalla Lombardia (la prof. Luisa Mazzanti e, alla memoria, il “professore delle poesie” Natalino Sala), dal Piemonte (Marianna Siani, quindici anni), dal Veneto (la prof. Anna Volpe), dal Lazio (il poeta scultore Fiorello Doglia), dagli Abruzzi (Paolo Degli Esposti, cantautore e scrittore), dalla Calabria (Domenico Staltari, Presidente dell’Associazione Nazionale Poeti e Scrittori Dialettali). Insomma, tanti colori diversi… non quelli dei contagi, ma quelli dei contagiati dalla voglia di “cantare” le vibrazioni della vita.

Anticorpi, anticorpi dell’anima per abbracci futuri.

E in quegli abbracci ci sarà anche un po’ di Giara… E così sia…

Oltre ad aver citato i promotori, ci sembra giusto anche elencare tutti gli “attori” dell’iniziativa, cioè i poeti che hanno offerto il loro contributo:

In lingua italiana: Maria Alfonsina Accarino, Giovanna Alfano, Marisa Annunziata, Lucia Antico, Annamaria Apicella, Annamaria Armenante, Morena Avella, Bivio, Lucia Criscuolo, Teresa D’Amico, Antonio Di Riso, Alfonso Maria Di Somma, Fiorello Doglia, Pasqualina Fariello, Chiara Ferrara, Rosalba Fieramosca, Serena Luciano, Mariano Mastuccino, Luisa Mazzanti, Antonietta Memoli, Laura Mirra, Matteo Monetta, Antonio Monte, Biagio Napolano, Emanuele Occhipinti, Elena Ostrica, Oriana Palumbo, Anna Pisapia, Prisco Pepe, Vittorio Pesca, Pinuccio Galdo Porpora, Giovanna Rispoli, Luigia Rotolo, Rosanna Rotolo, Teresa Rotolo, Natalino Sala, Marianna Santoro, Marianna Siani, Mariarosaria Salsano, Silvana Salsano, Annamaria Santoriello, Stefania Siani, Antonino Tamigi, Elvira Venosi, Cesareo Vitale.

In lingua napoletana: Maria Alfonsina Accarino, Alfonso Apicella, Alessandro Bruno, Guglielmo Cirillo, Giuseppe Capone, Mirella Costabile, Carmen Cuomo, Paolo Degli Esposti, Ciro Longobardi, Mario Mastrangelo, Michele Porfido, Mariarosaria Salsano Marianna Santoro, Francesco Senatore, Pina Sozio, Anna Volpe, Franco Bruno Vitolo.

In lingua della Locride: Domenico Staltari.

OTTAVIANO (NA). “IN VIAGGIO AL VESUVIO”. Docufilm con la regia di Enzo Franco

Domenica 7 marzo 2021, alle ore 16:30, in streaming sui canali social dell’Ente Parco Nazionale del Vesuvio, sarà presentato “In viaggio al Vesuvio”, il docufilm a cura del regista Enzo Franco prodotto dall’Ente Parco Nazionale del Vesuvio, Istituito con Decreto del Presidente della Repubblica del 5 giugno 1995, RISERVA MONDIALE DELLA BIOSFERA UNESCO.

La realizzazione del documentario rientra tra le attività di promozione programmate dall’Ente Parco al fine di diffondere, anche attraverso strumenti multimediali, ad un pubblico quanto più vasto possibile, informazioni sul patrimonio naturalistico, geologico, archeologico e enogastronomico racchiuso nell’area protetta.

Nonostante la grave emergenza causata dalla pandemia, nel corso del 2020, si è riusciti a completare la realizzazione del docufilm, con la regia di Enzo Franco, regista documentarista che vanta un’ampia esperienza nel settore, avendo realizzato numerosi film e reportage, su tematiche ambientali e sulla valorizzazione culturale e la promozione sociale dei territori.

Il documentario è definibile come docufilm poiché il racconto si snoda sulle esperienze e gli incontri con esperti del territorio, vissuti da una protagonista nel corso del suo viaggio al Vesuvio, ha una durata 61 minuti ed è realizzato secondo i più alti standard audiovisivi.

Sono contento – dichiara il Presidente dell’Ente Parco Nazionale del Vesuvio, Agostino Casillo – che dopo molti mesi di lavoro sia stato ultimato questo importante progetto di promozione. Sono tanti i documentari che negli anni sono stati realizzati sul nostro territorio, ma quasi tutti si focalizzavano maggiormente sull’aspetto geologico ed archeologico; con questo lavoro, invece, abbiamo voluto raccontare il Parco sotto le sue molteplici sfaccettature. Il risultato – conclude il Presidente Casillo – è davvero emozionante e per questo colgo l’occasione di ringraziare tutti coloro che con il loro lavoro hanno contribuito a realizzare questo bellissimo prodotto”.

Abbiamo cercato – commenta il Direttore dell’Ente parco, Stefano Donati –, di tessere un racconto, con leggerezza e semplicità, a contatto non solo con i luoghi del parco, ma anche con le persone, gli esperti e gli addetti ai lavori, per cercare di mostrare un luogo magico, stratificato, ricco di fascino e significati, secondo prospettive diverse e intrecciate, con la natura come filo conduttore”.

CAVA DE’ TIRRENI (SA) – Genzano (RM). Fiorello Doglia, il poeta della pandemia e delle parole scolpite

Fiorello Doglia, poeta e scultore di Genzano (Roma). Abbiamo avuto il piacere di conoscerne il fascino artistico e lo spirito creativo e costruttivo in occasione delle ultime manifestazioni dell’Accademia Arte e Cultura di Michelangelo Angrisani, dove egli è stato pluriesposto e pluripremiato come poeta e come scultore. Con lo stesso piacere, abbiamo accolto la sua più recente pubblicazione, Un autunno, un inverno, e ci accingiamo a parlarne, perché le sue opere sono sempre un bagno di sensibilità, fantasia, emozione e umanità.


Grandinano parole, nelle poesie di Fiorello Doglia. Parole ungarettianamente scavate nell’abisso, ma nello stesso tempo pesanti come pietre. Ognuna col suo peso, nessuna leggera, tutte miranti alla leggerezza perduta e sperduta. Parole che solo apparentemente piovono dalla realtà contingente, ma di fatto sono meteoriti d’immenso, che bruciano, guaiscono, guariscono, cauterizzano le ferite.

La sua ultima raccolta, la quinta, sia nel titolo sia nelle immagini di copertina (due belle sculture da lui stesso realizzate, rappresentanti il bisogno di Oblìo e il sogno della Rinascita) richiama la lunga e defatigante odissea che l’umanità sta affrontando con le quattro stagioni della pandemia. Si pone come ideale continuità rispetto alla raccolta precedente, Pan-de-mi-a, che con accenti più o meno simili cantava la primavera del coronavirus e delle clausure. Se però quella primaverile era figlia del dolore e madre di speranza, carica di lampi di improvvisa coscienza, questa stagione invernale (esaltata dalla serie di incipit “viene l’inverno” e tremante all’idea di un oggi senza domani) è piuttosto una defatigante maratona di soffocati respiri disperati alla speranza, ma mai alieni da quel cocktail di pessimismo dell’intelligenza e ottimismo della volontà che nasce dalla coscienza di potere e dover resistere (respiro: tutto il resto lotta!).

In entrambe le raccolte, la dimensione pandemica è solo un punto di partenza.

Come altrove, egli parte da quello che succede per riflettere su quello che i cinque sensi del suo sguardo colgono o percepiscono. Ben oltre la superficie, ben oltre le mascherine, che coprono di ulteriori maschere esseri umani inscemiti dalle apparenze. Proprio queste apparenze sono scardinate dalla grandine di parole che spezza la crosta di inconsapevolezza che copre la nostra coscienza del vivere.

Da poesia della storia i suoi versi si trasformano nel canto dell’esistenza, guizzante favilla lampo scintilla. È un viaggio verso se stesso e verso l’uomo realizzato attraverso un’arte viva visionaria farneticante meditabonda solitaria erratica. Che sia il canto dell’esistenza è dimostrato dalla pioggia di amore e dolore che egli inietta nella sua grandine: è l’alternanza che ognuno di noi assapora nel lungo lampo della vita. Così, la falce di luna vola tra acque teneramente silenti e un graffio crudele e noi col poeta voliamo dall’alto della carezza più pura del mare alla riva danzante fino a ricadere, trascinati da lacrime come lapilli eruttati al cielo, in un’alternanza defatigante tra purezza e putridume. E rimaniamo laceri di ferite e di domande, pronti a provare e riprovare progetti fandonia su spoglie inerti, inutili, illuse, ma coscienti di non poter rinunciare al dono immenso dell’immenso, perché ognuno di noi finisce col sentirsi sperduto ma mai perduto, pronto comunque a distillare amore dall’amaro agire.

Le espressioni appena tracciate sono rubate qua e là tra le poesie e accorpate in versi unitari lì dove nel testo sono scritte in versi spesso monoverbali, dove il poeta si rivela lirico direttore di un’orchestra di parole, assonanze, consonanze, chiasmi, anafore, metafore… La forma non è però fine a se stessa, bensì congruente con la sostanza. Egli, pur frantumando il suo mondo emozionale in un bollente big bang di pietrosi frammenti, non perde mai né il controllo né le tracce del suo essere primario. Per questo è in grado non solo di ricomporre la grandine di parole in un blocco unico pur se disomogeneo, ma anche di offrire al lettore la possibilità di vivere con lui tutto il percorso di uno scoppio dell’anima che sa ricomporsi e ricomporre pur nella sua scomposizione.

Questo succede perché il poeta ha il cuore in magmatica ebollizione, ma non perde mai la mano ferma della ragione e non la fa perdere al lettore, che infatti riesce a seguirlo, anche concettualmente, nel succedersi “visionario” dei suoi frammenti e nei suoi messaggi. Non a caso egli, artista per passione, è agopuntore di professione, vale a dire un maestro del ricomporre equilibri all’interno degli squilibri. Non a caso egli, scultore di parole, è anche poeta della scultura, autore di opere che ricompongono in forme liriche ma ben riconoscibili tutto il doloroso groviglio dell’essere e della storia.

Perciò egli si può permettere di farci rotolare tra le scintille, perché sa che è la strada per farci toccare la radice del fuoco, quello più profondo, quindi di vivere, o rivivere finalmente il tempo-tempio della poesia del dire e del vivere vero.

È questa l’anima più concreta ed emozionante del suo percorso poetico, che gli permette di essere spettatore-attore di un’umanità in cerca di umanità. Egli ne vive dentro tutti gli smarrimenti, ma sa anche distaccarsene in astrale come un gatto sornione indeciso se piangere o ridere a vedere lo spettacolo di tanti levrieri che corrono verso il nulla per afferrare la polvere di niente.

In questo distacco, egli, pur con assorte parole stormite appena, riesce ad intravedere la strada del viaggio verso se stesso e verso se stessi. Si aggrappa alla bellezza struggente e sfuggente del mare di settembre, prende coscienza che ciò che è è e ciò che c’è è, decide, e implicitamente invita a decidere, di cogliere, migliorare, abbracciare, amare, condividere. E parte verso l’obiettivo più affascinante, che solo l’intenso dell’immenso può donare: rubare la meraviglia che siamo.

E la speranza di questo furto ci ridona tutta la carezza dell’energia…