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La Ceramica Francesco De Maio decora il “Pointillisme” di Alessandro Mendini

Il capolavoro ideato e realizzato per il Festival del Paesaggio 2018 di Capri, farà parte della collezione permanente del nuovo Museo dell’isola.


CAPRI (NA). Una parete di maioliche invasa da25.590 minuscole pennellate a forma di puntini, in una sorta di nebulosa colorata dalle infinite valenze semantiche e simboliche dell’isola azzurra. L’opera d’arte, ideata dall’architetto Alessandro Mendini e realizzata dalla Ceramica di Vietri Francesco De Maio di Nocera Superiore rivisita in stile mendiniano il pavimento della Chiesa di San Michele di Anacapri e sarà esposta nel nuovo Museo Casa Rossa di Anacapri. 

Il pannello, dalle dimensioni 280x240cm con maioliche 20x20cm della Ceramica Francesco De Maio decorate a mano ed ispirate al puntinismo, ovviamente coloratissimo, “alla Mendini”, impreziosirà la terza edizione del Festival del Paesaggio di Capri curata da Arianna Rosica e Gianluca Riccio in agenda dal 27 luglio al 20 ottobre. 

Attrazione della kermesse che, attraverso le mostre Renato Mambor / Anacapri 2018 e Postcards, proporrà nuove riflessioni sul tema del paesaggio osservato e analizzato da inediti punti di vista, sarà proprio il progetto speciale “Pointillisme” di Alessandro Mendini appositamente realizzato per il Museo della Casa Rossa di Anacapri. 

E così, nel vernissage previsto per venerdì 27 luglio alle ore 19, la poetica del grande artista di origine milanese regalerà un’ulteriore apertura ai linguaggi del contemporaneo nel solco della tradizione valorizzando, al tempo stesso, gli spazi e le architetture preesistenti sul territorio. 

Una perfetta occasione d’incontro tra l’eccellenza e l’antica tradizione della ceramica vietrese di cui la Francesco De Maio è emblema mondiale e la creatività made in Italy di Alessandro Mendini, tra i più apprezzati designer contemporanei. (Lara Adinolfi)

Federica Santoro in Siberia da jazz star

Successo e apprezzamenti per la tournée asiatica della cantante, cavese doc e residente a Roma.


federica-santoro-jazz-siberia-cava-de-tirreni-luglio-2018-vivimediaCAVA DE’ TIRRENI (SA) – ROMA. Un elegante manifesto, siberiano doc, in caratteri latini e cirillici. Al centro, c’è lei, Federica Carmen Santoro, la diva della serata, con il suo bel volto giovane vagamente tenebroso e ripieno di una luce morbidamente sensuale, a promettere un gran concerto jazz in cui danzerà la sua voce carica di swing e ricca di dolci e intense modulazioni. È uno dei cinque manifesti di una tournée in Siberia, che ha visto Federica protagonista dal 23 al 27 aprile a Pervomaysk, Barnaul, Tomsk, Kemerovo, Novosibirsk, non solo in qualificati jazz club ma anche in sale di alto prestigio destinate alle filarmoniche.

Federica, oggi di stanza a Roma, è cavese doc e figlia d’arte. I genitori sono infatti la prof. Rosa Salsano, ceramista e scultrice di vaglia, dal volatile spirito creativo, e l’avvocato Raffaele Santoro, attore per vocazione esistenziale e teatrale, da decenni sulla scena con Mimmo Venditti e la sua compagnia, con la quale debuttò nel primo anno di vita la stessa Federica, “interpretando” il ruolo di una neonata nella commedia “Mio marito aspetta un figlio!”

Federica è donna di spettacolo talentuosa e ad ampio spettro. Pur avendo avuto esperienze di regia e scrittura teatrale (tra i suoi lavori, il dramma Sempre amore), si è caratterizzata come cantante, inizialmente leggera. Da ragazzina si distinse in musical prodotti dal suo maestro Michelangelo Maio, in testa quello molto suggestivo sulla nostra Mamma Lucia, poi è arrivata alla TV nazionale, cantando nella trasmissione RAI di Carlo Conti I raccomandati, dove fece anche coppia con Orietta Berti, ricevendone elogi e incoraggiamenti.

Dopo un breve periodo di stasi forzata, è riuscita, come era nei suoi sogni iniziali, a maturare altezze e profondità della voce e si è perfezionata come cantante di jazz, sempre più apprezzata, tanto da essere scelta nel 2017 per il progetto romano del Gregory’sclub dal titolo provocatorio We hate singers (Noi detestiamo i cantanti), proprio perché considerata una “strumentista vocale” capace di ispirarsi ai grandi del passato senza fermarsi all’ imitazione ma pervenendo alle conquiste dell’interpretazione personale.

Perciò la tournée in Siberia, ricca di pubblico e di applausi, è stata la consacrazione di un’autorevolezza crescente, un gratificante traguardo di ripartenza. Magari, la definitiva scalata al Monte dei sogni …

Cari ragazzi che volete un mondo senza criminalità

Nell’anniversario dell’attentato, una prof ricorda Borsellino ai giovani di buona volontà


cava-legalita-borsellino-cava-de-tirreni-luglio-2018-vivimediaCAVA DE’ TIRRENI (SA). Mi occupo da molti anni di Educazione alla legalità presso il Liceo Scientifico ‘Genoino’, un progetto didattico che fa parte integrante del DNA dell’Istituto e che ha favorito incontri ad altissimo tasso di interesse con personaggi simbolo a livello nazionale, tra cui Maria Falcone, Antonio Di Pietro, Gherardo Colombo. E tante sono state le produzioni creative: tra tutte, il cortometraggio Pallottolina, che una quindicina di anni fa a Marano vinse il Primo premio e il riconoscimento fu consegnato personalmente da Rita Borsellino, sorella di Paolo, generando una tempesta di emozioni e di stimoli. E poi, il viaggio a Palermo fino all’Albero Falcone con la nave della legalità… E poi, tante altre iniziative, mirate a fare in modo che gli ideali dei “grandi” come Falcone e Borsellino camminino veramente con le gambe delle nuove generazioni.

L’idea di scrivere questo articolo mi è venuta dopo aver partecipato di recente a due eventi molto significativi per la nostra città: la manifestazione ‘A testa alta’ , svoltasi presso il mio Liceo, e l’incontro al Bar Libreria “Rodaviva” con il diciassettenne Vittorio Vavuso per la presentazione del suo romanzo ‘Padre camorra’. Questi due eventi mi hanno fatto comprendere che i nostri giovani vogliono essere protagonisti, vogliono analizzare e capire eventi anche oscuri della nostra storia passata e recente. Io, come cittadina e soprattutto come prof., ho sentito il dovere di raccontare alle nuove generazioni uno di questi fatti, la condanna a morte del giudice Paolo Borsellino.

Sono trascorsi ventisei anni dal tragico attentato in cui perse la vita il giudice Paolo Borsellino, insieme ai coraggiosi agenti della sua scorta. Ventisei anni di dolore , di mistero, di rabbia per una morte annunciata che nessuno ha saputo o voluto impedire. Tra il 23 maggio e il 19 luglio 1992, in quei cinquantasette giorni che separarono le stragi di Capaci e Via D’Amelio, in Italia la fiducia nelle istituzioni venne messa a dura prova. Una parte di Paolo Borsellino morì insieme a Falcone. Lui stesso chiamava Giovanni Falcone ‘la mia assicurazione sulla vita’. Dopo il 23 maggio il giudice capì che il prossimo sarebbe stato lui.

Il 19 giugno 1992 il generale dei carabinieri Antonio Subranni, comandante del ROS, invia un rapporto al comando generale dei carabinieri in cui sottolinea che numerose fonti , mafiose e non, hanno riportato la decisione di Cosa Nostra di uccidere Paolo Borsellino.

Il 28 giugno presta giuramento il governo Amato: ministro della Giustizia Claudio Martelli, alla Difesa Salvo Andò, al Viminale Nicola Mancino. Di ritorno da Bari, a Fiumicino Paolo Borsellino viene raggiunto dal ministro Andò che gli comunica dell’informativa del ROS, spedita anche alla Procura di Palermo. Possibili bersagli di Cosa Nostra sarebbero, oltre al giudice, lo stesso ministro Andò e il PM di Milano Antonio Di Pietro. Paolo Borsellino non sa assolutamente nulla di questa informativa, il procuratore Pietro Gianmanco non gli ha comunicato nulla.

Il 29 giugno Borsellino si precipita nell’ufficio di Gianmanco, è indignato, vuol capire perché nessuno lo abbia informato. Gianmanco farfuglia delle giustificazioni incomprensibili, sa che nulla potrà mai giustificare il suo comportamento. Paolo Borsellino è ormai un Dead man walking, un uomo morto che cammina, lo Stato lo sa , i suoi colleghi lo sanno, ma nessuno muove un dito per evitare questo tragico evento.

Antonino Caponnetto ha più volte raccontato l’ultimo straziante incontro con Paolo. “Lo salutai e gli dissi : ‘Arrivederci a presto’. Paolo mi rispose:’ Sei sicuro, Antonio, che ci rivedremo?’ Allora mi abbracciò con una forza che mi fece male, come a non volersi distaccare, come a volere tenere avvinto qualcosa di caro e portarselo via. Ecco, lì ho sentito che quello era l’addio di Paolo.”

Agnese Borsellino ha ricordato che negli ultimi tempi suo marito usciva da solo per comprare le sigarette o il giornale, come se volesse mandare un messaggio ai suoi carnefici, perché lo uccidessero quando lui era solo e non quando si trovava con i suoi angeli custodi.

Il 30 giugno Paolo Borsellino inizia a verbalizzare le dichiarazioni del pentito Leonardo Messina che evidenziano con chiarezza lo stretto rapporto esistente in Sicilia tra mafiosi, politici ed imprenditori.

Il 1° luglio interroga il pentito Gaspare Mutolo. Dall’agenda grigia del giudice risulta che alle 15 sarebbe stato alla Dia per interrogare il pentito; alle 18.30 avrebbe avuto appuntamento con il Capo della Polizia Parisi e alle 19.30 con il Ministro degli Interni Mancino. Il pentito racconta che il giudice ritornò talmente sconvolto dall’incontro al Viminale ‘da mettere in bocca contemporaneamente due sigarette’: probabilmente non incontrò Mancino ma Bruno Contrada e lo stesso Parisi.

Il resto della storia,purtroppo, è noto a tutti. Paolo Borsellino dichiarò pubblicamente: ‘Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri’.

Gli ultimi giorni di vita del giudice furono tesi e febbrili. Due giovani colleghi lo videro piangere. Disteso sul divano, mentre le lacrime gli bagnavano il volto disse. ‘ Non posso pensare che un amico mi abbia tradito’. Dopo tanti anni quelle parole forse hanno trovato un senso. In questi ultimi giorni i giudici della Corte d’Assise di Caltanissetta hanno depositato le motivazioni della sentenza del processo Borsellino quater: milleottocentocinquantasei pagine, un lavoro minuzioso che dimostra senza ombra di dubbio che le indagini sulla strage di via D’Amelio furono depistate da uomini delle istituzioni. In queste ore il funzionario di polizia Mario Bo e gli agenti Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo sono stati rinviati a giudizio con l’accusa di calunnia in concorso: avrebbero confezionato una verità di comodo sulla fase preparatoria dell’attentato, costretto il finto pentito Vincenzo Scarantino a fare nomi e cognomi di persone innocenti , determinando, inoltre, la sparizione della famosa agenda rossa del giudice. Una ricostruzione, seppur sintetica, di questa amara vicenda era necessaria, per ricordare che servitori infedeli dello Stato, mossi da ‘un proposito criminoso’, esercitarono in modo distorto il loro potere.

Caro Paolo, la tua onestà è stata la tua condanna. Avevi paura di essere ucciso, eri straziato dall’idea di lasciare i tuoi bellissimi figli e la dolce Agnese, ma hai continuato anche senza il tuo amico Giovanni a combattere, a lavorare freneticamente, perché eri vicino alla verità. Su quell’agenda rossa probabilmente erano annotati i nomi dei traditori dello Stato, la loro pubblicazione sicuramente avrebbe provocato un terremoto politico di inaudite proporzioni. Così non è stato, ma non dimentico che tu, Giovanni, i ragazzi della scorta siete morti per noi , che abbiamo un grande debito di riconoscenza nei vostri confronti e che, seppure non possiamo riportarvi in vita, possiamo onorarvi ogni giorno facendo il nostro dovere, rispettando le leggi, agendo con onestà, tenendoci a debita distanza da piccole e grandi forme di corruzione. Solo questo possiamo e dobbiamo fare con coraggio per tenervi vivi e per essere degni del grande messaggio di impegno civile che ci avete lasciato. (Angela Di Gennaro)

Omaggio ad Allen Ginsberg

Alla Locanda del Mare i versi potenti e taglienti di un poeta visionario della Beat Generation. Proiezione del rarissimo film di Robert Frank e Alfred Leslie, “Pull My Daisy” (1959).


allen-ginsberg-poeta-salerno-luglio-2018-vivimediaPAESTUM (Salerno). Continuano gli incontri dedicati alla grande poesia attraverso la collaborazione tra Casa della Poesia e La Locanda del Mare. Sarà un omaggio ad Allen Ginsberg e alla beat-generation l’appuntamento in cartellone per giovedì 12 luglio alle ore 21.30, con ingresso rigorosamente gratuito.

Poeta visionario, Allen Ginsberg  incarna al meglio gli ideali portati avanti dagli avanguardisti della beat generation assieme ad altre figure letterarie eccezionali quali Jack Kerouac o William Burroughs.

I materiali presentati a La Locanda del Mare da Sergio Iagulli, Raffaella Marzano e Giancarlo Cavallo fanno parte del gigantesco archivio sonoro e visivo di Casa della Poesia, raccolto in più di 20 anni di attività, straordinario patrimonio per il nostro territorio.

Tra questi anche una serie di letture di Allen Ginsberg, tra cui “Howl” (Urlo) l’opera che ha segnato un’epoca e creato un nuovo mondo, oltre ad una serie di video di Ginsberg e di altri protagonisti della beat-generation (Lawrence Ferlinghetti, Janine Pommy Vega, Martin Matz) e le collaborazioni con Paul McCarthy e Bob Dylan.

Versi taglienti e disperati, quelli di Ginsberg in Howl. «Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate nude isteriche, trascinarsi per strade di negri all’alba in cerca di droga rabbiosa, hipsters dal capo d’angelo ardenti per l’antico contatto celeste con la dinamo stellata nel macchinario della notte», scrive. Sono il preambolo di ciò che diventerà il caso editoriale del XX secolo, oltre che il poema per eccellenza della Beat Generation, movimento culturale che destò l’America dal torpore post conflitto mondiale. Urlo (Hawl) è una ballata psichedelica dedicata dall’autore a Carl Salomon, un amico incontrato nell’istituto psichiatrico in cui era ricoverata la madre di Ginsberg, ed è intrisa dei sentimenti di protesta e ribellione nei confronti dell’autoritarismo della società americana di quel tempo, considerata dall’autore una feroce matrigna.

Infine un vero piccolo evento sarà la proiezione del rarissimo film di Robert Frank e Alfred Leslie, “Pull My Daisy” (1959, min. 26), nella traduzione italiana di Raffaella Marzano che ridà poeticità e accuratezza filologica al testo di Ginsberg e Jack Kerouac.

Il film vede come protagonisti Allen Ginsberg, Gregory Corso, Peter Orlovsky, e con Jack Kerouac che, come autore e voce fuori campo, accompagna l’intero film con una lettura strepitosa del testo. Il film di Frank e Leslie è considerato da molti, insieme a “Shadows” di Cassavetes, il film di riferimento del cinema underground newyorkese degli anni ’50. 

A Carl Solomon

Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate  nude isteriche,

trascinarsi per strade di negri all’alba in cerca di droga rabbiosa,

hipsters dal capo d’angelo ardenti per l’antico contatto celeste con la dinamo stellata nel macchinario della notte,

che in miseria e stracci e occhi infossati stavano su partiti a fumare nel buio soprannaturale di soffitte a acqua fredda fluttuando sulle cime delle città contemplando jazz,

che mostravano il cervello al Cielo sotto la Elevated e vedevano angeli Maomettani illuminati barcollanti su tetti di casermette

che passavano per le università con freddi occhi radiosi allucinati di Arkansas e tragedie blakiane fra gli eruditi della guerra,

che venivano espulsi dalle accademie come pazzi & per aver pubblicato odi oscene sulle finestre del teschio,

che si accucciavano in mutande in stanze non sbarbate, bruciando denaro nella spazzatura e ascoltando il Terrore attraverso il muro,

che erano arrestati nelle loro barbe pubiche ritornando da Laredo con una cintura di marijuana per New York,

che mangiavano fuoco in alberghi vernice o bevevano trementina nella Paradise Alley, morte, o notte dopo notte si purgatoratizzavano il torso

con sogni, droghe, incubi di risveglio, alcool e uccello e sbronze a non finire…  […..continua]

ALLEN GINSBERG, Urlo (1955-1956)

Bancarella Sport: anche la cavese Elena Catozzi tra i finalisti

Insieme con Federico Buffa ha scritto la biografia di Mohammad Alì-Cassius Clay


elena-catozzi-federico-buffa-premio-bancarella-cava-de-tirreni-luglio-2018-vivimediaCAVA DE’ TIRRENI (SA). Esaminare la produzione editoriale non con l’ottica della nicchia, ma in base alla capacità di impatto con il pubblico. Fin dalla sua nascita, è questo il DNA del Premio Bancarella, che ha fatto la fortuna del Concorso, uno dei più ambiti, perché nasce dal consenso e moltiplica il consenso.

Sulla scia del successo ottenuto, il Premio è cresciuto e si è moltiplicato, creando al suo interno la Sezione Sport, che quest’anno per i cittadini della Valle Metelliana ha riservato una magnifica sorpresa. Infatti, tra i finalisti risultanti dalla Selezione elaborata dalla Giuria ufficiale, è presente anche Elena Catozzi, cavese doc, operativa a Roma, laureata in Lettere, giornalista, studiosa di Cinema e Storia del Cinema.

Insieme con Federico Buffa, che è oggi in Italia il maggior aedo multimediale dello sport, ha scritto Muhammad Alì, un uomo decisivo per uomini decisivi, pubblicato da Rizzoli. È l’appassionata ed appassionante biografia di Cassius Clay, “il più grande”, il pugile che nella seconda metà del secolo scorso ha lasciato una scia profonda anche a livello sociale. Con un’affabulazione avvolgente che ha spaziato ad ampio raggio tra sport e storia, musica e società, la coppia ha dimostrato di essere magnificamente assortita.

La finale, con la proclamazione dei vincitori, sarà effettuata a Pontremoli il 21 luglio prossimo. I rivali della coppia Buffa-Catozzi sono di primissima qualità e popolarità. C’è Non so parlare sottovoce (Cairo Editore), autobiografia di Aldo Agroppi, mediano di costruzione e opinionista polemista dalla linguaccia toscanaccia. E si è messo in moto Loris Capirossi, grande e tormentato campione delle due ruote, che ha raccontato con Simone Sarasso La mia vita senza paura (Ed. Sperling & Kupfer). Il rombo dei motori da accendere nell’anima è necessario quando lo sport si sposa con vicende umane e necessità di resilienza: è allora che devi cercare L’eroe che è in te ed ecco che il dott. Claudio Marcello Costa racconta tanti anni e tanti episodi vissuti tra i box nella sua lunghissima carriera di medico del motomondiale. All’attacco della vittoria, un campione della difesa come Sergio Brio, la cui biografia è raccontata da lui stesso insieme con Luigia Casertano in L’ultimo stopper. E poi, Arpad Weisz e il Littoriale, di Matteo Matteucci (Ed. Minerva), la storia terribile e straziante di un allenatore italiano di calcio di origine ebraica all’epoca del ventennio fascista, che insieme con la sua famiglia subì l’emarginazione per le leggi razziali e poi la deportazione nei campi di lager.

Se consideriamo che sono stati solo segnalati due volumi ad altissimo tasso di popolarità come Inter 110 di Gianfelice Facchetti e Nicolas Ballario (Ed. Skira) e Nuvolari, lui, di Cesare De Agostini (Ed. Ponchiroli), appaiono chiari sia l’importanza del traguardo comunque raggiunto sia il livello di difficoltà per andare oltre. Ma Federico Buffa e Elena Catozzi oltre ci sono già andati, non solo per la finale, ma soprattutto perché il libro è bello, leggibile e profondo. E, nel caso di Elena, perché l’accoppiata gestita alla grande con un grande come Federico Buffa è un vero e proprio salto di qualità, che Le auguriamo possa essere una rampa di lancio verso la scalata al monte dei sogni.

Intanto, un brindisi è d’obbligo.In stile “La vita è bella”, Elena può già ben dire: “Ho vinto anche io!”…