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CAVA DE’ TIRRENI (SA). Parrocchia di San Lorenzo: il congedo di don Raffaele Conte, maestro di “religioia”

Gli succede don Giuseppe Nuschese, colonna nascente della Chiesa metelliana.


Il buon sacerdote si riconosce da come viene unto il suo popolo. Quando la nostra gente viene unta con olio di gioia lo si nota: per esempio, quando esce dalla Messa con il volto di chi ha ricevuto una buona notizia.

Pronunciata da Papa Francesco agli inizi del suo pontificato quando cominciò la sua campagna a favore dei “sacerdoti non asettici”, questa definizione si adatta a pennello a don Raffaele Conte, il parroco della Chiesa di San Lorenzo a Cava de’ Tirreni che lo scorso week end (30-.31 gennaio) dopo oltre cinquant’anni di sacerdozio e venti circa proprio in quella parrocchia, ha concluso il suo mandato. Si è congedato in un emozionato ed emozionante abbraccio collettivo, gravido di un affetto profondo che viene da lontano e guarda lontano, Si è congedato con la sobrietà, l’essenzialità e l’incisività di sempre: semplicemente celebrando l’eucaristia e poi, nel consueto congedo scritto, invitando a vivere la vita come un’opera d’arte, non nel senso estetico, ma cercando sia il senso della vita e delle azioni sia la bellezza delle cose e delle persone.

I fedeli se ne sono andati per una volta non solo unti di gioia ma anche unti di lacrime, pregne di commozione e dolore per il distacco da una figura straordinaria, intrise di contrito dispiacere per la non buona notizia di un congedo che, per quanto non inatteso a causa di problemi di salute, è risultato quasi improvviso e accelerato rispetto all’interregno collaborativo che da poco si era instaurato con il futuro parroco, don Giuseppe Nuschese.

In effetti, il modo di vivere il sacerdozio e l’esistenza da parte di don Raffaele è di quelli che lasciano un segno profondo, perché danno colore e calore ad ogni istante della vita quotidiana, gioioso o doloroso che sia, e arrivano al cuore della spiritualità di una persona. Questo segno egli lo ha lasciato fin dall’inizio della sua missione, quando, pur rispettando le regole della liturgia tradizionale, finiva a volte col romperle, nel suo intento di puntare all’uomo e non alle forme, di privilegiare il potere dei segni sui segni del potere.

Fermo restando il cammino verso l’al di là che caratterizza alla base la vita del cristiano ed è segnato dal lato verticale della croce, don Raffaele è sempre stato molto attento anche al lato orizzontale della croce stessa. Quindi, il suo messaggio in tutte e due le direzioni era ispirato rigorosamente dalle buone novelle che provengono dalle Scritture, in particolare dalla purezza di intenti e dall’inno all’amore fraterno esaltati dal cristianesimo originario e poi tenuti accesi nei secoli dai cristiani di buona volontà. Parole d’ordine: santificare la giornata con la coscienza della gratitudine e della gioiosa meraviglia per i doni utili e belli del creato, con l’intensità dell’armonia benedicente rispetto al mondo esterno…. e poi preghiera, meditazione, apertura del cuore, fraternità. Il tutto non tanto nello spirito imperativo dei dieci comandamenti quanto soprattutto in quello purificatorio e rivoluzionario delle beatitudini, che suggeriscono non cosa non fare ma quale strada seguire per essere “unti di gioia”.

Le celebrazioni e le iniziative di don Raffaele andavano tutte in questo senso.

La vita parrocchiale, oltre che dalla normale liturgia, era arricchita da un progetto permanente di formazione comunitaria, fatta di incontri, dibattiti ed eventi culturali e spirituali. La sua messa era un’ “ora di religioia”, perché i fedeli vivevano in pieno il senso della comunità, condividendo tra loro l’anelito verso l’alto, trasmettendo frammenti dell’anima nelle preghiere, meditando sulle lezioni di vita quotidiana offerti dalle letture del giorno.

Queste lezioni erano corroborate dai deliziosi “pizzini” distribuiti ogni settimana: luci di Vangelo vivo, testimonianze e suggerimenti d’Amore, tracce beatificanti di guida per un cammino personale e collettivo di purificazione e miglioramento. Questi foglietti, messi uno sull’altro, rappresentano un patrimonio etico e spirituale di straordinario valore, un patrimonio da custodire e trasmettere. Non a caso è nell’aria l’intenzione da parte di qualche fedele di pubblicarne i più significativi e distribuirli alla collettività, magari alla presenza testimoniale dello stesso don Raffaele, che per una volta, anche se conoscendolo ne farebbe a meno, dovrà stare sotto la luce dei riflettori non solo come ministro: e lo accetterà, sapendo bene che anche quello sarà un ministero…

Perciò, vogliamo tutti quanti intendere che il suo sia il congedo da un incarico, ma non dalla vicinanza pastorale, amicale e spirituale che tanti legami e tanto affetto ha stabilito in questi anni. Vogliamo intendere che egli non sarà più “in un ruolo”, ma in un modo o nell’altro continuerà a condividere con i fedeli momenti altissimi di cultura, spiritualità e umanità.

E continuerà a cambiare le vite delle persone, come testimoniano queste parole di Annamaria Apicella, una delle sue più affezionate compagne di viaggio, che tra l’altro in parrocchia per anni ha avuto l’onore e l’onere di incontri di formazione ed ascolto con gli adolescenti, nel pieno spirito della “Linea Conte”.

Ha cambiato la mia vita!

Come? Lo racconto!

Venivo fuori da concetti arcaici: un Dio punitivo attraversava le mie ore di cammino.

Durante i suoi ascolti tra Messe recitate in ordine e orari perfetti, tra libriccini “confezionati” da lui con l’aiuto di volontari, mi guardavo intorno e sentivo il silenzio. Una meraviglia!

Il nostro ascolto procedeva e raggiungeva il cuore!

Le preghiere dei fedeli erano il frutto del vissuto di ognuno di noi. Come pure l’omelia, forte e decisa mentre rompeva vecchie regole. Una lezione di vita: succo di un amore evangelico.

Raffaele è entrato nella mia vita in punta di piedi così come sa fare… quando avevo 18 anni.

Da allora è stato il punto di riferimento nel percorso non sempre facile della mia vita.

Il suo ascolto era vero, sentito: apprezzava la sincerità del cuore.

Con lui Cristo non è lontano. È uno di noi che sa vivere il quotidiano con verità di vita.

Una volta gli chiesi dove fosse Cristo. E contemporaneamente mi rispose a cuore aperto “È con noi, dentro di noi”.

Il nostro rapporto di profonda semplicità. Era come scavare nell’interiorità quando diceva Messa.

Le sue Messe! Di notevole cultura!

Passaggi sinteticamente profondi: dall’altare al cuore aperto e pronto a ricevere per poi trasformare in azioni. Quelle azioni che erano frutto del suo ascolto. E il tutto veniva catturato per giorni futuri diversi.

E il quotidiano diventava più leggero. Aveva già il sapore del futuro. Un futuro in prospettiva di arrivi divini.

La divinità altrove!

Pur con le amarezze del congedo, ci sembra però cosa buona e giusta anche aprire il cuore in un abbraccio di benvenuto al successore di Padre Raffaele, don Giuseppe Nuschese, giovane carico di energie, di entusiasmo e di cultura, che a dire di tutti rappresenta una delle perle nascenti più luminose della Chiesa territoriale. A lui dedicheremo tra qualche giorno uno spazio specifico, per imparare a conoscerlo e stabilire un approccio il più possibile fecondo, in un cammino di ideale continuità e diversità rispetto al solco tracciato da Padre Raffaele.

CAVA DE’ TIRRENI (SA). “La primavera fuori – scritti al tempo del coronavirus”: diario di un passato tornato presente

Fa proprio una strana impressione la lettura di “La primavera fuori – 31 scritti al tempo del coronavirus” (edito da Il Pendolo di Foucault di Francesco D’Amato, sempre pronto a “mordere” l’attualità): narrazioni, riflessioni, confessioni, poesie, fotografie di trentuno penne e trentuno anime raccolte da Claudia Izzo, giornalista, direttrice del periodico on line Salernonews. Fa impressione perché, nelle intenzioni della curatrice, doveva essere una serie di testimonianze di un periodo unico nella nostra storia (la pandemia e il lunghissimo lockdown di primavera), destinate a diventare esse stesse storia. Lo spirito, insomma, era quello del pur difficile dopoguerra che racconta la guerra, del reduce che ritorna dalla prigionia, o, se vogliamo, quello del ritorno alla luce mentre sta passando la nottata.

Il libro è uscito nelle ultime settimane proprio quando sta ritornando la “guerra”, si sta prospettando una nuova forma di prigionia, la nottata sembra addirittura più fonda. E, ironia della sorte, la sua presentazione ufficiale, al Comune di Cava de’ Tirreni, prevista per il 23 ottobre, è stata sospesa a tempo indeterminato perché l’arrivo galoppante della seconda ondata ha sconsigliato e impedito l’assembramento dell’incontro.

E fa ulteriormente impressione la lettura perché, pur a parità di disagio epidemico, nella sostanza le vicende e le sensazioni narrate sono già storia passata, irripetibile. Questo offre alla pubblicazione il fascino oggettivo di essere una delle prime rievocazioni corali di un momento veramente straordinario di speranzosa disperazione e il fascino “soggettivo” di essere tutta “sommersa” nella tragedia riuscendo, con la struttura e gli stili narrativi, a galleggiare con la leggerezza possibile sulla cresta delle onde in tempesta.

Tornano in queste pagine gli smarrimenti delle prime angoscianti notizie del nuovo virus, la dolorante e stimolante curiosità dell’esperienza nuova della clausura, la paura sempre più avvolgente di fronte al galoppare delle morti ed all’indimenticabile sfilata dei camion funebri… E poi gli arcobaleni, l’andrà tutto bene, qualche canto sulle terrazze, l’unità nazionale, il senso di un’identità collettiva che si stringe e si rafforza pronta a vincere e ripartire con rinnovato slancio, il tempo libero che crea dolore e disagio ma è anche la possibilità di una riscoperta e di un miglioramento. E la scrittura, a detta della stessa Izzo, è stata l’arma migliore perché tutto ardesse di speranza.

Le restrizioni di oggi, invece si stanno ricreando in tutt’altro clima: suona beffardo ogni andrà tutto bene, l’arcobaleno sembra lontano, l’unità è stata sostituita dalle tensioni e dalle proteste e di speranza “vera” sul momento ci è rimasto solo il Ministro della Salute, ma per il suo cognome…

Tutto questo rende più interessante la lettura del libro, perché è il puzzle di una storia vera vissuta da varie angolazioni ma comunque tutta nostra, tale che in essa ci riconosciamo pienamente. Non fa sognare, ma fa ricordare, è già il caminetto della memoria.

Ed è una lettura anche agevole, oltre che interessante, perché la scrittura è chiara, scorrevole e coinvolgente… e poi trentuno lavori in meno di centocinquanta pagine reali significano una media di quattro facciate l’uno, nel nome di quella brevità oggi superrirchiesta nella frenesia di questo nostro tempo senza tempo.

Soprattutto, però, questo libro, con l’insieme delle sue testimonianze singolarmente create in autonomia, è una piccola sinfonia di umanità in cui il buio del dolore e della paura è attraversato da lampi di fantasia, di memoria e di creatività. È un piccolo film in cui ai campi lunghi della storia ben nota si alternano le zoomate su dettagli che a loro volta diventano suggestivi microcosmi.

Ad esempio, la pastiera pasquale arrivata dopo un appello su Facebook restituisce il sapore di casa al giovane napoletano fuori regione, separato forzosamente dalla famiglia. E la mogliettina costretta dal lockdown a vivere i rapporti coniugali solo per “covideotelefonate”, ma per questo ancora più innamorata, rievocando la sua storia d’amore, riesce in un non lontanissimo futuro a ridare un po’ di sorriso alla nipote triste e malata (e anche a noi lettori). E il silenzio assordante delle strade vuote svuota anche l’anima di un uomo ricordandogli il silenzio di quel pomeriggio di ventitré anni fa quando si fermò il respiro della moglie amatissima: è la stessa voce del silenzio che aleggia in tantissimi di questi lavori, quella voce che ha il suono delle cose che hai perduto, quel silenzio che fa sentire il canto della propria anima. E via ciendo…

Le zoomate sono tanto forti che, negli slanci di creatività, arrivano anche a mettere a fuoco l’invisibile, come il primo virus che arrivò in Italia e che “in prima persona” racconta il suo viaggio dalla Cina e il suo progressivo passaggio in tante persone fino ad esaurirsi nel corpo di un vecchio, spegnendosi con la fierezza di aver lasciato tanti “segni” di sé…

In certi episodi non c’era neppure bisogno di creatività per farci vivere emozioni forti. Ad esempio, assistendo al tunnel della malattia e al ritorno alla luce attraverso il “diario”, emozionante e coinvolgente, di due dei primi pazienti, testimoni pionieri della paura e del dolore che stava accompagnando questo incontro ravvicinato dell’umano visibile e del “veleno” invisibile.

A volte a parlare sono non i racconti, ma le poesie, che nel nostro caso evocano il poetico positivo che emerge dalla tragedia: le canzoni sui balconi che dipingono sogni, l’attesa di un nuovo sole da raccontare poi “da nonni”, gli operatori sanitari che dall’abbigliamento sembrano spaziali, sono gli angeli del capezzale senza ali…

Bella anche l’idea di dare voce alle immagini, attraverso fotografie “parlanti”: la panchina vuota in primo piano su una piazza vuota… il riflesso tremolante di un uomo che si specchia in una pozzanghera…l’intrico di scale vuote da scende quasi con passo furtivo una sola persona… il padrone in mascherina e ombrello aperto che insieme col suo cane guarda lontano, forse oltre la pioggia…

Nel complesso, è proprio un’opera corale, di squadra, in cui il singolo individuo si scioglie nel collettivo, per formare attraverso parti dissonanti un suono unico, senza assolo. Per questo volutamente non abbiamo citato i creatori dei dettagli appena riportati:

Li citiamo ora, in un elenco che li comprende tutti e con l’invito a comprare il libro (a Cava è disponibile presso Il portico di Elisa e a breve anche nelle edicole-libreria del centro), non solo perché è un esempio di buona scrittura, ma anche perché eventuali proventi saranno devoluti all’Ospedale San Leonardo di Salerno per attrezzature di terapia intensiva. Ed eccoli qui, i nostri magnifici coristi.

Denata Ndreca, Sabrina Prisco, Paziente 2 e Paziente 3, Brunella Caputo, Alfonso Sarno, Maria Gabriella Alfano, Giuseppe Petrarca, Claudia Landolfi, Tina Cacciaglia, Domenico Notari, Francesco Fiorillo, Nicola Olivieri, Armando Cerzosimo, Rocco Papa, Alfonso Gargano, Umberto Mancini, Sergio Del Vecchio, Lina Esposito, Daniele Magliano, Giuseppe Esposito, Giuseppe Pisacane, Valeria Saggese, Emanuele Petrarca, Nicola Carrano, Marco Nitto, Luigi Avallone, Annamaria Petolicchio, Luigi D’Aniello, Antonino Papa, Irene Lamendola…

e naturalmente lei, Claudia Izzo, alla quale rinnoviamo i complimenti per l’idea e la realizzazione e facciamo gli auguri che il libro possa camminare tanto. Ne abbiamo bisogno, sia per sentir suonare questa “sinfonia di umanità”, sia perché di attrezzature ospedaliere ce ne vogliono ancora tante (purtroppo, e non solo per colpa del virus…).

E poi, pur in questo momento di sconforto e di difficoltà, non vedo perché dobbiamo rinunciare al nostro piccolo arcobaleno di speranza.

Non è primavera, fuori… ma dove sta scritto che l’autunno non possa avere una sua primavera?

La Nostra Famiglia: più di 9 famiglie su 10 soddisfatte dei servizi

Sono 4.538 i bambini e i ragazzi ricoverati e 24.469 le persone in carico nei centri di riabilitazione: La Nostra Famiglia pubblica sul proprio sito il Bilancio di Missione 2019, con un occhio alla ricerca scientifica e alla generosità dei donatori.

Sono importanti i risultati raggiunti nel 2019 dalla Nostra Famiglia, esposti nel Bilancio di Missione reso pubblico sul sito dell’Associazione. I dati, che illustrano l’attività di cura, riabilitazione, ricerca e formazione in favore delle persone con disabilità, confermano l’impegno “dalla parte dei bambini”, anche in un contesto di fatica del Sistema Sanitario Nazional e Regionale come quello che ha caratterizzato questi ultimi anni.

“Questo tempo ci interpella a costruire insieme, a progettare insieme, ad assumere ciascuno la propria responsabilità attraverso atteggiamenti costruttivi e propositivi perché il bene comune della missione dell’Associazione possa continuare”, osserva la Presidente dell’Associazione Luisa Minoli: “si tratta di guardare al futuro con speranza e fiducia, certi che l’invito del Fondatore Beato Luigi Monza a “fare bene il bene” possa concretizzarsi ancora e sempre, divenendo per ciascuno un “fare bene il bene comune”.

In un anno accolti 25.000 giovani e bambini con disabilità
Per quanto riguarda l’attività riabilitativa, nelle 28 sedi dell’Associazione sono state accolte quasi 25.000 persone, soprattutto bambini e ragazzi con disabilità congenite o acquisite, mentre sono stati 4.538 i piccoli e i giovani ricoverati presso i reparti ospedalieri per malattie neurologiche e neuromotorie, per disturbi cognitivi o neuropsicologici, per disturbi emozionali o psicosi infantili, oppure perché hanno perso funzioni e competenze in seguito a traumi cerebrali o a patologie del sistema nervoso centrale.

“Possiamo garantire ai nostri piccoli pazienti una presa in carico globale, che va dalla diagnosi alla cura, dall’educazione al benessere psicologico, anche delle famiglie”, evidenzia Luisa Minoli, che pone l’accento sul grado di soddisfazione delle persone: “dal questionario di customer satisfaction è emerso che il 96% degli utenti è soddisfatto del servizio di riabilitazione erogato nei nostri centri”.

Ricerca scientifica e innovazione tecnologica
La ricerca, affidata all’Istituto Scientifico Eugenio Medea, nel 2019 ha visto realizzati 113 progetti, i cui risultati sono stati oggetto di 109 pubblicazioni su riviste indicizzate, con una partecipazione dell’Istituto alle maggiori reti internazionali: “il nostro impegno è finalizzato alla diagnosi eziologica e funzionale di patologie rare e complesse, allo studio e sperimentazione di nuovi protocolli di intervento e all’innovazione tecnologica in campo bioingegneristico”, spiega Maria Teresa Bassi, direttore scientifico dell’Istituto: “nel 2019 abbiamo potenziato i nostri laboratori di riabilitazione robotica e, presso il Polo di Bosisio Parini (Lc), abbiamo inaugurato Astrolab, 475 metri quadri di tecnologie all’avanguardia per la riabilitazione e la ricerca hi-tech”. Nello stesso anno, la Lega Italiana contro l’Epilessia ha accreditato il Polo di Conegliano (Tv) quale centro con “assetto avanzato”, che corrisponde al livello di massima operatività, mentre prosegue lo studio in vivo di correlazioni tra aree cerebrali e funzioni cognitive presso il Polo di San Vito al Tagliamento (Pn), in collaborazione con la Neurochirurgia di Udine. Sempre nel 2019 il Medea ha festeggiato 15 anni di attività in Puglia: il Polo di Brindisi è oggi l’unico ospedale pediatrico di neuroriabilitazione in tutto il meridione.

La gestione: conciliare la qualità del servizio con la sostenibilità
Per quanto riguarda la gestione, l’Associazione è chiamata ad affrontare la sfida di contemperare scientificità, appropriatezza e prossimità, secondo il modello della presa in carico globale e della continuità assistenziale, con la sostenibilità. “Abbiamo registrato entrate per oltre 100 milioni di euro, a fronte di circa 104 milioni di costi sostenuti”, spiega il Direttore Generale dell’Associazione Marcello Belotti: “risentiamo certamente della crisi che interessa, più in generale, il Servizio Sanitario Nazionale: l’aumento delle risorse disponibili è insufficiente a compensare l’aumento della domanda di prestazioni e di servizi, così come non è adeguato a supportare l’incalzante richiesta di adeguamenti tecnologici, strutturali e di personale. Per questo si sta percorrendo, con sempre maggiore attenzione e determinazione, la strada della sostenibilità, che significa perseguire il massimo livello di efficienza dei servizi al fine di garantire che ogni singolo euro di spesa sia impiegato al meglio, in coerenza con la Mission originaria dell’Associazione”.
Si conferma l’attenzione dei donatori (Enti pubblici e privati, aziende, persone fisiche) nei confronti delle attività e dei progetti dell’Associazione. Ne sono una testimonianza gli oltre 3 milioni e 400 mila euro raccolti nel 2019.

Escursione Fluviale nel Bacino Idrografico del Sarno, alla conoscenza delle Sorgenti che lo alimentano

Il 12 luglio il Corpo Nazionale delle Sentinelle dei Bacini Idrografici Italiani – Gruppo Fiume Sarno alle 8.30 ha organizzato un’escursione didattica a scopo informativo nella canalizzazione fluviale della Sorgente Labso, situata in Montoro in provincia di Avellino nella frazione Preturo.

La canalizzazione è di competenza del Consorzio di Bonifica del Sarno. All’interno del canale scorrono acque sorgive di tre sorgenti provenienti dall’area bassa dei Monti Irpini. Due tra queste sono di origine Carsica e Sono le sorgenti Labso, Laura e poi Fiumicello Borgo che proviene dalla frazione di Borgo, sempre di Montoro.

L’obiettivo dell’escursione è quella di far conoscere aree del Bacino Idrografico del Fiume Sarno non conosciute da molti, nell’escursione verrà spiegata la natura della canalizzazione ed il proprio Habitat creato al suo interno. Infatti proprio in questo piccolo corso d’acqua si è generato un vero e proprio ambiente di biodiversità che va tutelato e fatto conoscere.

Inoltre obiettivo delle Sentinelle è quello di far avvicinare le persone all’AcquaTrek una pratica che viene realizzata nelle aree fluviali del nord Italia ma che puntano a diffonderla anche nel Bacino del Sarno.

Le acque che scorrono all’interno della Canalizzazione sono acque che poi andranno all’interno del Tributario maggiore del Sarno, il Solofrana, da lì poi andranno nell’alveo comune nocerino e poi in località Ciampa di Cavallo in San Marzano Sul Sarno dove confluiranno nel Fiume Sarno per poi sfociare nella Baia di Castellammare di Stabia.

Un viaggio lungo delle acque di queste tre sorgenti che però lungo la strada incontrano diversi ostacoli che riguardano, il cambio del letto del fiume che da naturale diventa cementato e poi le varie fonti di inquinamento che tutti ormai conoscono.

Il cittadino sembra ormai essersi abituato a vedere dei corsi d’acqua inquinati, invece con queste escursioni le Sentinelle puntiamo a far sapere che ci sono tante altre canalizzazioni che non subiscono in modo pesante l’inquinamento dell’uomo e che permettono ad oggi, la fruibilità delle stessi.

Idealmente gli escursionisti metteranno i piedi nelle sorgenti del Sarno, quelle sorgenti mai raccontate e spesso sottovalutate. Basti pensare che senza le acque di queste tre sorgenti, il torrente Solofrana sarebbe un torrente di soli scarichi industriali, degli scarichi reflui e degli impianti di depurazione; una condizione futura tragica e che le Sentinelle del Bacino del Sarno puntano a non far mai accadere.

Ecco che l’iniziativa punta a far conoscere le sorgenti, fonte di vita dei corsi d’acqua, in particolare faranno vedere che il Fiume Sarno ha con sé anche le acque dei Monti Irpini e dei Monti Picentini. “Un Bacino Idrografico del Sarno diverso è possibile” ma bisogna partire dalla tutela principale delle Sorgenti, fare sì che i torrenti oggi in secca abbiamo un minimo flusso d’acqua per la vita e per la biodiversità, che le sorgenti del Bacino del Sarno ad oggi captate di quell’acqua, una quota, venga riversata nei corsi d’acqua senza le addizioni di cloro così come avviene negli acquedotti e che attraverso gli sfiori degli stessi vengono alimentati i corsi d’acqua come accade per le sorgenti del Fiume Sarno in quell’acqua vi è presente il cloro, che nei corsi d’acqua non avvengano immissioni esterne che vanno ad intaccare la biodiversità fluviale, fare sì che nelle aree cementate ritorni un letto del fiume naturale e da lì il ritorno della fauna e flora acquatica.

“Sto cercando di sensibilizzare quante più persone possibili sulla conoscenza geografica del territorio del Bacino del Sarno, partendo dei Monti Irpini e Picentini, per passare ai Monti Lattari, al Somma Vesuvio e poi fino ad arrivare al mare e finanche Punta Campanella. Un territorio il Bacino Idrografico del Fiume Sarno esteso che però necessita di essere vissuto nel suo apparato montato, di pianura fluviale e costiero. Le persone informate e formate sono individui liberi di comprendere meglio le fonti di inquinamento presenti nel Bacino e quindi sarà un cittadino capace di interloquire meglio con le Istituzioni competenti sulle aree ove insistono criticità ambientali. Ma non possiamo però dimenticarci che il Bacino Idrografico del Sarno non è solo inquinamento ma anche bellezza”, questo è quanto dichiara Michele Buscè Responsabile delle Sentinelle del Bacino del Sarno. Per partecipare in modo gratuito bisogna mettersi in contatto via chiamata o sms al numero 3389155161

(Dott. ssa Monica Calvanese)

CAVA DE’ TIRRENI (SA). Solidarietà al tempo del Covid: donazioni “sanitarie” del Comitato Cittadino di Carità

Un ventilatore all’Ospedale, schermature a Medici di base, Croce Rossa e Mani Amiche.


La solidarietà è l’unico investimento che non fallisce mai, diceva con saggio senso di umanità il filosofo Thoreau. Ed è bello e significativo che , dopo tanta clausura e separazione, proprio nel nome della solidarietà e in un felice connubio tra fede religiosa e civica laicità, si è riaperto a Cava de’ Tirreni, sia pure con tutti i crismi della sicurezza, il fronte delle cerimonie civili pubbliche. Infatti la mattina di sabato 6 giugno, nel bel cortile del cinquecentesco complesso della Madonna dell’Olmo adiacente al cinquecentesco Ospedale fondato dalla tardo trecentesca Confraternita, il Comitato Cittadino di Carità, nato nel 1865 ma suo discendente diretto, ha offerto il suo bel contributo al filo rosso della mano tesa, tanto necessario in questo periodo.

Infatti, con la somma raccolta tra i ventuno comiti di oggi unita ai fondi già in cassa, il Comitato ha donato: all’Ospedale Maria SS. dell’Olmo uno strumento ossigenante e ventilante molto utile per la fase di preterapia intensiva; al Distretto sanitario cavese, presieduto dal Dott. Pio Vecchione, settantadue schermi protettivi; alla Croce Rossa Italiana nove schermi protettivi; all’Associazione Mani Amiche ha donato novanta schermature per il volto. La consegna è avvenuta sotto la direzione di Paolo Gravagnuolo, Governatore Capo del Comitato oltre che motore di cultura ed esponente di una storica famiglia metelliana, alla presenza del Sindaco Vincenzo Servalli, del Vicario vescovile don Osvaldo Masullo anche a nome di S.E. l’Arcivescovo Orazio Soricelli, del parroco della Madonna dell’Olmo Padre Giuseppe Ragalmuto, Padre spirituale del Comitato, dei Governatori effettivi supplenti del Comitato Giuseppe Rotolo, Roberto Catozzi ed Ernesto Malinconico (assente solo Angelo Sarno per motivi di famiglia), di vari comiti come Il Segretario Carlo De Martino,dei neocomiti Maria Lucia Clarizia, Emiddio Siepi, Marcello Murolo e Daniele Fasano (che era anche stato delegato dal Dott. Vecchione).

A dare un particolare significato alla cerimonia già di per sé gravida di calore e di umanità, la dedica in toto alla memoria del carissimo comite dott. Antonio De Pisapia, stroncato dal Covid durante il terribile periodo di emergenza e ricordato con particolare affetto, oltre che per la sua professionalità, per la sua dimensione umana e sociale.

E purtroppo, anche se in assenza e in invisibilità, il convitato di pietra di tutta la manifestazione è stato proprio il coronavirus attraverso i segni tipici del suo tagliente giro per il mondo: i volti coperti in mascherina, le sedie a distanza sociale, la tipologia dei doni, cui aggiungeremmo il velo di smarrita tristezza che avvolgeva lo sguardo affacciato sopra l’orlo delle mascherine.

Eppure, nonostante l’incombere del convitato di pietra, alla fine la vera protagonista è risultata la speranza. Una speranza intrisa di consapevolezza che dopo la caduta risalire si può, che sia pure con tutti i limiti del caso si può tornare a fare incontri collettivi, almeno all’aria aperta, che noi ci siamo ancora, con tutto il pessimismo dell’intelligenza ma anche con tutto l’ottimismo della volontà. E non c’è nulla di più convincente della solidarietà collettiva e del reincontro delle pupille per recuperare una comunità dopo l’asfissia della clausura forzata e rinvigorire le energie in vista delle battaglie mediche e soprattutto sociali che sono in agguato nei prossimi mesi.

Del resto, ognuno faccia la sua parte… e che l’estate prossima sia almeno una mezza primavera …