cultura & sociale

 

Cava de’ Tirreni (SA). Intitolazione del Sacrario Militare di Cava de’ Tirreni al Grande Ufficiale, prof. Salvatore Fasano

L’opera del prof Salvatore Fasano verso i caduti ricorda tanto quella di Mamma Lucia che andava sulle colline cavesi alla ricerca dei corpi dei soldati morti in guerra indipendentemente dalla nazionalità”. Così Il sindaco Vincenzo Servalli in occasione dello scoprimento della targa posizionata all’ingresso del Sacrario Militare.


Una bellissima giornata di sole ha illuminato oggi alla presenza delle massime autorità militari e civili del territorio la cerimonia di intitolazione del Sacrario Militare di Cava de’ Tirreni al Grande Ufficiale Salvatore Fasano.

Intenso il discorso che ha preannunciato lo scoprimento della targa. “Salvatore Fasano – sottolinea il Presidente del Comitato per il Sacrario Militare di Cava de’ Tirreni Daniele Fasano – ebbe, nella sua vita, la forte influenza da due figure che ne condizionarono l’impegno civico: durante gli studi classici fu colpito da Ugo Foscolo (a cui, peraltro, contribuì a dedicare strada di accesso a questo civico cimitero), grande scrittore, che con la sua opera I Sepolcri volle ribadire a tutti che il ricordo e la memoria non sono congeniali alla natura umana: l’uomo tende più a dimenticare ed a rimuovere il ricordo; quindi, merito all’uomo che riesce a ricordare sia le persone in vita che quelle trapassate. Il giovane Salvatore fu appassionato da tale visione filosofica del Foscolo e ne fece, per tutta la vita, un esempio da riprodurre. Altra figura influente fu quella di Mamma Lucia, nella quale il prof. Fasano vedeva l’incarnazione spontanea e genuina di tale istinto umanitario verso i defunti. Tali alti esempi, di memoria e ricordo, oggi a Cava sono due e noi i loro discepoli. Merito, dunque al prof. Franco Bruno Vitolo che, per primo, lanciò l’iniziativa nell’immediata dipartita di papà e merito al sindaco che, con la sua giunta, ha voluto fortemente che tale riconoscimento fosse realizzato nel più breve tempo possibile”.

“Ringrazio il Comitato per il Sacrario – aggiunge – a cui va dato merito di credere sempre in questa opera meritoria di tenere la fiamma del ricordo dei caduti sempre accesa. Ringrazio don Osvaldo Masullo che ha voluto pregare con noi in questo luogo sacro. Ringrazio le autorità militari e civili qui presenti. Ringrazio le associazioni del Carabinieri e dei Bersaglieri in congedo, sempre vicini a noi. Ringrazio voi tutti presenti del calore ed affetto che dimostrate verso il Gr. Uff. Salvatore Fasano ed, in particolare ringrazio lo staff della Grafica Metelliana, a cui papà era molto legato per l’aiuto sempre ricevuto nelle sue pubblicazioni, in particolare ringrazio Niccolò Farina che ha voluto qui portare un piccolo omaggio, una sua foto, che rimarrà nel Sacrario a far compagnia per sempre ai suoi ragazzi caduti.
Anche il nostro cappellano militare, don Claudio Mancusi, impegnato a Roma, non ha voluto far mancare il suo saluto e la sua preghiera”.

Ed ecco la sua lettera.

“Saluto il Presidente ed i membri del Comitato del Sacrario Militare, il sindaco e tutte le autorità convenute – scrive il cappellano militare don Claudio Mancusi – L’intitolazione del Sacrario al prof. Fasano è un evento che dà ulteriore luce all’opera e allo spirito di un grande uomo che ha testimoniato i più alti valori della patria e della pietas cristiana. Formulo a tutti sentiti auguri di serenità per le prossime festività! Mi associo anch’lo agli auguri fatti da don Claudio”.

“Abbiamo il dovere della memoria dei cittadini nostri che tanto hanno dato a Cava – dichiara il sindaco Vincenzo Servalli – Il prof Salvatore Fasano ha avuto un ruolo di spicco come custode della memoria. Ha contributo alla crescita della città. Ho avuto l’onore di conoscerlo. Aveva sempre un sorriso, una parola di incoraggiamento per tutti ed un amore immenso per il Sacrario Militare. L’opera del prof Fasano ricorda tanto quella di Mamma Lucia che andava sulle colline cavesi alla ricerca dei corpi dei caduti indipendentemente dalla nazionalità. Lui ha fatto tanto per la città e per i protagonisti delle guerre mondiali. I nostri militari fanno si sono sacrificati e continuano a sacrificarsi per la patria come è accaduto con Massimiliano Randino”.

“Ho apprezzato la citazione del dottor Fasano su Ugo Foscolo – evidenzia Don Osvaldo Masullo – La vita dei ragazzi scomparsi in guerra ci è profondamente cara. Dobbiamo sempre difendere la pace”.

Tanti i presenti alle cerimonia. Impossibile ricordarli tutti. Oltre alle numerosissime autorità, associazioni, esercito e forze dell’ordine che hanno voluto accompagnare questo intenso momento c’erano molti politici tra cui il sindaco Vincenzo Servalli, l’assessore alla protezione civile Germano Baldi, Umberto Ferrigno, Italo Giuseppe Cirielli, Marcello Murolo.

Non è mancato il Comitato per il Sacrario Militare, con il Presidente Daniele Fasano, il Presidente Onorario il gen. Lucio Cesaro, il colonnello Carlo De Martino, il prof. Roberto Catozzi, il Presidente dell’associazione Bersaglieri a Riposo Antonio Proto, Vincenzo Lamberti, Angelo Canora, Matteo e Luigi Fasano, il fratello e la madre di Massimiliano Randino, Primo Caporal Maggiore della Brigata Paracadutisti “Folgore”, insignito della Croce d’Onore alla memoria e scomparso nel 2009.

Al termine dell’inaugurazione si è voluto anche ricordare un episodio della prima guerra mondiale, ovvero la celebre “Tregua di Natale”. Si era sul fronte occidentale nel 1914. Fu allora che i soldati degli opposti schieramenti cessarono il fuoco. Si accesero candele, si cantarono inni di Natale. Cominciò un botta e risposta di auguri gridati da parte a parte fino a che qualcuno si spinse fuori dalla propria trincea per incontrare il nemico e stringergli la mano. La tregua di Natale fu un atto coraggioso che partì da semplici soldati mossi da sentimenti di profonda e fratellanza.

Ed ecco il racconto.

“A pochi mesi dall’inizio del primo conflitto mondiale – ricorda Daniele Fasano – nelle trincee delle Fiandre a sud di Yptes, in Belgio, nella notte di Natale del 1914 avvenne qualcosa di impensabile. Una tregua spontanea dichiarata da soldati semplici che, per poche ore e per giorni, decisero di abbassare le armi e alzare le braccia per incontrare e abbracciare il nemico. Dalla trincea tedesca spuntarono tantissime candele e canti, indirizzati a chi ho poco prima era il nemico. Le voci dei canti si unirono, seppur in lingue differenti, e la terra di nessuno, di solito deserta divenne luogo di incontro per soldati che, prima di tutto, rimanevano persone. Un incontro che diede vita a piccoli momenti umani colmi di parole, abbracci, strette di mano e regali. Un prete scozzese celebrò una mesa, e la mattina di Natale, gli schieramenti poterono seppellire i caduti. In alcune trincee la tregua durò una notte, in altre si prolungo fino all’anno nuovo. All’epoca, ovviamente il fatto venne insabbiano. Non si poteva tollerare che dei soldati, in guerra e con l’obbligo di sparare si perdessero in momenti gioviali e di spensieratezza, che i nemici diventassero amici”. (Lara Adinolfi)

Cava de’ Tirreni (SA). Il Sacrario Militare sarà intitolato al Grande Ufficiale, prof. Salvatore Fasano

La cerimonia d’intitolazione, voluta dall’amministrazione comunale, avverrà il 15 dicembre alle ore 10 con lo scoprimento di una targa posizionata all’ingresso del Sacrario Militare.


Era stato anticipato dal Sindaco Vincenzo Servalli nel corso della cerimonia di conferimento della cittadinanza onoraria al Milite Ignoto avvenuta lo scorso 4 novembre nell’aula consiliare del Palazzo di città, ma ora è ufficiale: il Sacrario Militare di Cava de’ Tirreni sarà intitolato al Grande Ufficiale, prof. Salvatore Fasano, scomparso il 22 settembre 2020.

A confermarlo la delibera del 19 novembre scorso della giunta comunale, dal titolo “Intitolazione del Sacrario Militare dei caduti cavesi sito nella cappella del civico cimitero al Grande Ufficiale Salvatore Fasano”. Alla cerimonia del prossimo 15 dicembre, alle ore 10, vi sarà lo scoprimento, da parte del Sindaco di una targa d’intitolazione posizionata all’ingresso del Sacrario Militare e la benedizione da parte dell’Arcivescovo di Cava – Amalfi Sua Eccellenza Orazio Soricelli.

L’amministrazione comunale ha invitato le massime autorità civili, religiose e militari del territorio. “E’ giusto che i cavesi ricordino anche con gesti concreti i suoi figli migliori – sottolinea il primo cittadino Vincenzo Servalli – Il professor Fasano è stato importante per la città ed il suo lavoro di recupero dei corpi dei caduti nelle guerre mondiali è meritorio. E’ quindi un giusto tributo che Cava offre al suo lavoro”.

Il Sacrario metelliano custodisce le salme di 106 caduti delle due guerre mondiali, della guerra italo – etiopica e della guerra civile di Spagna. Al suo interno sono conservati anche corpi di decorati al valor militare. Nel 1967 il Grande Ufficiale Salvatore Fasano chiese al sindaco dell’epoca a nome di tutti i giovani cavesi gloriosamente caduti in guerra la costruzione di un monumentale sacrario militare.

“La mia proposta è di veder presto sorgere il grande mausoleo in quel recinto sacro – scrisse Salvatore Fasano nella sua lettera aperta – monumento di fede e riconoscenza ai nostri fratelli più grandi, monito solenne a tutti ma specialmente alle giovani ed i componenti del generazioni che l’ideale di patria dopo Dio e la famiglia, è l’ideale più nobile e santo”.

Prima della realizzazione del Sacrario infatti 32 salme di caduti cavesi del primo conflitto bellico e 7 del secondo erano custodite dal 2 novembre 1924 nell’ex cappella votiva del Duomo di Cava. Nel 1981, durante l’amministrazione Abbro, vide la luce il Comitato per il Sacrario Militare che oggi è presieduto da Daniele Fasano, figlio di Salvatore.

Sono tanti i meriti del Grande Ufficiale che nel 1981 sistemò nel pio luogo 106 urne di caduti in guerra di cui 38 della Prima Guerra Mondiale, 4 della guerra di Spagna provenienti dal Sacrario Militare di Saragozza, 4 della guerra Italo – Etiopica e 60 della Seconda Guerra Mondiale provenienti da varie zone d’Italia. Dal 1993 al 2007 organizzò in sinergia con l’amministrazione comunale ben 9 cerimonie di accoglienza (7 a Cava, 1 a Nocera Superiore, 1 a Pontecagnano).

“Con la sua scomparsa – è scritto nella delibera firmata dal sindaco Vincenzo Servalli – la città ha perso un validissimo ricercatore storico e cultore della memoria. Lo studio è stato un punto fermo del prof. Fasano che ha dato voce ai suoi protagonisti, mettendo a disposizione un patrimonio di idee, valori, testimonianze e documenti d’epoca. Ricordiamo il Fondo d’archivio, da lui donato alla biblioteca comunale Avallone prima della sua morte.

L’Archivio contiene le laboriose ricerche che l’autore ha svolto per poter fornire notizie particolareggiate di tutti quei soldati cavesi morti nelle guerre che si sono combattute tra il 1895 al 1945. Dati anagrafici, luoghi di nascita e di residenza, encomi e benemerenze, nonché riconoscimenti civili e militari si intrecciano con la nutrita documentazione fotografica delle varie cerimonie di accoglienza dei caduti nel loro paese natio. Il prof Fasano nel suo Albo d’Oro dei caduti cavesi ha dato un nome a tutti i nostri concittadini morti sui campi di battaglia, in prigionia o negli ospedali”.

La gestione del Sacrario Militare è affidata ad un costituito “Comitato”, il cui attuale Presidente è il dr. Daniele Fasano, Presidente Onorario il gen. Lucio Cesaro, addetto alla comunicazione il colonnello Carlo De Martino, tesoriere il prof. Roberto Catozzi, ed ancora, la dott.ssa Beatrice Sparano, il colonnello Vincenzo Consalvo, il Presidente dell’associazione Bersaglieri a Riposo Antonio Proto, Vincenzo Lamberti, Luciano D’Amato, Maddalena Annarumma, Angelo Canora, Antonio Pisapia, Gennaro Vitulano, Francesco Di Salvio, Matteo Fasano, il fratello e la madre di Massimiliano Randino, Primo Caporal Maggiore della Brigata Paracadutisti “Folgore”, insignito della Croce d’Onore alla memoria e scomparso nel 2009.

Cava de’ Tirreni (SA). Sette libri in dodici giorni, un Avvento di presentazioni in Comune

Tra gli altri, il ritorno di Ernestina De Masi e Antonio Donadio e un ricordo di Alfonso Vitale.


È stato ieri formalizzato l’elenco dei libri che saranno presentati in Comune nella serie Un libro (quasi) al giorno da oggi 11 dicembre a giovedì 23 dicembre. Eccoli, come al solito con una breve nota esplicativa.

Tutte le presentazioni. curate dall’Assessore alla Cultura Armando Lamberti e dal lo scrivente Franco Bruno Vitolo, si effettueranno a Palazzo di Città, con inizio alle ore 18, nel rispetto delle norme antiCovid vigenti.

11 dicembre Paisà, Sciuscià e segnorine, di Mario Avagliano – Il Sud e Roma dallo sbarco in Sicilia al 25 aprile. Secondo il metodo che ha fatto dei loro libri un prestigioso riferimento di livello nazionale, attingendo a lettere, diari, corrispondenza censurata, relazioni delle autorità, giornali, canzoni, film, Mario Avagliano e Marco Palmieri compongono un racconto corale, colorato, curioso e in tanti dettagli inedito di quell’Italia che per prima si affacciava al dopoguerra.

13 dicembre Oliva Denaro, di Viola Arnone (In collaborazione con “Il Club dei Lettori”)

Dopo il grande successo de “Il treno dei bambini”, ritorna Viola Ardone, con la storia emozionante di una ragazza che, in tempi e in luoghi difficili per le donne (la Sicilia degli anni ’60), si trova di fronte ad una delicata e importante scelta di libertà.

14 dicembre Il senso vero della neve, di Antonio Donadio

Presenta la sua raccolta più recente Antonio Donadio, poeta cavese doc, bergamasco di residenza, conosciuto e apprezzato in campo nazionale. Nel corso della serata, un ricordo del pittore cavese Alfonso Vitale, improvvisamente scomparso l’estate scorsa, autore dell’immagine di copertina e carissimo amico di Donadio.

19 dicembreLa Chiesa di San Lorenzo – Arte e territorio dei casali di Cava, di Dario Cantarella e Salvatore Milano –

Un viaggio non solo nella Chiesa ma anche nelle ville e nelle case antiche della pittoresca frazione. (da confermare)

20 dicembre Calendario 2022 – Pittori e scultori cavesi dell’Ottocento e del Novecento –

Annuale appuntamento con il calendario illustrato di Gaetano Guida, come sempre incentrato su Cava e sul territorio metelliano. Il tema di quest’anno è la pittura, con le opere e le biografie degli artisti cavesi scomparsi.

21 dicembre Donne inventrici, di Ernestina De Masi –

L’autrice, cavese di origine, già valente e innovatrice docente di matematica e fisica, oggi autrice di testi scolastici apprezzati a livello nazionale, affronta, in chiave divulgativa ma su fondamenti scientifici, le scoperte e le invenzioni di ieri e di oggi fatte da tante donne e spesso ingiustamente tenute fuori dai riflettori della storia.

23 dicembre Il traduttore, di Rosario Pinto –

L’autore, noto critico d’Arte, racconta in chiave tra il reale e il favolistico la

mutazione che avviene nella vita di un traduttore di libri stranieri alle prese con una fiaba proveniente dalla Russia.

Salerno – Modena. “Il potere del ciarlatano”, di Grete De Francesco: un libro di ieri per difenderci oggi, recuperato e tradotto dallo scrittore salernitano Marco Di Serio

Fake news distorcenti, guaritori autoreferenziali, populismi radicali, informazioni sballate… Quante mistificazioni in questa nostra società globalizzata, supertecnologica e supercomunicante!

È uno scotto che bisogna pagare al progresso, ma anche lo stimolo a correre ai ripari, documentandosi il più possibile per orientarsi in questa inondazione di dati e di parole, che delle volte rende una corretta informazione complicata come riempire un bicchiere sotto una cascata.

Lo scotto più amaro, e forse il più evitabile se si utilizzano mente, cervello e volontà, è quello del proliferare troppo spesso “vincente” di ciarlatani imbonitori, in tutti i campi, ma soprattutto nella politica e nella medicina.

Per difendersi, quindi, bisogna informarsi, conoscere, comprendere, perché il ciarlatano viene da lontano, inganna il presente e, purtroppo, punta lontano.

Ed allora bene, anzi benissimo hanno fatto, come curatore e traduttore, lo scrittore salernitano Marco Di Serio (già autore di un raffinato e profondo pamphlet dal titolo Note del sacro) e Neri Pozza come editore a portare in Italia un testo stimolante e illuminante come Il potere del ciarlatano, di Grete De Francesco, la prima pubblicazione di grande respiro in Italia su questo tema, nella quale, attraverso un racconto coinvolgente che ricopre un periodo di tre secoli, dal Rinascimento al Settecento, è possibile ravvisare anche la funzione, l’incidenza e gli ambienti dei ciarlatani nella società del secondo millennio.

Colma un vuoto non indifferente, questo libro, non a caso scritto proprio nel periodo in cui i nuovi storiografi di Les annales puntavano i riflettori su quello che si muove in società sotto la coltre della grande storia globale, politica, economica e militare.

Il saggio inoltre ha il merito di mettere in rilievo un’eccezionale figura di donna e di intellettuale come Grete De Francesco, una delle tante, troppe vittime delle “oscene” persecuzioni totalitarie degli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso.

Nata a Vienna nel 1893 da un’agiata famiglia austroungarica di origine ebraica, ebbe, grazie alla sua condizione sociale, l’opportunità di studiare fino alla laurea. Si trasferì quindi a Milano, per effetto del suo matrimonio con l’ingegnere italiano Giulio De Francesco. Visse quindi in diretta l’ascesa montante del fascismo, gli stravolgimenti della guerra e purtroppo anche la persecuzione razziale, per la quale fu deportata nel 1944 nel campo di concentramento di Ravesbrück, dove mori l’anno successivo.

L’idea del libro le venne dopo che si era venuta a trovare a contatto più da vicino con ricerche sulla storia della medicina, per la rivista Ciba, sponsorizzata dalla omonima azienda farmaceutica. La scoperta di tante vicende e storie relative ai ciarlatani, termine che in origine indicava soprattutto una certa tipologia di medici che ricorrevano a pratiche parascientifiche, le fece anche capire quanto grandi fossero le potenzialità di questi personaggi all’interno della società, tra miriadi di persone insidiate da malattie di ogni tipo, che, quando non sapevano a che santo votarsi (ma anche lì, non sempre con buoni risultati…), si buttavano tra le braccia del primo venuto che assicurasse guarigione e salute, e magari anche felicità a buon mercato.

E nacque così, in lingua tedesca, questa ricerca che è quasi un romanzo e che oggi, come già detto, è possibile conoscere anche in lingua italiana, nella fluida e chiara traduzione di Di Serio.

Il volume, ponderoso e sostanzioso, fascinoso e stimolante, è aperto dalla splendida e profonda introduzione del curatore: quasi quaranta pagine che sono di per sé un saggio autonomo, sia sulla figura intellettuale di Grete De Francesco, sia sulla figura del ciarlatano. Infatti, Di Serio ha recuperato documenti finora inediti e di grandissimo interesse, in primis la lettera di accompagnamento con la quale la De Francesco presentò il suo lavoro a Thomas Mann. Una comunicazione di alto profilo, in cui lei spiega sia quanto abbia inciso nell’ispirazione del suo saggio la lettura del celebre racconto di Mann, Mario e il mago, avente come protagonista un illusionista di nome Cipolla, sia quanti Cipolla lei veda nella storia e nel suo tempo, a cominciare da Mussolini e dalla deriva autoritaria, bellicista e razzista in cui stava portando l’Italia.

Il richiamo a Cipolla è significativo del respiro storico e culturale di cui è impregnato il libro. Il nome richiama infatti il celebre frate del Decameron di Boccaccio, che a sostegno delle sue prediche tesseva astuti inganni di parole e di artifici, ed era capace di sbrogliarsela alla grande anche in situazioni di smascheramento.

Come ricorda Di Serio, proprio la politicizzazione delle sue intenzioni causò dubbi e critiche da parte di un grande intellettuale come Benjamin, che espresse le sue riserve in una lettera ad Adorno pur apprezzando l’acutezza le sfumature con cui la De Francesco aveva rappresentato la figura del ciarlatano nella storia in rapporto alla società ed alle vicende dei tempi.

È uno sguardo a trecentosessanta gradi, che parte da considerazioni di carattere generale e poi comincia il viaggio partendo dal mondo degli alchimisti, che, pur rivelando il tentativo importante dell’uomo di “dominare la natura”, lasciava il campo, soprattutto nella ricerca “bugiarda e fallace” di pietre filosofali e trasformazioni in oro, alla moltiplicazione sia di creduloni sia di imbroglioni, quei fraudolenti che Dante colloca impietosamente nelle Malebolge dell’Inferno. Quegli alchimisti, appunto, che, come dice la De Francesco, per raggiungere i loro scopi «si erano gettati in tutte le branche del sapere, ricevendone una vaga infarinatura che permetteva loro di speculare sulle masse dalla conoscenza decisamente frammentaria». Oppure, se non usavano le parole della scienza, facevano come il veneziano Bragadin, che non dimostrava di saper trasformare i metalli in oro ma viveva nell’oro dando l’impressione di riuscirci veramente, e quindi assumeva un’autorevolezza che gli dava margine per ogni operazione anche truffaldina. .

Interessante e attuale è lo studio dell’immagine che si costruivano i ciarlatani attraverso le parole, con discorsi ricchi di una sconnessa pomposità che mettevano in soggezione gli incolti ed a volte anche i “colti”: ed è qui che conosciamo personaggi che a loro tempo riuscirono a bucare la scena, come, solo per fare qualche esempio, Magno-Cavallo (il Cagliostro di Prussia), Eisenbarth o Leonhard Thurneißer.

È questo il filo rosso che guida il cammino di tutti i ragionamenti: l’analisi del rapporto tra chi inganna e chi si lascia ingannare. E scopriamo che ciarlatani di alto livello, come Cagliostro, riuscivano ad arrivare da “divi” anche nelle corti e negli ambienti più raffinati. Ma facciamo anche una stimolante “affacciata” sugli umori delle masse popolari che accoglievano con fideistico entusiasmo le proposte e le cure dei ciarlatani. Per tutti, basti pensare all’esempio del “medico della luna” Weisleder, che sfruttava i pleniluni per effetti speciali, e soprattutto al medico di montagna Schüppach, che con spettacolari evoluzioni verbali quasi teatrali presentava talismani dai nomi più stravaganti, come «Olio della felicità», «Contro il mostro», oppure semplicemente «Maria Teresa», creando apertamente un mondo parallelo e alternativo rispetto alla scienza ufficiale, che il popolo era ben lieto di irridere, anche perché la considerava un patrimonio dei ricchi e dei potenti. La cosa non dovrebbe meravigliare più di tanto, in questi nostri tempi di pandemia in cui, pur tanto diversi e tanto tecnologici, il «dàgli al virologo e al comitato scientifico e al vaccino» è diventato uno “sport” diffuso e pericoloso.

Tornando agli atteggiamenti “magici” dei dottori ciarlatani, giustamente ricorda la De Francesco che essi, pur ponendosi in posizione “up” per incutere soggezione, riuscivano anche ad essere gioviali ed empatici comunicatori capaci di estrarre dai singoli interlocutori quella base necessaria di energia vitale che serve per curarsi con fiducia e recuperare forze e salute. Insomma, se da una parte sapevano di ingannare e volevano imbrogliare per il loro tornaconto, dall’altra più d’uno di loro aveva intuito quel flusso di reciproca influenza che si genera tra l’anima e il corpo e che oggi è una delle riconosciute fondamenta dell’equilibrio psicofisico. Non a caso già nell’introduzione Di Serio cita la favola di Grillo medico, un contadino di campagna che era assurto agli onori della fama riuscendo a guarire la figlia del re solo facendola ridere.

Il cogliere queste sfumature, però, non toglie nulla all’avversione decisa della De Francesco contro ogni «forma di seduzione manipolatoria», ma aggiunge anche forza alle sue critiche verso atteggiamenti radicali di tipo opposto, cioè verso le forme di pregiudizio che avversano i pregiudizi creando a loro volta forzature pregiudiziali.

Perciò, pur apprezzando le aperture razionalistiche e filoscientifiche dell’Illuminismo, lei ritiene un mezzo fallimento le campagne senza spiragli fatte dai philosophes contro le credenze popolari e gli atteggiamenti tutto fumo degli imbonitori.

Emerge quindi la necessità di una gestione laica ed elastica della conoscenza. Una gestione laica, detto per inciso, che la De Francesco auspicava anche nel modo di affermare la dignità femminile, che non può limitarsi ad un mero asservimento al sesso per provare piacere e capovolgere il rapporto con l’uomo, ma deve estendersi alla ricerca dell’equilibrio naturale tra bisogni, piaceri e doveri.

Sono tanti quindi gli stimoli e le informazioni che vengono fuori da questo volume, in cui per di più va rimarcato un corredo di immagini d’epoca che non sono vallette della trattazione, ma esse stesse comunicanti in proprio per la forza della rappresentazione e spesso anche per la sottile illuminazione della satira.

Insomma, questo libro è un invito ad essere saggi, nel senso ricordato dall’autrice, citando Hofmannsthal, sia all’inizio che in conclusione del libro, cioè possedere uno strato intellettivo ed emozionale di difesa e di attacco per poter trasformare le informazioni e «la realtà in un seconda esistenza più alta», in modo che «nessun imbonitore sia in grado di esercitare la benché minima influenza su noi». E da lì aiutare anche gli altri a partire verso un mondo senza ciarlatani, o almeno di ciarlatani senza potere.

Necessario quindi spostare la qualità dell’asse del potere. Si può? Certo che si può… se no che potere sarebbe?

Cava de’ Tirreni (SA). Inaugurata la nuova sede del Museo della Civiltà Contadina: una spettacolare ricostruzione d’ambiente.

Gran festa a Santa Lucia di Cava de’ Tirreni, la mattina di domenica 14 novembre, per l’inaugurazione del nuovo Museo della Civiltà Contadina, collocato dentro la struttura del nascente Centro Pastorale. Dopo la celebrazione dell’Eucaristia, presieduta dall’Arcivescovo Mons. Orazio Soricelli, tutti nel salone ancora vuoto del centro pastorale per festosi saluti e interventi non di rito: oltre a Mons. Soricelli, don Beniamico D’Arco, il Sindaco Vincenzo Servalli, la prof. Lucia Avigliano, l’Architetto progettista, Virginia Lodato (nel nome di Franco).

Era attesissimo, il neonato Museo, concepito oltre vent’anni fa, quando nella Santa Lucia ancora terremotata sembrava pura follia anche solo l’idea. Invece, come ha sottolineato don Beniamino D’Arco, Massimo Fattore di tutto il cammino, la proposta, fatta da Matteo Baldi, diventò il seme di un sogno che, avvalendosi della generosità e dell’entusiasmo di tutta la comunità luciana, è andato piano ma è andato sano, è arrivato lontano e guarda lontano, perché vuole parlare alle nuove e alle future generazioni della vita e dell’importanza dei nostri padri.

Sono questi gli elementi individuati un po’ da tutti gli intervenuti, prima della benedizione e del taglio del nastro. Quindi, passando per un cancelletto e un piccolo androne, finalmente è apparso davnti agli occhi l’emozionato ed emozionante ingresso nel Museo, che si mostra subito come uno spettacolare set cinematografico.

Ci si trova infatti di fronte ad una casa colonica in stile inizio Novecento, con un luminoso cortile d’altri tempi, al cui centro domina la scena un suggestivo albero autunnale. A sinistra, lo sguardo è subito attratto dalla classica ruota dello spago e a destra, su due piani, si sviluppa l’impianto della casa. In basso, la cantina, la dispensa, le sale con gli attrezzi di lavoro ben collocati al loro posto. Al primo piano, salendo per una scala esterna, l’abitazione: la cucina con il tavolo dove si consumavano i modici pasti; i giochi dei bambini, strummolo in testa; lo spazio per i lavori “femminili” di cucitura e tessitura; lo sciuttapanni con la vrasera… Poi,, la “sala del tempio”: la camera da letto, con l’inginocchiatoio, il bacile, la toletta, il rinalo e, per l’occasione, anche un pupetto a dondolare nella culla, mentre al centro troneggia il grande talamo dove si generavano figli in serie, per amore della famiglia ma anche per necessità di forza lavoro, nello stile dell’epoca. Sparse nelle varie sale, le piastrelle con le “storiche” poesie luciane del caro e compianto Franco Lodato, il “vate di Santa Lucia”, che oggi rivive attraverso di loro, attraverso il suo libro di poesie… e anche nella figlia Virginia, in voce, carne e spirito.

Mancano ancora le specifiche didascalie, che saranno presto inserite e integrate, oppure sostituite, da guide vocali automatiche presenti in ogni stanza, ma gli attrezzi, gli oggetti e gli utensili dei nostri padre già parlano da soli. E parleranno anche in futuro, perché ora hanno trovato finalmente la loro “Itaca della memoria”. E diranno tante cose, non solo sul modo di lavorare e produrre, ma anche sulle infinite gocce di sudore che hanno generato quegli ambienti, quegli oggetti, quei cibi. Erano tempi in cui il benessere massimo era sopravvivere senza patemi e basta. Quella che per noi era parente della povertà, per loro era già ricchezza. Comunque, per fortuna erano anche tempi in cui cominciava a muoversi qualche raggio di speranza, tabacco e sviluppo economico generale in testa…

Poi, venne il benessere di cui godiamo tuttora (speriamo che duri…) e che dobbiamo comunque considerare come un privilegio… ma questo Museo ci ricorda proprio che senza quelle gocce di sudore questo benessere non ci sarebbe stato…

Sosteniamo, allora, il nostro Museo. Godiamocelo. E facciamolo parlare. Lo merita: è un ponte tra le generazioni che consegna il passato al presente e crea le radici per il future. E poi, escluso quello dell’Abbazia benedettina, è il primo Museo che nasce in territorio cittadino. E ci sono tante premesse perché non sia l’ultimo, a cominciare da quello dedicato a Mamma Lucia…

Intanto, festeggiamo il nostro Museo luciano… E permettiamoci di sognare con “lui”, quel piccolo grande sogno che finalmente è diventato realtà…

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Nel presentare la nuova realtà del Museo, che apre prospettive importanti di apertura culturale e di immagine “turistica”, ci sembra giusto richiamare il cammino che è stato percorso dal momento che è partita la macchina organizzativa del progetto. Riportiamo perciò uno stralcio da una nota di Lucia Avigliano, scritta nell’estate del 2021, quando la prospettiva di un’apertura imminente della nuova sede è cominciata a diventare una realtà imminente. È una nota significativa anche per il richiamo che lei fa all’elemento umano, determinante per il successo finale dell’iniziativa.

… Quando nel 1997, dopo il terremoto del 1980, fu riaperta al culto la Chiesa parrocchiale di Santa Lucia, fu inaugurato la sede originaria di questo Museo, che è rimasto situato fino al 2021 nel sottotetto della Casa Canonica annessa alla chiesa.

Esso è nato da un’idea e dal continuo interessamento di persone che hanno dedicato il loro tempo e le loro forze alla paziente ricerca e alla raccolta di oggetti e testimonianze, anche fotografiche, della vita e dell’economia di una comunità che si fondava sull’artigianato e sulla cura dei campi.

La lavorazione della corda con la caratteristica “ruota”, la coltivazione del tabacco, attività che impegnavano l’intera famiglia (anche i bambini!) sono ampiamente documentate.

Nel progetto della sede definitiva, che è in via di attuazione, momenti di vita di un tempo saranno resi vivi e animati sotto gli occhi del visitatore, che potrà qui ritrovare le radici e vedere finalmente valorizzato quel patrimonio di cultura che è proprio della nostra gente. Come realizzato nella manifestazione Passeggiando per Santa Lucia, saranno ricreati ambienti domestici e attività lavorative in fase pratica dimostrativa. Il visitatore si troverà di fronte a veri e propri monumenti del lavoro e della vita quotidiana, come si svolgeva nelle nostre campagne (‘u vavillo, il bastone per battere il grano o anche la lana; ‘u vrasiere, pedana di legno all’interno della quale si inseriva il braciere; ‘u civiere, attrezzo di legno per trasportare il letame; ‘u bajalardo, contenitore di legno rettangolare per pigiare l’uva; ‘u sacconte, materasso povero gonfio di “sfoglie”).

Recupero e valorizzazione sono i criteri che hanno animato gli ideatori di questa ricca raccolta, alla quale ha contribuito tutta la popolazione di Santa Lucia. Fra i tanti voglio qui ricordare Franco Lodato, “Papà Cardillo”, come lo ha chiamato Franco Bruno Vitolo nei versi di presentazione al libro sul Museo Museo Arti e Mestieri Civiltà contadina (scritto con Ciro Mannara, Pasquale Di Domenico, Marianna Ferrigno, Franco Bruno Vitolo e la sottoscritta scrivente), uscito nel 2017 quando Franco era appena volato al cielo, dopo essere stato uno dei realizzatori del museo.

Primo fra tutti, Ciro Mannara, da sempre grande cultore e custode delle tradizioni e dell’identità locale e cittadina, merita il giusto riconoscimento per aver ideato e portato avanti il progetto-museo. Insieme a Ciro Mannara, la cui magnanimità è ben nota a tutti i cavesi, e con tanti altri amici, carichi di entusiasmo e buona volontà, Franco Lodato è stato tra gli ideatori del Museo e ha dedicato a questa iniziativa tutto il suo impegno e la sua passione. Il suo declamare i versi che gli sgorgavano dal cuore (e che decorano su apposite piastrelle in ceramica le vie di Santa Lucia e la stessa struttura museale) era parte integrante della visita al Museo. Quando anni fa sono venuta con i bambini del CAI in Erba a visitare questa miniera di oggetti e di ricordi, Franco era lì a guidarci e a recitare i suoi versi commoventi. Ho voluto ricordare Franco Lodato, perché egli ci ha avvicinato al lavoro della gente onesta e con garbo e tanto amore ci ha guidato in avvincenti percorsi della memoria.

E quando la nuova struttura accoglierà la nostra visita, Franco sarà ancora lì, sempre vivo nel nostro ricordo, a guidarci per i luoghi dei nostri padri …