cultura & sociale

 

Cava de’ Tirreni (SA). Il Comitato per il Sacrario Militare di Cava de’ Tirreni alla cerimonia al Duomo di Salerno

Intenso il momento di riflessione da parte del Comitato per il Sacrario Militare di Cava de’ Tirreni.


Una delegazione del Comitato per il Sacrario Militare ha preso parte alla solenne cerimonia eucaristica del Precetto Pasquale interforze in vista della Pasqua officiata al Duomo di Salerno.

La messa è stata concelebrata dal Cappellano del Sacrario di Cava de’ Tirreni Don Claudio Mancusi. All’appuntamento hanno partecipato i componenti del Comitato per il Sacrario Militare e le massime autorità civili e militari del territorio.

In particolare erano presenti il Presidente del Comitato per il Sacrario Militare Daniele Fasano, Roberto Catozzi ed il Colonnello Carlo De Martino. La messa è stata l’occasione per ricordare l’intrepido sacrificio di quei uomini cui va la gratitudine per aver immolato la loro esistenza nell’adempimento del proprio dovere.

“Durante questa cerimonia – dichiara il Presidente del comitato per il Sacrario Militare Daniele Fasano – abbiamo riflettuto sui tanti caduti in guerra. È stato per me un motivo di profonda commozione”.

È stata una giornata molto intensa che ha visto anche la presenza a Salerno dell’Arcivescovo Ordinario Militare per l’Italia, S.E.R. Mons. Santo Marcianò, che ha fatto visita al personale del Compartimento Marittimo della Guardia Costiera accolto a Molo Manfredi dal Comandante C.V. Attilio Maria Daconto, dall’Arcivescovo Metropolita Primate di Salerno-Campagna-Acerno, S.E.R. Mons. Andrea Bellandi e dal Cappellano Militare don Claudio Mancusi.

Successivamente Mons. Marcianò ha presieduto nel Duomo Primaziale “San Matteo Apostolo ed Evangelista” la celebrazione della Santa Messa in preparazione alla Pasqua, amministrando anche il Sacramento della Cresima ad un gruppo di trenta militari.

Alla messa, concelebrata dai Cappellani Militari della zona e da diversi sacerdoti della città, ha preso parte una rappresentanza dei vari reparti delle Forze Armate e della Guardia di Finanza della provincia di Salerno con i rispettivi Comandanti.

Presenti anche il Generale di Corpo d’Armata Giuseppenicola Tota, Comandante delle Forze Operative Sud e Comandante del Presidio Militare Interforze della Campania, il Comandante della Divisione Acqui, Generale di Divisione Francesco Bruno, ed il Comandante della Brigata Bersaglieri Garibaldi, Generale di Brigata Mario Ciorra.

Durante la celebrazione è stato anche ricordato il 15° anniversario di Ordinazione Sacerdotale di Don Claudio Mancusi, Cappellano Militare del Reggimento Cavalleggeri Guide (19°) di stanza a Salerno e Decano della XII Zona Pastorale Interforze “Campania-Basilicata” dell’Ordinariato Militare per l’Italia.

Natale 1809. “I RE MAGI” del giovane Leopardi

Mi piace condividere con i nostri lettori questo avvincente articolo tratto ancora una volta dall’autorevole Blog de “Italian poetry” a firma del sempre brillante nostro collaboratore, il poeta e critico Antonio Donadio, che questa volta si è soffermato su un’opera giovanile di Giacomo Leopardi quando il grande poeta aveva solo undici anni. Si tratta di un lungo poemetto che ha per tema I Re Magi. Un giovanissimo Leopardi che si potrebbe definire “cristiano”.(ndr)


Recanati 1809. Tra gli scritti del giovane Leopardi spicca per semplicità, fervore devozionale e sforzo di documentazione storica, in endecasillabi sciolti, un poemetto intimista di grande valore autobiografico: “I Re Magi”. Dalle Lettere sappiamo che in casa del Conte Monaldo Leopardi, in occasione del Santo Natale, si svolgeva l’annuale rappresentazione che coinvolgeva tutti i figli, anche i più piccoli. Per il Natale del 1809 il primogenito, battezzato Giacomo Taldegardo Francesco Salesio Saverio Pietro, presenta al padre alcuni suoi scritti come il padre reclamava. Opere non paragonabili alla grande stagione leopardiana, ma molto interessanti anche per il genuino spirito cristiano che le anima e che ci mettono a nudo qual era il vissuto religioso di casa Leopardi. Ci parlano dell’ambiente, del sistema educativo e della formazione poetica e religiosa dell’adolescente. Proprio in quello stesso anno, il 9 aprile, Giacomo aveva ricevuto la Prima Comunione. “Egli in quegli anni, scriverà il fratello Carlo ad Antonio Ranieri, amava molto anche le pratiche religiose. Si divertiva solo molto impegnamente con l’altarino. Voleva sempre ascoltare molte messe, e chiamava felice quel giorno in cui aveva potuto udirne di più”.

Per quel Natale, Leopardi scrisse, oltre al poemetto “I Re Magi” anche “Per il Santo Natale. Canzonetta”, quattro quartine doppie di settenari sciolti, e un breve brano di prosa: “I Pastori, che scambievolmente s’invitano per adorare il nato bambino”. Del poemetto è lo stesso Leopardi che nel fare, in seguito, un “Indice delle opere giovanili ” ci informa: ” I Re Magi. Poemetto letto, ed approvato dal fu marchese Tommaso Antici mio zio Materno ex Card. di S.R.C. il quale rimandommi il Poemetto con questi versi: “O dotto Figlio di più dotto Padre/Segui il cammin che a somigliar t’invita/Quegli al sapere alla pietà di Madre”. “I Re Magi” è diviso in tre canti. Il primo canto apre con la descrizione della capanna e di una prodigiosa primavera. Apparizione della stella, la meraviglia dei Magi e la decisione di andare ad adorare il divino Infante: “ De’ Regi Baldassar, Gaspar, Melchiorre/ scuotesi la sapienza, e sono anch’essi/del fulgid’astro indagatori ansiosi:/Celeste lume a rintracciar li porta/su le sacrate carte il ver nascosto, /già vi passan le notti, e i giorni interi, /e ormai son certi che di un Dio fatt’uomo/in terra sceso sia cotesto un segno”. S’incamminano preceduti dalla stella. Con l’inizio del canto secondo, i re Magi giungono a Gerusalemme: “Già di Gerusalemme l’ampia cittade/a lor si mostra torreggiante, e bella/lieti affrettano il passo, e par, che in seno/il bel desìo s’aumenti, e il santo amore”. La stella scompare. Chiamati, si presentano ad Erode: ”Erode l’empio, che sul soglio assiso/tetrarca altero, e odioso, aspro tiranno/la Giudaica nazion regge, e governa/stupisce anch’egli, ed i Regnanti ignoti/a se d’innanzi chiama, essi ubbidienti/volgono il passo a la magion superba”. Ripartono. La stella ricompare. Giungono alla Capanna: “Così dicendo a la rural cappanna/volgono il passo, e fra timore, e speme/v’entrano umili. Il venerato Nume/giace Bambin: l’Immacolata Madre/Benigna, e tutta amor gli accoglie, a terra/piegan’essi il ginocchio, e l’aureo scettro/posan sul suolo, e dal canuto capo/traggono riverenti il lor diadema.“Adorano il Bambino e offrono i ricchi doni: “Spingon le braccia, ma il pudore umile/dubbiosi li rattien, vincono alfine/ogni timore, e un amoroso bacio/stampan sui piedi del Bambin celeste e poscia/offrono quindi i ricchi doni, e poscia/tornan gl’inchini a rinovar devoti”. Ripartono. Canto terzo. Consiglio dei Demoni. Erode è furibondo. Un angelo avverte Giuseppe di fuggire e i Magi a non ripassare per Gerusalemme. che infatti tornano per un’altra via. Fuga della Sacra Famiglia: ”Giuseppe intanto il Redentor Bambino/seco recando, e insiem la casta, e santa/Immacolata Madre esce ubbidiente/da la cappanna umile/ e a pari ignote/ rivolge il passo; il cenno sovrumano/ così comanda e d’ubbidir fa d’uopo.”. Il canto, e con esso il poemetto, si chiude con la strage dei neonati: “Ma quai gemiti oimè, quai pianti, e strida/…. Barbaro Erode! I desolati pianti/non muovono il tuo cuor, fermo tu resti…”.

Nessuna meraviglia per i motivi ispiratori di quest’opera; argomenti sacri ma ammantati di atmosfere quasi fiabesche in cui il giovanissimo Giacomo, come scrive Maria Corti, cui si deve la riscoperta e la pubblicazione, nel 1972, delle opere giovanili (1809-1810) del poeta: “S’immerge, con cerimoniosa effervescenza, talora con grazia ingenua e infantile, come se il ragazzo fosse di fronte a una bella e illustre favola, che lo attrae e invita a scrivere”.

Seppure ad una lettura superficiale “I Re Magi” appaiono come un poemetto che non esce dai confini di una buona esercitazione poetica con qua e là sprazzi di versi emozionanti, considerare queste opere giovanili di Leopardi, come semplici curiosità sarebbe un grave errore. Si tralascerebbe un quadro d’insieme che permette, in un più ampio discorso storico-letterario, di conoscere i prodromi della futura grande poesia leopardiana. Segnali della predestinazione alla poesia e come tali con estrema discrezione indagati; evitare il condizionamento del continuo giudizio comparativo nei riguardi della grande sua poesia, operazione che sarebbe antistorica e impietosa. Infatti, scrive ancora Maria Corti: “Uno studio sistematico su fatti fonetici e morfologici dei testi 1809 /1910 rivelerà sia la presenza di consuetudini formali della scuola dei Gesuiti [ ] sia la persistenza di forme antiche, tramandate dalla lingua poetica.” E quanto importante fu, in quegli anni per il giovanissimo poeta, l’insegnamento del gesuita Don Giuseppe Torres, fu lo stesso poeta a sottolinearlo: “A lui debbo la mia educazione, i miei principi, e tutto il mio essere di cristiano e di galantuomo”. Radici di una cultura classico-arcadica che diverranno, in seguito, elementi essenziali per la sua futura trasformazione ideologico-letteraria. E quale segno lasceranno quegli anni di fervente ammaestramento religioso? Ne dà una risposta – negativa- lo stesso Leopardi a vent’anni quando nello Zibaldone scrive: ”Quanto anche la religion cristiana sia contraria alla natura, quando non influisce se non sul semplice e rigido raziocinio, e quando questo solo serva di norma, si può vedere per questo esempio. Io ho conosciuto intimamente una madre di famiglia (sua madre) saldissima ed esattissima nella credenza cristiana, e negli esercizi della religione. Questa non solamente non compiangeva quei genitori che perdevano i loro bambini, ma gl’invidiava intimamente e sinceramente, perché questi erano volati al paradiso senza pericoli [ ] .”

Ma in contrapposizione a tale assunto emergono tanti altri momenti in cui verrà fuori un Leopardi diverso: certamente non tale da potersi definire “poeta cristiano”, ma non molto lontano dall’idea di Dio. Ne è ad esempio il canto “Aspasia” ove la bellezza femminile appare indice di una presenza divina: Raggio divino al mio pensiero apparve, / donna, la tua beltà”; la bellezza femminile – da motivo stilnovista- come ” messaggio” per guardare oltre il terreno alla ricerca della perfezione, dell’infinito o come in “Alla sua donna”: “Se dell’eterne idee / l’una sei tu cui di sensibil forma /sdegni l’eterno senno esser vestita”. Ma ancor di più, quanto scritto nello Zibaldone che alla religione ha dedicato ampie e articolate riflessioni: “La maggior felicità possibile dell’uomo in questa vita, ossia il maggior conforto possibile, e il più vero ed intero, all’infelicità naturale, è la religione”. Ma sempre in lui costante sarà il dubbio: nel “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia”:ove tende / questo vagar mio breve o in “A se stesso”, dove in pieno scoramento, senza null’altro attendere e sperare, gli appare svanita per sempre ogni sete di verità: Non val cosa nessuna / i moti tuoi”. Solo l’anno dopo, il 24 dicembre, Leopardi in una lettera indirizzata al padre si scuserà per non aver scritto nulla, nessun “libercolo”, per le festività natalizie, perché aveva poco tempo preso ad occuparsi di “opere più vaste”: “ ardii intraprendere opere più vaste, ma il breve spazio, che mi è dato di occupare nello studio, fece che laddove altra volta compiva i miei libercoli nella estensione di un mese, ora per condurli a termine ho d’uopo di anni. Quindi è che malgrado le mie speranze, e ad onta del mio desiderio, non mi fu possibile di terminare veruno di quelli, che mi ritrovo aver cominciati”. Stava iniziando la grande stagione dei Canti. Periodo questo che Leopardi definirà “il miglior tempo ch’io abbia passato in mia vita, e nel quale mi contenterei di durare finch’io vivo”.

In notti senz’albe a far notte ancora …

Ringrazio e ricevo questi versi augurali dal nostro Antonio Donadio estendendoli a tutti i nostri lettori per giorni pieni di luce. (ndr)


In notti senz’albe a far notte ancora

Come amico giunto all’improvviso
a cercar rifugio tra le mille carte
che inondano questo mio cielo urbano
perso in ritmi di versi insaziabili
amici di un insaziabile amore
segreto e palese unico e comunissimo
come comune son le parole di ogni verso
di ogni ritmo inventato e già disperso
in tempi senza ore né corse senza soste
in notti senz’albe a far notte ancora
per occhi e suoni che nulla tacciono
persi nella tortuosità di tempi e ore.

Notte scende la Notte
nel silenzio stellato.

Antonio Donadio
Bg, Notte di Natale 2021

Cava de’ Tirreni (SA). Natale 2022: messaggio dell’Arcivescovo Amalfi – Cava de’ Tirreni Orazio Soricelli

Carissime Sorelle e carissimi Fratelli, ancora poche ore e saremo tutti coinvolti e interpellati dal clima delle festività natalizie. Nonostante i tanti problemi che ancora appesantiscono e rallentano il cammino della solidarietà, della serenità e della pace ci sono alcune parole chiave che – nonostante tutto – possono aiutarci a leggere e rendere questi giorni veramente e doverosamente speciali.

La prima parola è sogno. Gli uomini hanno bisogno di sogni, sogni per vivere, sogni per sopravvivere. Soprattutto noi cristiani abbiamo bisogno di sogni. Quando Dio voleva qualcosa di particolare dagli uomini, lo manifestava sempre in sogno; oppure mandava un angelo. Non ci fossero sogni nella Chiesa, non ci sarebbe neppure il Vangelo. La “lieta novella” vive del sogno del regno divino che dovrà trionfare qui fra gli uomini. Noi cristiani viviamo del sogno, che un giorno vedremo realizzato: la promessa del Vangelo a tutti gli uomini di buona volontà. E’ il sogno di un mondo di fraternità nel quale tutti insieme, ma proprio tutti, contribuiranno a dare corpo al desiderio di bellezza che Dio ha preparato per ognuno di noi.

La seconda parola è segno. Non c’è persona che io veda che non sia simpaticamente indaffarato e affannato a cercare un dono, un regalo, un segno comunque di affetto, di amore, di riconoscenza per qualche altro. Siamo alla ricerca di segni che in qualche modo sappiano dare corpo ai nostri sentimenti più intimi e più speciali.

Natale così diventa per tutti il cercare di fare sintesi tra i sogni che viviamo e che infiammano il nostro cuore e i segni che non sempre riescono in pieno a raccontarci. E se il segno fossimo noi, il regalo fossimo noi stessi? Osare di presentarci a mani vuote, senza pacchetti, ma con un cuore colmo di coraggio e di speranza, colmo di ottimismo e fiducia e dire: eccomi, da oggi puoi contare veramente su di me! E se osassimo dare corpo ai nostri sogni per raccontare a chi incontriamo quanto sia speciale questa nostra vita, questa nostra storia anche se segnata e lacerata, offesa e inquieta? E se provassimo a ridire con le nostre vite ciò che un Angelo disse a Maria di Nazareth: “non temere, non avere paura: sei speciale agli occhi di Dio e il tuo “sì” cambierà radicalmente la storia del mondo e delle persone”?

Infine, in questi giorni, spesso e volentieri ascoltiamo l’ormai nota frase: A Natale si è tutti più buoni! Probabilmente però, proprio questo Natale ci chiede non di essere semplicemente “più buoni” quanto responsabilmente “più umani”; siamo chiamati a “riumanizzarci”. Non siamo schegge impazzite che viaggiano verso il nulla, schiacciate da un destino tiranno; siamo bellezza, opportunità, impegno, responsabilità, servizio, ricerca, orizzonte; parole queste che dipingono ognuno di noi come quel dono che il mondo aspetta.

Auguri di santo Natale a tutti, vi benedico di cuore!

S.E.R. Mons. Orazio Soricelli

Al via i “Concerti d’Autunno” a Cava de’ Tirreni

Il Quartetto Felix apre, sabato 22 ottobre, la stagione musicale curata dall’Accademia “Jacopo Napoli”. In cartellone anche Gabriele Mirabassi e Simone Zanchini.


Sarà il Quartetto Felix ad inaugurare a Cava de’ Tirreni la prima edizione dei “Concerti d’Autunno”, sabato 22 ottobre (ore 20), presso la Galleria del Centro per l’Artigianato Digitale. La manifestazione, che si avvale della direzione artistica del maestro Giuliano Cavaliere, è curata dall’AccademiaJacopo Napoli” con l’ambizioso progetto di realizzare una stagione concertistica annuale, coinvolgendo importanti esponenti della scena musicale internazionale e talenti emergenti.

Musica contemporanea, repertori classici, musica antica con strumenti originali, contaminazioni tra generi musicali, è quanto propone il primo ciclo della stagione, in questo mese, ospitato presso la Galleria del Centro per l’Artigianato Digitale, in Viale Crispi 14.

I concerti iniziano alle ore 20.

Posto unico: 10 euro. Ridotto, under 18 e studenti under 25: 6 euro.

Si parte, quindi, sabato 22, con i giovani talentuosi componenti del Quartetto Felix, vincitore del Premio “Giuseppe Sinopoli” 2017 conferito dal Presidente della Repubblica Italiana. L’ensemble, nato all’interno dei Corsi di Perfezionamento dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e formato dalla pianista Marina Pellegrino, dal violinista Vincenzo Meriani, dal violista Francesco Venga, e dal violoncellista Matteo Parisi, eseguirà opere di Mahler, Sollima, Walton.

Seguirà, domenica 23, l’esibizione del PizzicArco Ensemble. Il mandolinista Mauro Squillante (specialista negli strumenti antichi a plettro), Silvia Grasso (violino), Luigia D’Alema (viola) e Luca Tarantino (chitarra barocca) renderanno omaggio al compositore napoletano Emanuele Barbella (1710-1770) con l’esecuzione dei Six Duos pour deux Violons ou deux Mandolines avec une Basse ad libitum, sei duetti stampati a Parigi agli inizi degli anni Settanta del XVIII secolo.

Due acclamati virtuosi del proprio strumento si incontrano nell’appuntamento di venerdì 28: il clarinettista Gabriele Mirabassi e il fisarmonicista Simone Zanchini, musicisti trasversali che si esprimono con facilità sia nel mondo del jazz che in quello della musica classica. Ancora un duo, stavolta formato da Rocco Roggia (violino) e Riccardo Natale (pianoforte), in scena sabato 29, con un programma che, accanto alla Sonata op. 78 di Brahms, è volto alla valorizzazione della musica del primo Novecento italiano grazie alla proposta di brani, raramente eseguiti, di Martucci, D’Ambrosio e Curci.