PoesiadelNovecento – I Contemporanei

Poesie di poeti noti e meno noti del panorama letterario italiano … di Antonio Donadio

 

Da Tu scendi dalle stelle di Sant’Alfonso de’ Liguori a Claudio Baglioni a Natale in casa Cupiello

Mi è capitato, per caso, ascoltare su Rai 1 la pastorale Tu scendi dalle stelle cantata da Claudio Baglioni. Sono rimasto sorpreso nel notare alcune variazioni apportate al testo originale di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori (cui dedicai un “pezzo” il Natale dello scorso anno (N.d.R. Quanno nascette Ninno a Bettalemme, pastorale di Sant’Alfonso de’ Liguori. Ricordiamola – 24 dicembre 2019)

Vediamo alcune di queste variazioni (in maiuscolo le parti oggetto di confronto).

Versione originale:

Tu scendi dalle stelle, o Re del cielo,

e vieni in una grotta al freddo e al gelo,
e vieni in una grotta al freddo e al gelo.
O Bambino mio divino,
IO TI VEDO QUI TREMAR’,
o Dio beato!
AHI quanto ti costò l’avermi amato!
AHI quanto ti costò l’avermi amato!

A te, che sei del mondo il Creatore,
MANCANO PANNI E FOCO, o mio Signore,
MANCANO PANNI E FOCO, o mio Signore.

Testo cantato da Baglioni:

Tu scendi dalle stelle,
O Re del Cielo
E vieni in una grotta al freddo e al gelo
E vieni in una grotta al freddo e al gelo

O Bambino mio Divino
IO TI VEDO TREMARE UN PO’
O Dio Beato
MA quanto ti costò
L’avermi amato
MA quanto ti costò
L’avermi amato

A te, che sei del mondo
Il Creatore
I PANNI E FUOCO MANCANO o mio Signore
I PANNI E FUOCO MANCANO o mio Signore

(Fonte Musixmatch)

Non conosco i motivi che hanno portato alle modifiche ma credo interessante soffermarsi, seppure brevemente, su alcune di esse:

VERSO 5°

Originale:

IO TI VEDO QUI TREMAR

così cambiato:

IO TI VEDO TREMARE UN PO’

Una variazione: cambiare QUI (avverbio di luogo) con un PO’ (pronome indefinito quantitativo), che ritengo non appropriata e che indebolisce la cifra poetica di Sant’Alfonso. Il QUI non sta solo come semplice avverbio di stato in luogo (qui, in questa capanna) ma diviene uno stato in luogo simbolico: qui, ovvero sulla terra. Ormai Dio, fattosi uomo, inizia a tremare proprio come un uomo fra gli uomini.

VERSI 7 °/ 8°

Originali:

AHI quanto ti costò l’avermi amato!
AHI quanto ti costò l’avermi amato!

così cambiati:

MA quanto ti costò
L’avermi amato
MA quanto ti costò
L’avermi amato

Il MA, semplice congiunzione avversativa non ha la forza dell’interiezione AHI con punto esclamativo alla fine del verso. Il MA indica solo una conseguenza di quest’atto d’amore, solo un contrasto con quanto affermato prima, mentre AHI indica la consapevolezza da parte dei credenti di un vivo dolore, non solo simbolico ma anche fisico, nelle carni di questo Dio fattosi uomo per riscattare i nostri peccati.

VERSI 10°/11°

Originali:

A te, che sei del MONDO il Creatore,
MANCANO PANNI E FOCO, o mio Signore,
MANCANO PANNI E FOCO, o mio Signore.

così cambiati:

A te, che sei del MONDO
Il Creatore
I PANNI E FUOCO MANCANO o mio Signore
I PANNI E FUOCO MANCANO o mio Signore

Da notare la trasposizione del verbo “MANCANO” ma soprattutto la variazione di FUOCO al posto di FOCO. Questa modifica fa venir meno l’assonanza al mezzo con MONDO del verso precedente. Parrebbero piccole cose, ma sono sostanziali: è auspicabile che la purezza di un testo sia garantita sempre di là da diritti d’autore (almeno che non si “riscriva” completamente). Non credo che il sig, Baglioni sarebbe contento se qualcuno cantasse “Strada camminando”.

Purezza di un testo che l’altra sera, a pare mio, non è stata garantita dalla “libera” trasposizione filmica: “Natale in casa Cupiello. tratto da Eduardo de Filippo”. Per chi ama Eduardo, applaudito più volte in vita e ancora nelle registrazioni televisive, quello proposto da Rai 1, è qualcosa d’altro, che assolutamente non rivedrei né consiglierei. Qualcuno l’indomani ha scritto: “Nessun paragone, ricalco o sudditanza psicologica”. Sono d’accordo: nessuno si sognerebbe di paragonarsi a Eduardo o ricalcarlo, ma allora lasciamo agli spettatori godere dell’originale, un piccolo capolavoro del Novecento Italiano, non proponiamo una “rilettura” onesta, ma a pare mio, certamente non rappresentativa del “Mondo Eduardiano”.

… e Rossi va in gol

Nella giostra
del palio mondiale
tacciono le bombe. Dimenticate.
Il Paese nasconde il dolore
… e Rossi va in gol.

Stanotte
qualcuno griderà più forte ti amo e
Gano inutilmente attenderà Roncisvalle.

Domani tornerà
il consumato sole.

(Antonio Donadio, 11 luglio 1982)

(da Antonio Donadio L’altro Calcio, Mitilia Editrice, 1984)

Madrid,11 luglio 1982 -Stadio Berbabeu. La storica immagine di Sandro Pertini, Presidente della Repubblica Italiana, con a fianco il Re Juan Carlos di Spagna che al risolutivo gol di Tardelli (3 a 1) urla, come un qualsiasi tifoso, “Non ci prendono più”, è impressa in modo indelebile nella nostra mente. L’Italia vinceva il Campionato del mondo di calcio! Il nostro Paese sembrava impazzito. Tutto dimenticato in quella notte: altro non c’era che festeggiare e Paolo Rossi (Pablito), era il nostro piccolo Davide: aveva sconfitto dapprima Golia, l’imbattibile Brasile, con tre gol, poi rifilati due gol alla Polonia e, in finale, un gol alla temutissima Germania Ovest.

Una notte troppo diversa dalle altre per non essere memorabile, non divenire “storica”. E oggi che quel piccolo Davide ci lascia a soli 64 anni, tristemente riscopro questi miei versi scritti in “quella notte” quando tutto sembrò lontano, anche i dolori, i lutti, le guerre “ Nella giostra/del palio mondiale/tacciono le bombe. Dimenticate”. I gol di Paolo Rossi avevano fatto svanire tutto per incanto. Notte magica in cui sembrò, come in una favola, prevalere su tutto e tutti l’amore “qualcuno griderà più forte ti amo” e lo spirito d’onestà e fratellanza “Gano inutilmente attenderà Roncisvalle”, ma ahimè, al sorgere del sole tutto sarebbe svanito: un altro giorno, solo un altro giorno, uguale a tutti gli altri. Ma “quella notte” rimane indelebilmente “magica” e un pezzo di quella magia avrà per sempre le sembianze di un piccolo numero 20 chiamato Paolo Rossi.

Maradona il poeta del gol

Solo un anno prima di essere assassinato in modo esecrabile e fascista, Pier Paolo Pasolini dalle colonne de ”Il Giorno “ affermava:

Il capocannoniere di un campionato è sempre il miglior poeta dell’anno.”

Se per Pasolini miglior poeta dell’anno, è il capocannoniere, a buon diritto allora si potrà affermare che il miglior poeta del gol è stato il più grande giocatore di tutti i tempi Diego Armando Maradona.

Per Pasolini, infatti, inscindibile era il connubio calcio e poesia:

Ci sono nel calcio dei momenti che sono esclusivamente poetici: si tratta dei momenti del “goal”. Ogni goal è sempre un’invenzione, è sempre una sovversione del codice: ogni goal è ineluttabilità, folgorazione, stupore, irreversibilità. Proprio come la parola poetica”.

Affermava che “il sogno di ogni giocatore (condiviso da ogni spettatore) è partire da metà campo, dribblare tutti e segnare. Se, entro i limiti consentiti, si può immaginare nel calcio una cosa sublime, è proprio questo. Ma non succede mai. E’ un sogno…”

E invece questo sogno si materializzò il 22 giugno 1986 allo stadio Atzeca di Città del Messico nei quarti di finale della Coppa del Mondo FIFA tra Argentina e Inghilterra: Maradona, dalla propria metà campo, iniziò, palla al piede, una corsa di sessanta metri, e in dieci secondi, superò ben sei avversari, compreso il portiere Shilton e depositò in rete il pallone del più bel goal di tutta la storia del gioco del calcio. Il sogno di Pasolini si era avverato, ma il poeta non potette vederlo, essendo stato assassinato dieci anni prima. Maradona aveva segnato il gol più poetico del mondo.

Su Diego Armando Maradona si è detto e scritto di tutto, e ancora si dirà, ma solo oggi con dolore, noi amanti del calcio, e non solo noi tifosi del Napoli (che immensa gioia il primo scudetto della storia partenopea!), ci rendiamo conto che anche un dio del calcio, è solo un mortale dio pagano. Ma chi è era Maradona?

Ricordiamolo nel “ritratto” che ne aveva fatto Gianni Brera, giornalista dalla penna singolare e “stravagante” (oggi, purtroppo, male imitato da taluni “opinionisti sportivi”):

“… Maradona è uno sgorbio divino, magico, perverso: un jongleur di puri calli che fiammeggiano feroce poesia e stupore (è dei poeti il fin la meraviglia). Talora uno dei suoi piedi serve fulmineamente l’altro per una sorta di paradossale ispirazione atta a sorprendere: ma quando vuole, questo leggendario scorfano batte il lancio lungo che arriva, illumina, ispira: capisci allora che i ghiribizzi in loco erano puro divertissement: esibizione per i semplici: se il momento tecnico-tattico lo esige, in quelle tozze gambe animate dal diavolo entra solenne il prof. Euclide. E il calcio si eleva di tre spanne agli occhi di coloro che, sapendolo vedere, lo prediligono su tutti i giochi della terra.“

Ma parlare di Maradona è parlare non solo del Napoli e di Napoli. Figlio adottivo di questa terra meravigliosa e dannata (proprio come Diego). Maradona, ricordiamolo, argentino di nascita, infatti, in una meravigliosa canzone “Tango della Buena Sorte” di un altro grande figlio di Napoli, Pino Daniele, anche lui, ahimè scomparso a soli sessant’anni, diventa ancora qualcos’altro, icona “magica” per un altro tipo di vittoria, il riscatto sociale e umano del popolo argentino.

Tango della Buena Sorte

Lui è un mago con il pallone
io l’ho visto alzarsi da terra
e tirare in porta
soffia il vento d’Argentina
d’avanti agli occhi spalancati
e pieni di grande speranza.

E’ il momento giusto
suona il tango per magia
lui è l’uomo giusto
che ci può far vincere
tango della buena suerte.

Ma la partita più importante
è da giocare con la vita
stando a metà del campo
mentre chico corre intorno al mondo
noi non abbiamo ancora
imparato questa lezione.

Ed a luci spente
suona il tango per magia
resterà qui per sempre
come un fermo immagine
chico buona fortuna.

Ed al momento giusto
suona il tango per magia
lui è l’uomo giusto
che ci può far vincere
tango della buena suerte.

Pino Daniele

( da “Passi D’Autore” , 2004)

(ndr Alcuni passi dell’articolo sono tratti dal saggio su calcio e letteratura italiana dello stesso Antonio Donadio: A.D. Calcio d’autore da Umberto Saba a Gianni Brera: il football degli srittori- Postfazione di Alessandro Bonan, Editrice La Scuola, 2016)

Cent’anni fa nasceva Gianni Rodari. Originale poeta e impareggiabile pedagogista

Cent’anni fa nasceva Gianni Rodari. Voce tra le più note e importanti della letteratura per l’infanzia (per taluni solo “uno scrittore per bambini”). Molto amato (e a buon ragione) da una moltitudine d’insegnanti, specie della scuola elementare (o primaria come usa dirsi adesso). Forse non c’è un bambino, un ragazzo che non abbia letto o imparato una delle sue originali, “controcorrenti” poesie. Di Rodari ho sempre apprezzato l’uso che faceva della Parola, del verso volutamente mascherato da apparenti semplici rime.

Esemplare questa sua famosa affermazione/dedica:

A chi crede nella necessità che l’immaginazione abbia il suo posto nell’educazione; a chi ha fiducia nella creatività infantile; a chi sa quale valore di liberazione possa avere la parola. Tutti gli usi della parola a tutti. Mi sembra un buon motto, dal bel suono democratico. Non perché tutti siano artisti, ma perché nessuno sia schiavo”

Molti anni fa un altro grande poeta, Mario Luzi da me intervistato, affermò: “Oggi, in questo mondo di troppe parole è scomparsa la Parola”. Chissà cosa avrebbe detto oggi che le parole si sprecano, assediati come siamo da un’orgia di parole massmediatiche da cui è difficile difendersi. E chissà cosa avrebbe detto- o meglio scritto- Rodari se non ci avesse lasciato nel lontano 1980 a meno di sessant’anni. Di lui voglio ricordare i versi che seguono, rappresentativi non solo di un originale poeta e grande pedagogista (fu maestro elementare e giornalista innovativo fuori dagli schemi), ma soprattutto di un Uomo che auspicava attraverso l’uso della Parola fantastica un mondo finalmente libero da confini territoriali o ideologici.

C’è una scuola grande come il mondo.
Ci insegnano maestri, professori,
avvocati, muratori,
televisori, giornali,
cartelli stradali,
il sole, i temporali, le stelle.
Ci sono lezioni facili
e lezioni difficili,
brutte, belle e così così.
Ci si impara a parlare, a giocare,
a dormire, svegliarsi,
a voler bene e perfino
ad arrabbiarsi.
Ci sono esami tutti i momenti,
ma non ci sono ripetenti:
nessuno può fermarsi a dieci anni,
a quindici, a venti,
e riposare un pochino.
Di imparare non si finisce mai,
e quel che non si sa
è sempre più importante
di quel che si sa già.
Questa scuola è il mondo intero
quanto è grosso:
apri gli occhi e anche tu sarai promosso.

Gianni Rodari

(da Gianni Rodari Il libro degli errori, Einaudi, 1964)

Gianni Rodari (Giovanni) (Omegna 1920- Roma 1980). Tra i suoi numerosi libri, voglio solo citare un indiscusso capolavoro: Grammatica della fantasia. Introduzione all’arte di inventare storie. Einaudi, 1973.

Novità in libreria: Poesie controcorrente e racconti in versi di Fabio Dainotti

Banalmente superficiale sarebbe etichettare quest’ultimo libro di Fabio Dainotti (Poesie Controcorrente e Racconti in versi Biblioteca dei Leoni, 2020 pagg. 65, Euro 10,00), poesie di ricordi di gioventù. Il poeta con originale colpo d’ali si spinge in un’ardita ricerca dal sorprendente interrogativo: può esistere una topografia dei sentimenti? Esiste la possibilità che i nostri sentimenti, un tempo nati e vissuti colà e in quel tempo, siano ascrivibili in una mappa che sia esaustiva di un’intera vita? Come e perché proprio in quel tempo e in quel dato luogo presero vita talune emozioni che ancora e per sempre ci accompagnano? Desiderio, quindi, di una mappa che tracci una topografia dei sentimenti che racconti di noi ma anche di tanti altri che un tempo furono con noi. E’ da qui che parte la sua ricerca di singolare cartografo dei sentimenti. Libro questo che, suppongo, non resterà un unicum nel disegno di delineare un percorso memoriale ed emozionale dello scorrere degli anni. Versi che rimandano ad avvenimenti cari al poeta (“Pena”) o soltanto a episodi di cui è stato spettatore occasionale (“Triangolo“ o “Charlie”). Immagino Dainotti a mappare questi versi che respirano, quasi nella totalità delle liriche, della sua terra nativa, la Lombardia (Dainotti è nativo di Pavia) mentre, “controcorrente”, davanti ai suoi occhi si stagliano le verdi colline di Cava de’ Tirreni dove da anni risiede o lo splendido mare dell’incantevole Cetara dal suo “buon ritiro” in un antico maniero. Parafrasando Ovidio: caelum, non animum mutant coloro che nati in un posto vivono in un altro. Libro “lombardo” questo che rimanda a quella “Linea Lombarda“ (non a caso in apertura campeggiano alcuni versi di Vittorio Sereni) ben lontana, però, dalla definizione che “taluni” spregiativamente etichettarono come “poesia del cosismo”. Qui non sono le cose a parlare e neanche persone in cerca di autore – un tempo personaggi reali – ma i luoghi in cui si ebbe un’irripetibile rappresentazione vitale. Paesaggi, graditi o meno all’autore, ma che costituiscono quell’ideale mappa cui tende Dainotti. Un filo che si snodi nel tempo inesorabilmente. Versi in cui vediamo il poeta preso da “voluttà di perdersi e trovarsi” o nel riandare a “una sua canzoncina,/ di solo quattro note,/ma vorresti ascoltarla sempre, sempre.” Ma una mappa per essere leggibile e certa non può essere parziale, manchevole di una parte “ Non si sa:/ i conti si fanno alla fine.”

Pena

La luce
abbassava, sì acuta era la pena.

Saba

“Non ho niente da mettermi”; e piangeva
con i singhiozzi, come una bambina,
mia madre. E io n’ebbi pena, come
se mancassero i soldi per mangiare
e non, semplicemente, nell’armadio
un abito da sera.

Triangolo

I due amanti s’allacciano sull’erba
scambiandosi baci di fuoco.
Il ragazzino sta in disparte, timido.
-Puoi venire anche tu, se vuoi!- fa lei
con aria di sfida.

La passeggiata

La littorina fermava
in un viale alberato di Milano;
era giugno, la luce dilagava.

Vimercate: fermata in pieno centro,
tra un’edicola in fiore di giornali
e il chiosco per la musica d’estate.

Le signore sfilavano eleganti
con ombrellini al braccio.

Fabio Dainotti

(da Poesie Controcorrente e Racconti in versi Biblioteca dei Leoni, 2020)

Fabio Dainotti, nato a Pavia nel 1948 vive a Cava de’ Tirreni. Presidente onorario della Lectura Dantis Metelliana, condirige l’annuario di poesia e teoria “Il pensiero poetante”. Tra i suoi libri di poesia: L’araldo nello specchio, Avagliano 1996; La Ringhiera, Book, 1998; Ragazza Carla Cassiera a Milano, Signum, 2001; Un mondo gnomo, Stampa alternativa, 2002; Ora comprendo, Edizioni Scettro del Re, 2004; Selected poems, Gradiva, 2015; Poesie Controcorrente e Racconti in versi Biblioteca dei Leoni, 2020. Vincitore nel 2015 del Premio Murazzi, è presente in numerose riviste di settore e antologie. Ha curato la pubblicazione presso Bulzoni de Gli ultimi canti del Purgatorio dantesco (2010).