Coronavirus: La Voce dei Poeti

 

Coronavirus. La voce dei poeti: Giancarlo Zizola

Sono i lunghi, interminabili giorni del lockdown: ecco la testimonianza in versi di Giancarlo Zizola.

UN NUOVO GIORNO

Gialla irrompe la luce del sole

s’inquadra alla finestra,

ed è subito abbaglio,

irrefrenabile curiosità

per scordare le inquietudini

della notte, si distende

nel giorno, ancora ignara

dei segni del destino

tra nuvole a conchiglia,

con lunghe colonne vibranti

nell’aria leggera, corre

verso la malcelata tristezza

di una nuova sera.

Giancarlo Zizola (Inedito)

Attraverso la poetica narrazione dello scorrere di un intero giorno dall’alba alla sera, giorno, ahimè, uguale a tanti altri che si susseguono monotoni e silenziosi, Zizola ci regala un’originale lettura del suo nascosto animo: percorso di una speranza che con lo spuntare di un nuovo giorno torni il sereno. Ma ancora una volta la delusione è ad attenderlo inesorabilmente con l’arrivo delle ombre. Sono giorni in cui si vive come sospesi, trattenendo il fiato, tesi a decifrare le ultime dolorose mosse del terribile, invisibile nemico. Sembra vederlo il poeta dal terrazzo della sua bella casa posta sul piccolo colle che domina il centro storico di una silenziosamente immobile Asolo. Serrato lui, come tutti, da giorni. Eppure quella prigionia, forzatamente volontaria, invece di annientarlo, d’abbatterlo, gli regala qualcosa d’inesprimibile, d’incantata armonia: la luce dell’alba disegna un’invisibile tela “Gialla irrompe la luce del sole/s’inquadra alla finestra”. Nel bagliore di questi primi timidi raggi di sole che annunciano il giorno, sembra che la notte sia stata messa in fuga “per scordare le inquietudini /della notte” e far posto a un nuovo giorno che si spera foriero di cose belle e nuove. Ma imponderabili, sconosciuti sono i “segni del destino“: il cielo si fa nuvoloso tra cirri “conchiglia/ con lunghe colonne vibranti” e sembra precorrere a una sera che si appresta essere dolorosamente cupa come da giorni ormai.

L’uso dell’enjambement come cardine ritmico unito all’iterazione regala forza semantica alla narrazione poetica sin dal primo verso. L’esplosione di luce è melodiosamente suggerita dal ricorrersi della labiale “L” “Gialla irrompe la luce del sole. E poi, come due schieramenti opposti, ecco: il sole, le nuvole, l’ aria, fronteggiarsi con l’ abbaglio, l’inquietudine, la tristezza, e tra di esse, un’irrefrenabile curiosità con il prevalere dell’aria leggera per “una nuova sera”. Felice traslitterazione poetica dello scompiglio dell’animo palpitante di Zizola dato da opposti sentimenti. Eccola una nuova sera che arriva, velata, però, ancora di “malcelata tristezza”, accorato tentativo di voler dissimulare la profonda tristezza di questi sospesi giorni.

Carlo G. Zizola (Giancarlo), laureato in sociologia è poeta e operatore culturale. Presidente della prestigiosa settecentesca “Academia dei rinnovati” di Asolo. Suoi versi figurano in qualificate antologie poetiche. Tra le sue pubblicazioni citiamo; “Per le strade”, Edizioni del Leone,2004; “ Vortici”, Edizioni del Leone, 2007;“La neve e il tempo” Edizioni El Squero, 2016 “Quando l’amore odia”, Campanotto 2016; “Il gufo accecato e altre favole in versi”, L’Orto della Cultura, 2019.

CORONAVIRUS. La Voce dei Poeti: “Nel silenzio delle prime ombre” di Giulia Borroni

Parlare di Giulia Borroni è parlare di … Mario Luzi, o meglio di “zio Mario”, come la poetessa amava chiamare e chiama il grande poeta fiorentino. E’ doverosa, quindi, una premessa. Nei miei studi luziani, sfociati nel 2014, anno del centenario della nascita del poeta, in un mio saggio (La vita al quadrato – Sulla poetica di Mario Luzi, LietoColle 2014), notavo che della famosa poesia “Notizie a Giuseppina dopo tanti anni” non si sapeva altro che “ la poesia è indirizzata a Giuseppina Mella, maestra lombarda, conosciuta quindici anni prima a San Pellegrino terme dove, entrambi adolescenti, erano al seguito delle rispettive famiglie” (Mario Luzi, L’opera poetica a cura di Stefano Verdino, Meridiani Mondadori- Nota, pag.1447). Null’altro. Da qui la curiosità di saperne di più. Curiosità del ricercatore che mi ha permesso di “scoprire che l’incontro avvenne nel mese di luglio del 1934 dove, effettivamente, il poeta era in compagnia dei genitori recatosi dalla Toscana al famoso centro termale per la cura delle acque così come Giuseppina in compagnia della madre anch’essa a San Pellegrino per lo stesso motivo. Tra loro nacque una forte amicizia che culminò molti anni dopo nella famosa lirica. La mia ricerca mi condusse poi da San Pellegrino a Castellanza, città natale di Giuseppina, fino ai giorni nostri fino a… Giulia Borroni, figlia di Giuseppina Mella. Dalla gentile signora, ho appreso che dopo un lungo periodo di lontananza, i due si erano rivisti e legati dall’antica e cordiale amicizia giovanile, si erano saltuariamente frequentati fino alla morte della signora Giuseppina. Giulia ebbe, così, l’opportunità, sin da ragazzina, di frequentare il poeta e di averlo ospite più volte a Castellanza e di affezionarsi tanto a lui da chiamarlo “zio Mario”.

Della signora Borroni propongo questi inediti versi anch’essi nati in questi tremendi giorni di angoscia.

Nel silenzio delle prime ombre

Nel silenzio delle prime ombre

tra lo sfiorire della luce

e l’apparire della luna

affidare al contatto delle mani

tutto l’affanno di vivere

che si disperde e si scioglie

mentre danza

nella polvere dell’imbrunire

libero il pensiero!

Giulia Borroni (inedito)

In uno schema da poesia prosastica, Borroni si affida più che al ritmo dei versi, a un ordito semantico che regala nell’uso della sinestesia unicità e armonia al testo: “Silenzio delle ombre”, “lo sfiorire della luce”, “polvere dell’imbrunire”. Esemplare il dettato di centro: “affidare al contatto delle mani/tutto l’affanno di vivere” con il conseguente atto finale: “libero il pensiero!” 

Oggi che è vietato per legge, il semplice antico gesto dello stringersi la mano, dell’abbraccio amicale o affettuoso, Giulia Borroni ci regala una lettura sentimentalmente poetica del profondo valore di questo gesto. La sera, momento crepuscolare da sempre foriero di emozioni per poeti di ogni tempo (basterebbe citare soltanto Petrarca, Foscolo o Leopardi), quando la luce del giorno va a morie e affiorano le prime paurose ombre e la luna ci dona il suo amicale chiarore, è quello il momento più d’ogni altri in cui una stretta di mano diventa un gesto che sa di portentoso; sembra quasi che i dolori del giorno, dell’affannoso vivere quotidiano, si disperdano, come balsamo d’amicizia o d’amore per una vita fatta di gioie ma anche di paura, di momenti terribili e dolorosi come questi nostri giorni. Al semplice contatto di due mani che si cercano, “al contatto delle mani/tutto l’affanno di vivere/ che si disperde tutto diventa magia” nasce una lieve dolcissima danza che sconfigge il nero velo della sera e della notte prossima a venire e così il pensiero si fa libero, vola immaginando un mondo diverso fatto di luce e di ritrovata serenità.

Giulia Borroni Cagelli , è nata a Castellanza dove risiede. Ex docente di Lingua e Letteratura Francese negli Istituti Superiori, ama comporre versi sia in lingua italiana che in lingua francese con riconoscimenti e premi anche da prestigiose accademie francesi: Club “ Sophia Poésie” di Valbonne-Antibes-Costa Azzurra; “Société des Poètes Français” a Parigi – Quartiere Latino. Tra le più recenti pubblicazioni, citiamo: Sul cammino di Santiago. Itinerario poetico alla ricerca della sorgente dell’amore divino Montedit, 2006; Vertigine africana-African vertigo, Montedit 2008; Breviario d’amore, Montedit, 2010; Voli di falchi e fischi di marmotte, Tigulliana 2016.

Coronavirus. La voce dei poeti: Antonio Avenoso

Continua la mini antologia La voce dei poeti, poesie inedite scritte in questi travagliati giorni. La “voce”, questa volta, è quella del poeta lucano Antonio Avenoso.

A volte

A volte, nessuno crede nella propria vita.

Come una carezza virtuale

i bambini disegnano aquiloni

canticchiano canzoni.

Passerà anche questo giorno

come una lacrima cadrà

in attesa dell’avvento

e tutti riprenderemo ad ascoltare il vento.

Antonio Avenoso (Inedito)

Mi piacere sottolineare che questa poesia nell’apparente veste prosastica, denuncia un interessante gioco d’armonici ritmi dati dall’accorto uso di rime baciate (aquiloni/canzoni vv3-4), (avvento/vento vv.7-8); una rima al mezzo (disegnano/canticchiano vv 3-4). Vibrante intensità positiva, poi, nella scelta delle voci verbali usate: disegnare aquiloni, canticchiare canzoni, riprendere e poi ascoltare, esse sanno regalare alla poesia un soffio di levità, scelta quanto mai felice in questi giorni che sembra mancare a tutti noi l’area vitale, il respiro. Giorni terribili e dolorosi che diventano nella trasfigurazione poetica nei versi di Avenoso, l’occasione per una profonda riflessione sull’uomo, le sue scelte, i suoi errori, le sue presunte certezze. Tutto è in discussione come in tante altre volte quando “nessuno crede nella propria vita” spinti dal credere che sia vita ciò che ha solo parvenza di vita. Questi giorni sembrano non avere più respiro, tutto è immobile, tutto è sospeso, solo, ahimè il dolore e la morte sembrano aver cittadinanza attiva. Ma gli aquiloni e le canzoni dei bambini non si arrendono, vibrano e volano insieme nell’aria con la forza di una “carezza virtuale”. Non è questo che solo un lungo incredibile momento di una sola unica lacrima, come unico è l’uomo ma frutto d’un irripetibile insieme, che vibrerà in attesa della nuova rinascita, che sarà come musica portata da un dolce vento che annunzierà la fine dei giorni del dolore e l’inizio di aurea ritornata respirabile e serena.

Antonio Avenoso (Melfi 1954) è poeta, operatore culturale. Dal suo primo libro di versi “Metamorfosi” del 1977 a oggi, ha pubblicato circa venticinque libri. Tanti anche i premi e i riconoscimenti. Amico non solo di poeti, ma anche di pittori, si occupa anche di critica artistica. Ha firmato per la Rai due sceneggiature: su Orazio e su Federico II di Svevia.

Coronavirus. La Voce dei Poeti: Réservé di Paolo Romano

Réservé

Come quando un cameriere

lascia cadere un bicchiere

tutti quei cristalli infranti

piccoli diamanti

per l’infinito stupore

d’essere vivi

alternativi

inseriti in un’antologia d’amore

che il calice ha richiamato

un brano di vetro soffiato

un bacio appena dato

un trionfo privato

apparecchiato al tavolo

della sera incommensurabile

fosse una vita cantabile

sarebbe una nostalgia

piena di melodia.

Ma ho perso tutto dalle tasche

rimangono pochi sorrisi

dimenticanze

cosa da nulla

il loro tutto confortante.

La voce tua distante.

Paolo Romano

Una poesia questa da leggersi tutta d’un fiato, senza pause, condotta saggiamente per mano dal ritmo cadenzato che lo avvolge godendo di un’interessante tessitura ritmica. Benché sia un’unica strofa, per comodità d’analisi, la suddividerei in due parti. La prima parte risulta costituita da ripetute rime tra baciate e alternate (A A B B A CC A D D D D – F F G G) che accompagnano melodicamente il lettore nella veloce “narrazione” che si va rappresentando di cui, come poi vedremo, il poeta è spettatore. La seconda parte è costituita da soli sei versi: il poeta, non racconta più l’accaduto ma il suo stato d’animo che, formalmente non richiede più l’ausilio di rime (assente nei seguenti quattro versi). Il suo è un prorompere duro, di dolorosa riflessione su quanto narrato prima: uno sfogo istantaneo, diretto. E’ solo negli ultimi due versi che ritorna la rima, baciata, ma crudele nella dolorosa contrapposizione di un “tutto confortante” ad una “voce tua distante”. La tristezza del canto è papabile e aggettivi “dolorosi” stanno a sottolinearlo: da cristalli infranti, a infinito stupore, a trionfo privato“ a “fosse una vita cantabile/sarebbe una nostalgia/ piena di melodia” e poi “pochi sorrisi”… “cosa da nulla”. In chiusa: “La voce tua distante”.

I terribili momenti che stiamo vivendo, la nostra scoperta fragilità di uomini diventa una poderosa immagine icastica nei versi di Paolo Romano: l’uomo, un vetro fragile che va rompersi in mille “cristalli infranti” quasi come “piccoli diamanti” che si appropriano, inaspettatamente, di una propria vita nascosta. Compressi a dar forma ad “un bicchiere” di vetro, nascono come cose a se stanti, autonome e nuove, continuità e diversità insieme. Il bicchiere, finito in frantumi, ha portato con sé un’intensa sconosciuta ma prevedibile storia, testimone d’incontri d’amore, di labbra sfiorate, di successi o sconfitte per un canto che “sarebbe una nostalgia/piena di melodia”. Sembra il momento della riflessione o forse del conto finale, dei ripensamenti o forse dei rimpianti… In questi giorni ognuno di noi è messo a nudo davanti alla sua stessa vita, non può barare, la sua vita distratta, fino ad ieri, da mille quotidianità potrebbe presentargli il conto finale. Il bicchiere si è rotto, è andato in mille frantumi… segni belli o tristi, vicende di vita inesorabilmente andate per sempre. Si ritrova solo, l’uomo, insieme a tanti altri uomini soli ma tutti legati da un unico destino: una quarantena che isola ma anche affratella, che fa ritrovare una forza e un vigore forse inaspettato. Ecco l’uomo che sente di possedere più nulla, ha “perso tutto dalle tasche” gli rimangono soltanto “pochi sorrisi/”dimenticanze/cosa da nulla”. Un’ infinta tristezza lo pervade. Nella sua solitudine, la mancanza di una voce “voce tua distante”, lo fa piombare nell’angoscia. E mai come in questi giorni si fa prorompente il bisogno di una voce, familiare, amica, o perfino lontana che arriva a noi tramite mezzi mediatici o da un vicino cortile, dall’ attiguo terrazzo cantando o urlando un messaggio di speranza, di coraggio. Riscoprire il valore balsamico della voce, di un’altra voce che non sia la nostra che serva per infondere coraggio a noi stessi e a quanto a loro volta aspettano la nostra voce in questi attoniti silenzi di una comune anima.

Paolo Romano, giornalista professionista, già in forza a Rai-Giubileo, è redattore di TDS Salerno. Collabora con il quotidiano “Il Giornale del Sud”. Ha realizzato documentari in India, Tunisia, Germania, Israele, Egitto, Giordania. Ha vinto il premio Giornalistico “Città di Salerno” (2006) e il Premio “ Media e Territorio”(2010). Tra le sue pubblicazioni: “Menti perdute” (Ripostes 1995); “Circo-stanze” (Ripostes 2000): “Il Dio della valigia” (Il grappolo 2004); “Mille quadri non dipinti” Pref.di Erri De Luca, 2017; “La storia di Salerno dalle origini ai giorni nostri” Editrice Typimedia,Roma, 2019. Una silloge di sue poesie è stata tradotta in inglese e pubblicata negli Stati Uniti su “Gradiva-Internazional Journal of Italian Poetry”.

Coronavirus. La Voce dei Poeti: Attesa di vita di Annamaria Apicella

Attesa di vita. Poesia giuntami dalla Signora Annamaria Apicella, cara amica e già collega di materie letterarie alle Superiori che risiede nella nostra comune città natale, Cava de’ Tirreni.
Nell’invio, Annamaria, mi scrive che la poesia vuole essere testimonianza dolorosa e “modesto” ma tangibile segno di vicinanza e di fraterno affetto alla “bella città di Bergamo dove tu ormai risiedi da molti anni, così crudelmente e mortalmente colpita. L’ho scritta di getto, velocemente, dettata da un penetrante dolore misto a un’irrefrenabile commozione”.

Attesa di vita

Insensata sosta
per l’ospite inatteso.

Via vai di regole e
divieto di nozioni
da un oscuro

ignoto dizionario.

Vite in riga tra
bianche lenzuola
inaridite. Letti senza respiri
fra spenti sorrisi. Né mai
una lacrima raccolta.

Solo
furgoni in riga verso fuochi accesi.
E tanta tanta cenere in viaggio
verso il sole d’un cielo azzurro.

Annamaria Apicella  (Inedito)

Palese è l’immediatezza del sentimento che è alla base dell’elaborazione poetica della prof.ssa Apicella. Poesia divisa in tre strofe come tre stazioni di una pietosa via crucis: l’arrivo improvviso del male e lo sconvolgimento totale; le luttuose conseguenze; lo straziante epilogo alla luce di una rinascita cristiana o laica. Poesia in cui emerge, in modo prorompente, l’incontenibile incredulità per un qualcosa di spaventoso e d’inatteso che ha messo la nostra vita in un’“insensata sosta” e che ci costringe a scoprire nuove regole di comportamento “via vai di regole “, divieti impensabili (non poter uscire da casa) “partoriti” “da un oscuro ignoto dizionario”. E, tanto, grandissimo dolore. Morti, tantissimi morti, specie in Lombardia e in particolare nella provincia di Bergamo. Neppure le lenzuola hanno più lacrime “bianche lenzuola/inaridite, per centinaia e centinaia di poveri corpi. Nessuna pietas cristiana, nessuna possibilità di pausa per dare l’ultimo addio a chi muore: sono tanti i morti e bisogna fare presto; bisogna liberare i letti ormai senza respiri, né poter avere un attimo per una lacrima d’addio “né mai/ una lacrima raccolta. Lontani persino i congiunti più cari, figli, madri, mogli. Il virus e lì in agguato pronto a offendere e uccidere ancora e ancora. Terrificante, gravoso epilogo: la spettrale dolorosa rappresentazione in questa moderna molteplice via crucis di centinaia di furgoni con i corpi dei defunti in fila verso il cimitero di Bergamo per la cremazione “furgoni in riga verso fuochi accesi.” E poi “ tanta tanta cenere in viaggio” ma – e qui il cuore del poeta ha uno scatto d’illuminata speranza- in viaggio verso “il sole d’un cielo azzurro”.

E’ interessante sottolineare la costruzione ritmica che sorregge questa poesia. Nessuna rima “abbraccia i versi” legati da ripetuti enjambement e da una costruzione metrica in cui predomina, nella prima strofa, l’uso dell’ iterazione “S” (Insensata sosta per l’ospite inatteso). Consonante “S” caratterizzata dai primi tre lemmi dal suono aspro, sordo a indicare la gravezza di tutto ciò. Nella seconda strofa continua e si accentua la dolorosa rappresentazione attraverso ancora un suono duro (riga/ tra inaridite respiri, sorrisi lacrima), uso della “R” che quasi rotola a fatica fra i denti. Nell’ultima strofa, un unico primo verso costituito da un’unica parola “Solo” mette i brividi nell’ efficace ma terribile traslitterazione poetica di chi muore senza conforto alcuno! La “R” ritorna subito dopo (furgoni riga cenere). Nell’ultimo verso, invece l’ iterazione della labiale “L” (verso il sole d’ un cielo azzurro) dona la leggerezza del volo verso un mondo, per i credenti, di pace eterna e per i non credenti d’imperituro compianto.

Annamaria Apicella, scrittrice, poetessa (Cava de’ tirreni 1947). Nipote, da parte di padre, di Mamma Lucia (al secolo Lucia Pisapia Apicella), notissima filantropa medaglia d’oro al merito civile della Repubblica Italiana per essersi prodigata, subito dopo la seconda guerra mondiale, a dare sepoltura alle salme di circa 700 soldati tedeschi caduti in territorio campano. Ex docente di Materie letterarie alle Superiori ha firmato anche saggi e testi a uso scolastico. Tra le sue numerose pubblicazioni, citiamo: “Presagi”, ed. Ferraro, 1988; Flash tra i banchi di scuola, Medusa, 1989; Dedalo e Icaro, Ad Litteram, 1995; Verga, Pirandello, Svevo, Loffredo 1999; Alzheimer, un’ombra di vita, Terre del sole, 2002; Pagine Giovani Pagine Adulte, Loffredo, 2005; E…state in esercizio Vol. 1 e Vol. 2, Loffredo 2006; Angeli con un’ala sola, Loffredo 2007; Fuochi, ed. Loffredo, 2009; Pagine di persone, Loffredo 2011; Veli al vento, I Libri Della Leda, 2014.