Alla Mediateca Marte i “Segni del colore e dell’anima” di Marc Chagall: una mostra di respiro europeo, ad incanto di pupilla

CAVA DE’ TIRRENI (SA). Alla sua nascita, la Mediateca Marte aveva esordito alla grande, con una mostra fotografica del prestigioso regista inglese Peter Brook. Poi, tante iniziative artistico – culturali di vario genere, sempre a livello, accompagnate ad un inserimento ogni giorno più radicato nella vita cittadina, in particolare dei giovani, che ne hanno colto e vivificato lo spirito di dinamica modernità caratterizzante fin dalle origini.

In questi giorni, ci sembra che abbia toccato il top di questi primi quattro anni di vita, con un’iniziativa che dona qualità, slancio e immagine non solo al Marte, ma a tutta la Città.

La mostra Marc Chagall, segni del colore e dell’anima, in esposizione dal 28 marzo al 28 giugno, curata e presentata con la consueta, appassionata perizia da Ada Patrizia Fiorillo, coordinata, con tutte le attività collaterali, da quel fresco motore scoppiettante che sta diventando Matilde Nardacci, oltre che riguardare uno degli artisti più cult del mondo (non a caso una sua retrospettiva sta illuminando l’anno dell’EXPO, prima a Milano ed attualmente a Roma), ha in sé un livello tale che la colloca di diritto tra i grandi eventi dell’anno in tutto il Centro sud.

Si tratta di 77 tavole divise in cinque cicli,, tra litografie e acqueforti, realizzate tra gli anni ’20 e gli anni ’50 ( più una litografia a colori, Chagall monumentale, del 1973, e l’acquaforte L’asino con il mazzo di fiori, del 1968), anni centrali nella lunghissima vita dell’artista russo – ebreo poi naturalizzato francese, che nacque a Vitebsk, nella Russia zarista, nel 1887, e morì in Francia, vicino Nizza, nel 1985, quindi a quasi cento anni di vita.

Certo, non ci sono i quadri, quelle tele che, per la loro esplosiva vitalità e la profetica modernità, ne hanno fatto un mito della Storia dell’Arte, come la deliziosa Mucca con l’Ombrello o i meravigliosi inni all’Amore ed a sua moglie Bella nel periodo parigino. Non ci sono le mirabolanti decorazioni che oggi danzano in alcuni degli edifici più importanti del mondo (a cominciare dall’Opera di Parigi).

Ma ci sono i lavori di grafica con cui egli ha illustrato opere internazionali e nobilitato le nuove e rivoluzionarie potenzialità offerte dalla riproducibilità di un opera d’arte. Soprattutto, ci sono immagini ed echi di tutte le anime che componevano il grande puzzle della sua magica creatività.

Nel ciclo illustrativo de Le anime morte di Gogol si avverte lo spirito profondo delle sue radici russe, che tra natura e cultura gli ispirano figurazioni graffianti e dettagli grotteschi, a rappresentare quel mondo di svuotati notabili e piccoli proprietari nel tempo della decadenza di una società imperiale che egli conosceva bene e con cui proprio non si poteva identificare. Graffiti favoriti dalla natura stessa delle acqueforti, la cui struttura primaria, come è noto, è data da incisioni su lastre metalliche.

Più vicine alle fantasie sognanti con cui l’artista è oramai fissato nel nostro immaginario sono le figurazioni degli animali nella sezione di illustrazione delle favole di La Fontaine. Qui la fantasia si crea i suoi spazi ideali e così le forme animali, nelle loro movenze ora giocose ora aeree ora semplicemente meditabonde e pensose, assumono vita di favole che vengono da memorie lontane e si perdono, senza perdere consistenza, nel gioco del futuro.

Giochi metamorfici, atmosfere misteriose, pupille dilatate con spirito da poetico fanciullino, la vena costante di uno humour controllato ed appassionato, e poi tante figure simboliche, esalanti i profumi del sogno, della speranza, dell’amore: è qui l’anima di Chagall, che pervade tutta la mostra. La sentiamo viva nelle figure legate a La Fontaine e nella serie Chagall 1957, e ci rendiamo conto che cambia solo “la veste” nelle numerose opere legate ad eventi, fatti e personaggi biblici, che nella mostra occupano ben due cicli (La Bibbia e Dessins pour la Bible). Qui, pur nella solennità dei fatti accennato o raccontati, la classica elettricità chagalliana vibra non nonostante l’argomento religioso, ma a causa proprio di esso, dato che egli considerava la Bibbia l’opera d’arte dell’eccellenza, sia per il colore e la straordinarietà degli eventi presentati, sia per il grande mistero ad essi sotteso. E lo dimostrano pienamente tavole ad alto tasso evocativo e figurativo, come il Paradiso, la danzatrice o le meditazioni del Profeta Elia.

Insomma, una piccola sinfonia di tematiche e di variazioni stilistiche, che, pur se con evidenza minore rispetto ai quadri, riflette la lezione delle grandi scuole artistiche che hanno segnato l’arte di Chagall: dal realismo russo alle prime faville dell’avanguardia europea, dal cubismo ai fauves, da Kandinsky a Matisse fino a quel surrealismo di cui egli era impregnato intimamente e naturalmente. Eppure, nonostante tutti questi echi, alla fine, come succede per le grandi personalità, Chagall è rimasto sempre Chagall: non imitatore, ma inimitabile nelle forme e nello spirito.

Perciò il genietto che lo ispirava aleggia comunque in ogni angolino della mostra, nelle sale consacrate ed anche negli omaggi di scultori contemporanei che occhieggiano in un corridoio, tra cui spiccano una deliziosa e fantasiosa borsetta di Maria Giovanna Benincasa, un aereo giocoliere tutto chagalliano classico di Enzo Bianco e un pellicano in ceramica di Adriana Sgobba, che si accompagna ad una delle sue classiche figure femminili fantasiose e ri-formate, con le braccia armoniosamente strutturate in modo da aprire e chiudere idealmente il braccio della brocca su cui è sviluppata la figura.

Ed è comunque un genietto di vitalità estrema, perché in fondo la grande lezione di arte-vita che Chagall ci ha lasciato sta proprio nella forza di attraversare tutto, anche il dolore, ma uscendone ogni volta con rinnovato colore.

Quel colore elettrico che egli seppe così meravigliosamente rappresentare nella celeberrima Passeggiata, con la sua Bella svolazzante tra le dita; quel colore che, anche quando sembrava volato via, riuscì sempre a rimanergli incollato tra le dita, almeno con un respiro, che fosse il respiro della gioia o anche il respiro della preghiera e della tristezza, e della preghiera della rinascita …


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