Se ne è andato Filippo Trapanese, uno degli ultimi artigiani-artisti del ferro battuto
CAVA DE’ TIRRENI (SA). Per cogliere il talento di Filippo Trapanese, artigiano-artista del ferro battuto, scomparso mercoledì 8 aprile scorso all’età di 78 anni, bastava guardare la testiera del suo letto matrimoniale: un gioco intrecciato di volute, con venature azzurrine e nodi dorati, aereo come una nuvola, elegante come un abito sera, solido come la passione che lo aveva ispirato.
Anche se il disegno originario proveniva da un’altra mano, altrettanto delicata ed elegante, quella del pittore restauratore Fabbricatore, scomparso un paio d’anni fa, ci voleva una capacità straordinaria a ricavare da grezzi fili di ferro delle figure così leggere ed armoniose, di una dolcezza emozionante.
Filippo quest’arte la possedeva compiutamente. Era rimasta nell’ombra fino ad una trentina di anni fa, quando egli dedicava tempo ed energie soprattutto al lavoro in fabbrica, alla Paravia, dove, come meccanico, eseguiva e realizzava disegni tecnici preparati da altri. Ma poi lo spinse a tentare anche la “sua” strada quella voglia di lasciare la propria orma, un segno di quella creatività che, spinto dalle necessitò della vita, aveva dovuto mettere in subordine.
E partorì un bellissimo Cristo piangente, dalla forte intensità espressiva: il buon risultato lo convinse a continuare. Da allora sono decine e decine i lavori che egli ha prodotto, soprattutto nell’ambito dell’arte sacra e delle decorazioni di arredi in casa: un magnifico Cenacolo, varie Madonne col Bambino, alcuni intensi crocefissi, tra cui spicca e se ne fa applaudire uno in particolare, che oggi è collocato nel Convento di Santa Chiara a Pagani.
È piena di lavori compiuti la sua casa di Santa Lucia di Cava de’ Tirreni, un piccolo museo di una quarantina di opere. Ma i suoi lavori, a cominciare dalle bellissime testate del letto matrimoniale, sono presenti anche nelle case dei figlie e delle persone care. Ed anche in qualche luogo “caro”, come il campanile della Chiesa di Santa Lucia.
Era un impegno continuo, il suo, dettato non da fini di lucro (non si è mai impegnato più di tanto per una vendita o delle esposizioni o produzioni su comando), ma da quel soffio d’amor proprio e amore familiare che spinge a donare e lasciare testimonianze del proprio valore e, diciamo, anche del proprio cuore.
Gli occhi gli si illuminavano di umida emozione, quando sentiva il sorriso degli occhi di chi ammirava la sua arte, quando ci raccontava del dono di una testata di letto fatto ad ogni figlio in occasione del matrimonio, quando si proiettava nel futuro degli anni e cullava l’idea che i suoi figli ed i suoi nipoti ed i figli dei suoi nipoti avrebbero accarezzato la sua presenza anche solo guardando il frutto delle sue mani d’artista.
Era il suo modo di amare e di chiedere amore, ma chi l’ha conosciuto da vicino sa bene che, anche senza i suoi lavori, l’amore ed il rispetto se li era costruiti con la dedizione alla famiglia, con la sua gentilezza d’animo, con l’esempio concreto della sua esistenza, e con la trasmissione di valori che per lui erano sacri come e forse anche più della sacralità delle figure che riusciva a creare. Anche per questo un posto nel paradiso degli affetti se lo è già conquistato, in prima fila.
Ma la sua presenza andrà oltre l’amore familiare ed il calore amico che gli ha testimoniato la gran folla accorsa a salutarlo.
Le sue opere comunque sfideranno il tempo. E sarà una memoria di ferro, che non potrà mai essere “battuto” …
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