Giulietta e Romeo: la musica dell’amore canta a Santa Maria del Rifugio. E il gruppo giovane della Glooming Peace Company vince la sfida
CAVA DE’ TIRRENI (SA). Un’opera in musica nata nel 2001, che ha lasciato il segno del nuovo millennio teatrale in tutta Europa. Circa dieci milioni di spettatori in quindici anni di repliche. Un nuovo ponte tra la classicità e la modernità, così come lo era stato l’epocale Notre Dame de Paris di Riccardo Cocciante.
Un nuovo classico, che non poteva non approdare in Italia. Ci è arrivato lo scorso anno, nel 2014, con una prima all’Arena di Verona. E non poteva essere diversamente, dato che si tratta di Romeo e Giulietta, dall’odio all’Amore, opera in ventidue quadri musicali, ispirata alla tragedia di Shakespeare, un lirico e svangante canto della passione e dei sentimenti che è diventato nell’immaginario popolare l’esempio più alto e famoso del Romanticismo perenne, quello che non ha dovuto attendere l’arrivo del Romanticismo storico per affermare l’importanza dei sentimenti delle singole persone. Un inno alla vittoria dell’Amore sull’odio e dopo l’odio, al raggiungimento di una “Pace triste” che prefigura comunque un futuro di possibile gioia,
In Italia, l’opera, scritta e musicata dal francese Gérard Presgurvic, è stata messa in scena con la regia di Giuliano Peparini e la rielaborazione dei testi a cura di Vincenzo Incenzo.
Insomma, il classico kolossal, realizzato con grandissimo impiego ed impegno di uomini e di mezzi.
Roba solo da superpotenze? Niente affatto, perché nel giro di un solo anno un gruppo di giovani emergenti, ispirandosi per il nome (Glooming Peace Company) proprio alla Pace Triste di shakespeariana memoria, sostenuto da “artigiani professionali” e da qualche ardito e qualificato professionista, ha immaginato, costruito e lanciato la sfida. E così Romeo e Giulietta, l’opera musical del nuovo millennio, è approdata anche a Cava de’ Tirreni ed è stata battezzata il 2 ed il 7 luglio in uno scenario che, se non può competere con l’Arena di Verona per grandezza, può invece competere con tutto per le scenografie naturali che riesce ad offrire. Parliamo dello splendido chiostro del complesso monumentale di Santa Maria al Rifugio, un ex convento cinquecentesco che è in piena sintonia con i tempi narrati nell’opera: una fioritura di arcate, finestroni, passaggi che rappresentano da soli uno spettacolo e che come scenario di uno spettacolo teatrale creano quinte e fondali assolutamente veri, impregnati di lirica energia, a sua volta amplificata da una potenzialità acustica assolutamente all’altezza.
Non basta lo scenario, però, per fare una bella opera. A quello ha pensato il nostro gruppo di entusiasti “realizzattori” della sfida musicale.
A tirare le fila, i magnifici due registi: Agostino Giordano e Carla Russo, che nel teatro non sono di primo pelo, ma che da tempo coltivavano il sogno di un cimento in cui far apparire la loro “nobilitate”. E nobilitate è stata, perché hanno guidato gli attori con sano realismo, senza pretendere picchi oggi velleitari, hanno gestito i movimenti di gruppo con intelligente linearità e armonia, hanno supplito alla mancanza di un corpo di ballo professionale (unico ballerino di carriera, Dario Ferrara, anche attore nel ruolo di Paride), con le coreografie brillanti e ben adeguate di Jesus, hanno diretto, vivendone le emozioni, le singole scene con corretta attenzione al testo ed alla comunicazione diretta col pubblico, privilegiando la chiarezza sulla fantasia creativa ed ottenendo applausi a scena aperta non di maniera (sul podio personale metteremmo le feste a casa di Giulietta, il litigio in piazza con l’uccisione di Tebaldo e di Mercuzio, il dialogo disperato di Romeo con Frate Lorenzo, la notte d’amore dei due sposi). E sono riusciti ad impiantare uno spettacolo sempre gradevole, coinvolgente, con ritmi e cambi di scena fluidi e convincenti, grazie anche ad una naturale moltiplicazione delle quinte offerta dalle arcate dell’ex convento di Santa Maria del Rifugio ed alla presenza al centro del chiostro di un’antica impalcatura che richiama un vecchio pozzo e che ha aggiunto uno spazio, molto suggestivo e per di più inserito nel cuore della platea.
Il motore di un’opera rimangono però la musica ed il canto. Lì poteva cascare l’asino. L’asino non solo non è cascato ma è rimasto bene in piedi, senza neppure “scivolare” più di tanto. E dire che anche qui i rischi erano notevoli, dovendo la base musicale essere praticamente recuperata ex novo, senza lo spartito originale. Ci hanno pensato, con l’entusiasmo della sfida, con la passione della creatività e tutta la bella professionalità acquisita in anni di lavoro, Sergio De Nicola e quelli della Play Music di Vincenzo Siani e del Maestro Alfredo Capozzi, che hanno riscritto e rieseguito quasi tutta la base originale del Maestro Presgurvic, rimanendo fedeli ad essa ma nello stesso tempo riuscendo con gli strumenti elettronici a loro disposizione a riprodurre pienamente l’ariosità delle partiture. E Luigi Della Monica e lo stesso Agostino Giordano hanno anche saputo magistralmente tenere per mano dei cantanti giovani, che naturalmente non possono ancora avere la maturità vocale, tonale ed interpretativa dei grandi della scena, eppure hanno retto per tre ore canti impegnativi, sia individuali che corali, facendosi tutti ammirare per una bravura che non è assolutamente scontata in giovani di primo pelo, tale da far perdonare anche le piccole incertezze nel “prendere le note”, che però riuscivano ad essere note quasi solo ai maestri che li avevano preparati.
Se lo spettacolo non ha registrato pause stancanti nonostante la lunghezza lo si deve, oltre che alle qualità già descritte di registi, attori e cantanti, oltre naturalmente alla bellezza immortale della storia dei due amanti di Verona, anche alla parlante e coloratissima sfarzosità dei costumi. E qui bisogna fare un applauso veramente speciale alle quattro mani di fata di Maria Giordano e Antonella Ricciardi, che con una pazienza materna ed una passione da sognatrici li hanno cuciti uno per uno, ed erano tanti, giorno dopo giorno, per quasi un anno di preparazione. Ed è stata veramente cosa buonissima e giustissima chiamarle sulla scena alla fine, a ricevere applausi e fiori, ricambiando sorrisi ed emozioni insieme con gli altri protagonisti. In fondo, hanno recitato e cantato anche loro, con le mani da sarte e l’anima a colori.
A proposito dei costumi, alla fine i due registi hanno pensato bene di farli togliere a tutti gli attori, che nei ringraziamenti finali sono apparsi così, senza lo sfarzo di stoffe e merletti e impalcature da trucco, in semplice camicione bianco. Un bel colpo di teatro per svelare la perenne, innocente umanità della persona che è viva e pulsante sotto ogni maschera scenica, e nello stesso tempo per ricordare l’umanità stessa della vicenda narrata, che è la storia eterna degli amori e degli affetti buoni e giusti ingiustamente seppelliti dalla violenza degli egoismi sociali e dei muri che gli uomini autolesionisticamente creano nei loro cuori, sostituendoli a quei ponti che sarebbero mille volte più buoni e più giusti.
Con quei camicioni bianchi in bella fila sotto la scena delle arcate, tra fiori, applausi e ringraziamenti si è consumato alla fine un “terzo tempo” dello spettacolo, che ha aggiunto anima a tutta la serata, perché il generale sospiro di sollievo di avercela fatta, tra un’emozione ed un sorriso di gioia, ha permesso di capire bene sia lo sforzo collettivo fatto da tutta la squadra sia tutti i colori della “sfida”. Ha svelato la Grande Bellezza della compiuta realizzazione di un “sogno insieme”, o almeno della sua prima parte, perché il cammino dell’Opera tutti sperano che non si fermi al successo di queste due serate. Ha evidenziato ancora una volta la presenza in Città di veri e propri tesori giovani, nel mondo dello spettacolo teatrale e musicale (ricordiamo ad esempio i lavori di qualità dei gruppi di Clara Santacroce e Renata Fusco, di quelli diretti da Michelangelo Maio, dei musical targati Saltimpalco, etc.) ed in tanti altri campi, che attendono solo di essere scoperti e valorizzati, ma che devono attraversare la Grande Giungla, per di più insidiati in agguati permanenti dal veleno dell’Indifferenza e dell’Impotenza sociale e dal machete della Crisi. Eppure ci sono. E vogliono lasciare il segno. Non solo il segno di un sogno…
E allora, in attesa che fiorisca il futuro, è giusto e sacrosanto non ammassarli nell’anonimato, ma citarli uno per uno, con un ulteriore applauso di apprezzamento per tutti, perché tutti sono stati all’altezza ed hanno vinto la sfida. Se però dobbiamo, senza nessuna pretesa, stabilire anche un piccolo, ma innocuo podio personale, faremmo in primo luogo i nomi di Francesco Pio De Rosa (Mercuzio), per la grinta con cui ha reso un personaggio complesso ed ironico e la capacità di bucare la scena nel momento della sua morte, Ada Fausto (la balia), per la presenza scenica e la voce avvolgente, Danilo Della Rocca (Romeo), per il fisico del ruolo e la capacità di rendere per voce e per canto le emozioni e le frenesie adolescenziali. Accanto a loro, il bellissimo gruppo formato da Carmen Palladino (Giulietta), Marco Cicalese (Tebaldo), Maria Olmina Palladino e Serena Rispoli (Lady Capuleti a turno), Luigi Della Monica e Andrea Mandara (Conte Capuleti a turno), Luisa Della Rocca e Luca Pellegrino (Lady e Mister Montecchi), Vito Palazzo (Fra Lorenzo), Gabriele Pellegrino (Fra Giovanni), Guido Mastroianni (il Principe), Luca Mannara (Benvolio), Elena Manzo e Dalila D’Andrea (damigelle di Casa Capuleti), Dorothy Di Domenico e Giulia Impero (domestiche di Casa Capuleti).
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