La scomparsa di Peppino Muoio, giornalista e docente, uno dei cavesi più noti e benvoluti: con lui sono volati via un pezzo di storia ed un mattone di umanità

CAVA DE’ TIRRENI (SA). Grande impressione in Città per la scomparsa improvvisa del prof. Giuseppe Muoio, giornalista de “Il Mattino”, Direttore per quindici anni del periodico “Il Castello” e per dieci circa dell’emittente Quarta Rete, docente di Storia e Filosofia in pensione, stroncato da un infarto il 4 febbraio scorso. Ne affidiamo il ricordo al nostro Redattore Franco Bruno Vitolo, collega a scuola è suo strettissimo collaboratore sia al Castello che in TV, oltre che unito a lui da un affetto e da un’amicizia che venivano dal cuore.

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Ma che cosa hai combinato, caro Peppino?

Ti sei fatto colpire alle spalle dalla Signora in nero, così all’improvviso, quasi senza accorgertene? Lei, forse, voleva essere gentile con te, evitandoti l’angoscia di guardarla più o meno a lungo negli occhi gelidi mentre ti portava via.

Ma tu non potevi dirle che, anche se le eri grata per averti risparmiato la violenza, i tempi non erano proprio quelli giusti?

Non potevi farle presente che, anche se non eri più un giovincello, avevi ancora l’energia per fare tante cose e avevi ancora tante cose da fare?

Innanzitutto, eri ancora uno dei principi della piazza, che risuonava, e risuona ancora, dei tanti incontri che facevi ogni giorno, con relative fermate dopo il classico e sempre variabile sorridente sfottò firmato Peppino e le successive quattro chiacchiere mai banali, con annessi e connessi che creavano giorno dopo giorno la rete che ha fatto di te un grande conoscitore e “gazzetta”della Città e dei Cavesi e soprattutto un amico, noto, popolare e benvoluto.

E la riprova l’hai avuta sia da tutta quella gente che ti ha accompagnato per l’ultimo saluto, sia dalle testimonianze scritte e “a passaparola” che ti hanno accompagnato, sia dai circa venti manifesti di commiato. Ma ti rendi conto? Come se tu fossi un’autorità istituzionale! Eppure non hai ricoperto nessuna carica pubblica. Ma a modo tuo eri un’autorità! Una partecipazione più sincera e ampia di così…

A proposito, sicuramente ti avrà (o ti avrebbe) fatto piacere notare i manifesti affettuosi di partiti schierati su fronti opposti, da Fratelli d’Italia al PD a Rifondazione Comunista. Un riconoscimento spontaneo e tangibile della tua onestà intellettuale, oltre che del tuo indiscusso valore come giornalista, che aveva le sue idee personali ma nel loro nome non è mai stato disposto a mistificare notizie ed opinioni.

Sai, mi è venuto in mente quando, in uno dei tanti giorni degli oltre quindici anni felici, tormentati e gratificanti in cui, come coppia di fatto, abbiamo partorito insieme decine e decine di numeri del Castello post apicelliano, eravamo stati apostrofati nell’arco di un’ora prima da alcuni esponenti dell’allora PDS come venduti alla Curia e alla destra e poi da un paio di militanti della destra come inaffidabili perché eravamo la “lingua dei comunisti”. Sorridesti, sorridemmo: ci dicemmo a volo che era la prova che la nostra strada di libertà mentale e onestà intellettuale era giusta.

Del resto, era la linea che applicavi negli articoli sul Mattino che per decenni hanno fatto di te il decano dei giornalisti ed il più noto dei cronisti metelliani. Senza contare il tuo ruolo a Quarta Rete: ne volevi fare, e ne hai fatto, la Televisione della Città. Così come il Castello è stato il giornale della Città e della Piazza, così come tu sei stato il Principe della Piazza e il movimentatore sornione ed intelligente degli Uffici istituzionali e di informazione, dove la tua presenza saltava subito all’occhio e all’orecchio e dove si finiva sempre con un cordiale “caffè del buon Peppino”.

E allora? Eri un principe in carica, solidamente in carica, con tante cose ancora da dire o da dare: non lo potevi dire alla Signora in nero?

Non la potevi accogliere con quella mazza che in tempi ormai quasi “mitici” accompagnava a scuola le tue perlustrazioni tra i corridoi del Liceo Scientifico “Genoino” e i tuoi blitz nelle classi, tante volte infiorate dal rombo delle tue sgridate. Quella mazza è poi andata in pensione prima di te, ma i ragazzi avevano capito che era comunque un segno di attenzione e di affetto, della tua voglia di relazione umana e paterna non solo con i tuoi alunni diretti, ma con ognuno delle migliaia di allievi che ti sono passati davanti agli occhi ed al cuore. Di tantissimi di loro conoscevi i nomi e le storie e alle loro vicende sapevi partecipare con la visibilità emozionale che ti caratterizzava; ognuno di loro era prima di tutto una persona.

Per questo, oltre che per la tua dimensione di docente, intere generazioni ti hanno voluto bene, per questo nei giorni del pensionamento proprio dai ragazzi riuniti per l’occasione hai ricevuto una standing ovation che ti ha fatto letteralmente squagliare, così come ti fecero squagliare quelle cinque mie alunne (ricordi?) che una settimana prima del tuo ultimo giorno a scuola mi pregarono “in segreto” di farti accomodare in un’aula per consegnarti una torta di commiato tutta loro. Dopo averla tagliata vi abbracciaste stretti stretti inondandola e inondandovi di lacrime. E non erano tue alunne dirette: era il segno che a scuola avevi lasciato un segno, e che segno!

Era il segno della tua umana amabilità. Non lo potevi ricordare alla Signora in Nero chiedendole di essere meno frettolosa?

E non le potevi far presente che a giorni avreste dovuto spegnere le candeline del primo anniversario della tua tanto agognata “puntella”, quel Peppiniello Muoio la cui nascita ti fece accendere uno tsunami di scintille tra le pupille di Nonno Gongolante? Non le potevi ricordare che, mentre la rete di relazioni della vita pubblica era lo sfogo buono e giusto della tua voglia di esserci e di partecipare oltre il tuo ombelico, il porto irrinunciabile dei tuoi “viaggi quotidiani” era la tua famiglia, a casa ed in tutti i luoghi dove era possibile respirare l’aria dei tuoi figli e dei loro figli? Avevi ancora tanti viaggi da fare, insieme con il tuo “polmone Emilia”, per dare una mano a Salvatore e Anna Maria, e a Marina e a Gaetano, in Sicilia e in Germania o nelle concentrazioni familiari qui a casa tua. E avevi ancora tante storie da raccontare e mani da porgere alle amatissime nipotine, a cui avete fatto tante volte da impagabili ed affettuosi nonni sitter.

Non potevi dire alla Signora in nero che avevi ancora tante scale da scendere sottobraccio col tuo “polmone Emilia”, con cui avete mantenuto e creato una famiglia di quelle belle, ricche di valori che vanno oltre e guardano lontano? Quei valori di cui sei sempre stato un dichiarato e fiero portatore e che ti erano stati trasmessi nella loro integrità dai tuoi “sacri” genitori, il Papà calzolaio e la Mamma “combattente”, artefici primi, col loro sudore, del Grande Salto in avanti dei figli.

Ricordi? Una volta venisti in classe e ti raccontai che stavo spiegando del poeta latino Orazio quel passo in cui egli dice che, anche se la gente “nobile” a volte gli rinfacciava le sue origini popolari, egli era profondamente grato al padre per i sacrifici che aveva fatto per farlo studiare, portarlo a Roma e farlo diventare un uomo di successo e che, se fosse tornato a nascere e avesse avuto la facoltà di scegliersi un padre, si sarebbe scelto ancora il suo, con tutto il cuore. E ti guardai fisso negli occhi. Tu mi ricambiasti lo sguardo e sorridendo dicesti: “Ma stavi parlando di me?’”. E ti si inumidirono gli occhi e insieme spiegammo ai ragazzi il perché di quella commozione e anche loro si commossero e fu una bellissima lezione di vita. Una delle tante che hai saputo regalare nel corso della tua vita feconda..

Gliele potevi dire queste cose alla Signora in nero, caro Peppino. Ma forse anche in questo caso ha prevalso quella parte un po’ più nascosta di te: quella pudica timidezza a cui tante volte hai messo a freno con la tua esteriore esuberanza e con la tua capacità di farti burattinaio anche senza farlo vedere. Non ce l’hai fatta proprio a dire tutto questo, eh? E, per dirla con i tuoi cari, hai fatto “il monello” o “una vutata di quarto”, come tante volte ti piaceva fare, quando volevi “andare cu’ ‘a capa toja”: e li hai lasciati così, smarriti e sospesi, quasi increduli. Ci hai lasciati così, sospesi e increduli. E tanti di noi si sono sentiti deprivati di un pezzo di storia generazionale e cittadina. Senza contare l’alone affettuoso e amicale che sapevi creare intorno a te.

Di segni ne hai lasciati tanti, caro Peppino. Non preoccuparti. Rimarrai con noi. E gli affettuosi ricordi di episodi, frasi, articoli, che ti accompagnano, hannoo lasciato una scia che non può svanire: e saranno loro la tua “puntella in Città”.

Ciao, Peppino, e ti sia lieve la terra.


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