Per la prima volta commemorata ufficialmente la strage del treno della morte (3 marzo 1944): calde emozioni durante la Messa solenne e l’ incontro con gli studenti
CAVA DE’ TIRRENI (SA). Nella notte tra il 2 e il 3 marzo del 1944 il treno merci 8017, carico di oltre settecento persone, diretto da Battipaglia a Potenza, si fermò sotto la Galleria delle Armi, prima di giungere alla stazione di Balvano. Quella galleria, lunga quasi due chilometri, per effetto della fermata e per la scarsa qualità del carbone, si riempì in poco tempo di monossido di carbonio, trasformandosi in una camera a gas e uccidendo la quasi totalità degli occupanti, compresi i macchinisti.
I viaggiatori erano prevalentemente cittadini comuni, provenienti da una fascia urbana che si estendeva dal napoletano a Battipaglia, persone che si adattavano a viaggiare stipati in vagoni merci per andare a Potenza a procurarsi da mangiare, a barattare pochi averi in cambio di cibo, ormai introvabile, per le proprie famiglie. Persone che vivevano nella miseria prodotta da una lunga e tormentata guerra, passate però alla storia come contrabbandieri e delinquenti da dimenticare presto. Da qui il silenzio che è piombato sulla tragica vicenda, su quello che ha rappresentato un lacerante dolore solo privato, mentre questi morti a pieno titolo si possono e si devono considerare vittime civili di una guerra non ancora finita e come tali meritano il giusto tributo della memoria.
Per la prima volta, dopo settantadue anni, Cava de’ Tirreni ha ufficialmente commemorato la strage, in cui morirono oltre seicento persone, delle quali trentacinque erano cavesi.
Giovedì 3 marzo p.v., alle ore 19, presso la Basilica Maria S.S. dellì’Olmo, è stata celebrata una Messa solenne, presieduta dal vice vescovo don Osvaldo Masullo e concelebrata con Padre Giuseppe Ragalmuto, parroco della Basilica, e con don Nicola Mammato, parroco di Maiori, che perso entrambi i nonni materni nella tragedia, da cui si è originata anche la progressiva crisi che ha poi portato alla tomba anche sua madre.
In precedenza, mercoledì 2 marzo, è stato organizzato con un incontro nella Sala del Consiglio Comunale di palazzo di Città. È stato effettuato di mattina per favorire la trasmissione agli studenti di un episodio che fa parte della storia non solo locale ma nazionale e oltre, se si considera sia che è inquadrabile nei primi tempi del governo Badoglio, quando ancora il Paese era diviso in due e la guerra infuriava nell’Italia del Centro Nord, sia che il nostro territorio è stato teatro dello sbarco degli Alleati in Campania e della battaglia di Salerno e Cava che sfondò le prime difese dei Tedeschi.
La conduzione è stata affidata allo scrivente Franco Bruno Vitolo ed a Patrizia Reso, che con il libro “Senza ritorno” (Terra del Sole 2013) ha contribuito alla grande allo scoperchiamento della “tomba della memoria” ed ha definito con passione civica e meticolosità di giornalista e di storico il ruolo ed il destino dei cavesi implicati nella strage, non dimenticando ovviamente di ampliare il discorso sulla realtà storica e politica del tragico evento. Il Sindaco di Cava Vincenzo Servalli ha dato ampie rassicurazioni sull’impegno dell’Amministrazione e sull’ipotesi di una targa commemorativa alla stazione. L’Assessore alla Pubblica Istruzione, Paola Moschillo, ha parlato agli studenti col cuore in mano, emozionandosi ed emozionando al pensiero dei tanti giovanissimi morti nella strage e nell’omaggio implicito a tutte le vittime innocenti delle violenze umane.
I momenti clou sono stati ovviamente rappresentati dalle testimonianze. Indiretta, quella di Giuseppe Damiani, figlio di Mattia, una delle vittime, che ha raccontato il vuoto parlante della presenza-assenza in famiglia di un padre che non ha mai avuto la possibilità di conoscere.
Ugo Gentile era il capostazione di Balvano in quel tragico 3 marzo. Con lucida passionalità ha rievocato prima i preoccupati tremori dell’attesa di un treno che non arrivava, poi lo sconvolgimento della progressiva scoperta, infine le defatiganti difficoltà per il recupero del treno e delle salme, lo svangante dolore dei riconoscimenti, la triste diversificazione delle esequie.
Emozioni forti, quindi, sublimate nel finale dalla testimonianza dell’unico superstite vivente, il sig. Raffaele Bellucci, cavese doc, che era accompagnato dalla figlia, Dina Bellucci, impiegata del Comune. Con lucida chiarezza, e confessando i brividi forti del ricordo, ha raccontato come si salvarono lui e il fratello: essendo esperti della zona e delle difficoltà del viaggio, prima dell’ingresso in Galleria ebbero modo di scendere a volo giù dal treno e prendere manciate di neve fresca, che costituirono poi la camera d’aria per conservare le energie ed evitare il soffocamento.
Insomma, una mattinata da non dimenticare, per tanti motivi. Una mattinata che ha lasciato comunque un mattone di storia e di identità nel gruppo di studenti intervenuti e nei loro insegnanti, quasi tutti ancora ignari di un evento di tale portata.
Da dimenticare, o forse “da ricordare”, l’assenza di alcuni istituti scolastici, che non hanno ritenuto opportuno inviare neppure una delegazione. Peccato, anche perché sapevano quello che facevano. Ma ci auguriamo proprio che almeno l’anno prossimo non manchino di aggiungere anche il loro mattone al palazzo della memoria, che è fondamentale per l’identità di una collettività.
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