“Shakespeare in lab” dell’Arte Tempra: e l’Autunno cavese ricrea i colori dell’anima nella magia del teatro
CAVA DE’ TIRRENI (SA). Shakespeare in lab: intriga fin dal titolo il secondo spettacolo messo in scena il 4 e 5 dicembre, presso l’Auditorium De Filippis di Cava de’ Tirreni, nell’ambito dell’Autunno cavese, la rassegna teatrale organizzata come sempre dalla compagnia Teatrart Arte Tempra, diretta da Clara Santacroce e Renata Fusco.
Il nome del grande drammaturgo, al quale è dedicata la manifestazione di quest’anno nel cinquecentesimo anniversario della morte, è già di per sé una garanzia. Il termine in lab, se da una parte richiama spiritosamente il titolo del famoso film interpretato da Gwyneth Paltrow e Joseph Phiennes, dall’altra lascia intendere che i testi “superclassici”, sottoposti a laboratorio, saranno rivissuti e ricreati, ma, come nello stile Arte Tempra, profondamente rispettati.
E così è stato. Questo percorso sperimentale nell’opera di Shakespeare, realizzato in piena simbiosi tra coralità di base e fioriture di individualità, ha svariato dalla Bisbetica domata a Molto rumore per nullaRomeo e Giulietta, da Amleto e Macbeth ai sonetti, da Otello al Racconto d‘inverno. E, a parere nostro e del pubblico in sala, il risultato è stato anche superiore alle pur benevole aspettative dettate dall’acclarata qualità della compagnia.
Le due ore filate, giustamente senza intervallo, ci hanno regalato uno spettacolo in avvolgente crescendo, che è penetrato nello sguardo, nel cuore e nella mente, così come con teatrale evidenza Shakespeare era penetrato nella persona del magnifico ed affiatatissimo gruppo di attori, che, ognuno dando il meglio di sé, hanno fatto esplodere tutta la varietà dei colori dell’anima che emerge dai testi del “grande bardo”. Attori che, pur giovanissimi, hanno già alle spalle lunghi anni di studio, di crescita e, soprattutto, di esperienza di teatro vero, con la T maiuscola.
Nel caso di Shakespeare in lab, il valore aggiunto è stato merito del metodo.
Innanzitutto, i frammenti, i sonetti, i monologhi e i dialoghi sono stati scelti liberamente da ogni singolo attore secondo la propria sensibilità e in corrispondenza dell’eco che parole scritte cinquecento anni fa possono ancora suscitare sulle corde interiori di un giovane del XXI secolo.
Detto così, potrebbe sembrare un semplice assemblaggio di testi antologici. Niente di tutto questo. Anzi…
Merito del curatissimo ed appassionato lavoro di approfondimento, di cuciturà e di complice condivisione che la regista Renata Fusco è riuscita a tessere insieme con i suoi ragazzi .La scelta dei pezzi è avvenuta dopo un approccio seminariale all’autore e al suo tempo ed il collegamento tra di loro è stato il frutto di una ricerca collettiva. In esso, grande parte hanno avuto proprio le intuizioni, a volte geniali, dei protagonisti, ben assecondati dall’entusiasmo creativo della regista, sempre da parte sua ribollente di fervore scenico ad energia ricaricabile.
Per meglio inserire questo mosaico, la Fusco ha creato una cornice ad alto effetto. Ha previsto un gioco di luci “protagonista”, vario e costantemente adattato alle situazioni, favorito dalla modernissima tastiera a led, manovrata ottimamente da Clara Santacroce, per l’occasione diventata “pianista delle luci”. Un assaggio si è avuto fin dal prologo, quando gli attori, tutti in scena, hanno recitato versi legati alla forza creativa del teatro, della poesia, dell’amore, con leggere movenze circolari, mimando i gesti e i sentimenti che metteranno in scena, come passioni e suicidi. E intanto tenevano in mano candelabri dalla luce tenue, sotto un’ombrata luce azzurrina, quasi ad aprire la danza di un esplorazione nelle caverne del cuore.
La Fusco inoltre ha ipotizzato una scenografia semplice e duttilmente adattabile alle circostanze, con un rialzo centrale che, senza alcun supporto particolare e grazie anche alla magia evocativa della finzione scenica, si trasformava ora in tribunale, ora in trono, ora in letto nuziale, ora in catafalco funebre, e così via.
Ha accompagnato scene e passaggi con un sottofondo musicale senza facili effetti anacronisticamente romantici, ma tutto basato sulla comunicativa eppur intensa discrezione delle note cinquecentesche e seicentesche, scelte con la saggezza di chi come lei è abituata a nuotare nel mare delle antiche consonanze.
In questa cornice così ben tornita, monologhi, dialoghi e battute di collegamento si sono innestati felicemente formando non un puzzle, ma un insieme unitario. E qui entrano in gioco i collegamenti e le evocazioni sceniche.
La parte iniziale è stata dominata da vivaci duelli verbali, in cui è emersa la freschezza di Maria Luisa Mollo e Gerardo Senatore, che, evocando Beatrice e Benedetto nelle citazioni da Molto rumore per nulla, hanno saputo fare “il rumore giusto”, ben assecondati dal corale accompagnamento degli altri interpreti. Subito dopo si sono scatenate le diatribe verbali in chiave Bisbetica domata e Romeo e Giulietta su uomini e donne, matrimonio e “libertà”, sottomissione e ribellione. A turno, sul trono tribunalizio, il sesso maschile e quello femminile e poi tutti e due insieme, con gli altri a fare da “spettattori”, con i personaggi principali, interpretati da più attori contemporaneamente, con battute della stessa scena tratte da traduzioni diverse. Il tutto introdotto da un momento corale in cui il testo italiano aveva come controcanto la originale versione in lingua inglese. E monologhi e dialoghi sprizzavano con una vivacità che attraversava i tempi ed era favorita dalla grinta attoriale e dalla divertita e divertente gommosità delle espressioni visive dei bravissimi contendenti, in particolare la doppia coppia di doppi, Giuliana Carbone e Luciana Polacco vs. Gabriele Casale e Luca Senatore.
Forse il momento più alto del mix creativo si è riscontrato nella seconda parte, quando l’amletico essere o non essere, con dolce ed empatica drammaticità interpretato da Pasquale Senatore prima in un angolo e alla fine al centro della scena, è stato frammentato ed intervallato da momenti che evidenziavano grandi conflitti interiori e tremende scelte. Tra questi, incastonato nell’amletico dubbio, tra l’aleggiare di bianchi veli polivalenti, il tormentato assassinio di Desdemona da parte del gelosissimo Otello (dopo il suo lacerato e bellissimo monologo di “Spegniti, torcia!”), in un duetto “da brividi”, intenso e serrato, dolce e violento, catartico e disperato, reso da Gabriele Casale e Giuliana Carbone con una maturità di movenze e di toni ed una forza espressiva da talenti assoluti.
Quindi, due colpo di genio.
Il monologo della pazzia di Ofelia, che prelude al suicidio, è stato interpretato, con stranita disperazione ben variate tonalità e con convincente pathos, dallo stesso Pasquale Senatore-Amleto (doppio di Ofelia, oltre che maschio nel ruolo di donne, come era d’uso nell’epoca), accanto al corpo di Desdemona, adagiata però tra i veli in modo da far pensare al famoso quadro preraffaellita e quindi da evocare proprio la successiva morte di Ofelia.,
All’improvviso però “resuscita” Desdemona, appena uccisa ed avvolta in un sudario di veli bianchi, e si produce nel monologo di Ermione dal Racconto di inverno, che, per una coincidenza forse anche voluta dall’autore, trattando di una gravidanza innocente accusata ingiustamente di adulterio, comprende tutto quello che Desdemona avrebbe voluto e non ha potuto gridare. Giuliana Carbone qui si colloca in posa statuaria, con accenti e atmosfere stavolta da tragedia greca, che evidenziano ancor più la forza della parola di una donna che diventa in quel momento emblema dei soffocamenti subiti da tutte le donne della storia.
In questa magica mescolanza di persone diverse ed uguali, in un’atmosfera di continua sospensione tra vita e morte (ulteriormente rafforzata dal monologo del finto suicidio di Giulietta, recitato con dolce, tremante e speranzosa passione da Francesca Senatore), ecco l’apparire di spiriti neri ed il passaggio dal bianco dei vestiti all’oscurità dei panni. Così, sempre con piccoli intervalli amletici, veniamo immersi nell’esplosione espiatoria di Macbeth e della sua Lady, in preda ai rimorsi ed alle paure per i delitti che la loro ambizione di potere ha scatenato in loro.
Anche qui, brividi sulla pelle, grazie al gioco congiunto di movimenti corali, di luci, colori e suoni, illuminato dall’interpretazione “bucascena”, da applausi, di Lady Grinta Luciana Polacco e di Luca Senatore, intensi e coinvolgenti, oramai ben “temprati” nel ruolo di primo piano che si sono guadagnati con le loro recenti performance sulla scena.
Quindi, i nodi arrivano al pettine con il canto a voce flautata di Pasquale Senatore sul corpo femminile oramai inerte, il monologo di Pasquale Senatore-Amleto in estensione totale e la dolorosa meditazione sul senso della vita, assurdità raccontata da un idiota, modulata con dolente e convincente malinconia da un Luca Senatore-Macbeth oramai vicino alla morte.
Tutti i magnifici attori, a questo punto, si possono lentamente riconcentrare con le loro candele intorno al piccolo trono scenico centrale, ma la luce ora è più chiara del misterioso azzurro ombrato della scena iniziale.
Il viaggio nei colori dell’anima è giunto al suo provvisorio compimento. Ed è stato un cammino dall’ onda lunga, come si nota, a luci riaccese, sui volti degli spettatori, sospesi tra lo slancio di applausi convinti e sinceri e l’ondata appassionata suscitata dai bellissimi versi di Shakespeare e dalla sinfonica magia che queste due ore hanno saputo creare.
È bello comprendere quanto siamo fortunati in Città a poter godere i frutti del lavoro di due regine dello spettacolo come Clara Santacroce, maestra di musica e di scena, e Renata Fusco, che, non dimentichiamolo, è un’artista di livello internazionale, con un curriculum da applausi a scena aperta.
Insomma, è bello sapere che l’Arte Tempra c’è.
Coccoliamocela. Non tutti ce l’hanno …
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