Al Marte le leggi razziali e il Teatro Shoah: lo spettacolo della Cultura
E da febbraio comincia la mostra su Walt Disney.
CAVA DE’ TIRRENI (SA). Oltre tremila visitatori complessivi, di cui duemila studenti, spettacoli teatrali mattutini e serali di tre compagnie, tre dibattiti in tema (gestiti questi ultimi in collaborazione con la rivista Eastwest). Come nei momenti migliori, la Mediateca Marte si è confermata punto di riferimento fondamentale per la vita cittadina. E stavolta ha colto magnificamente nel segno, con l’iniziativa “L’esclusione del Diverso. Le leggi razziali a ottanta anni dopo”, che a partire da novembre e fino al 27 gennaio ha rappresentato una lunga e stimolante preparazione alla Giornata della Memoria.
Il cuore dell’evento è stato la mostra “A lezione di razzismo. Scuola e libri durante la persecuzione antisemita in Italia”, con tabelloni che partono dalla spiegazione di quella macchia nera che è stato il processo di esclusione degli Ebrei dalla vita sociale nazionale determinato dalle leggi razziali, anzi dalle leggi razziste del 1938. Poi, un viaggio originale, coinvolgente e per certi versi anche divertente tra i sussidiari, i quaderni, i fumetti, le iniziative sportive con cui si avviavano i ragazzi alla dimensione Balilla e al libro e moschetto fascista perfetto, le ragazze all’economia domestica, non disgiunta da quella sportiva, per essere in forma da piccole italiane e futuro supporto, come mogli e madri, ai maschi padroni.
Vi si scoprono chicche deliziose, a cominciare dalla figura di Balillino, inserita in un fumetto popolare come Topolino. Delizie oggi gradevoli da scoprire, ma non senza brividi squassanti: quei ragazzini in tal modo venivano allevati al culto della guerra, alla superiorità della razza bianca, alla bellezza del fucile, al dominio sulle faccette nere … E si preparavano gli stravolgenti disastri della Secondo Conflitto Mondiale. Disastri del resto implicitamente preannunciati anche in quella interessantissima parte della Mostra incentrata sul campo di concentramento di Campagna, dove rifulsero la figura di protezione del Vescovo Palatucci e la benemerita complicità, nel Nord Italia, del suo consanguineo Questore Giovanni Palatucci (complicità da lui pagata con la vita). In questo campo furono reclusi tanti ebrei, per fortuna trattati con umanità e addirittura integrati con la popolazione, prima che scoppiasse poi il dramma della deportazione finale…
È stato perciò importante ricordare tali situazioni a quei cittadini adulti di oggi che alimentano più o meno consapevolmente scintille pericolose di razzismo nel rifiuto “umano” , nei “buuh” alle pelli nere, nella diffidenza aggressiva rispetto a religioni diverse. È vitale riproporle alle nuove generazioni: nel ricordo fatto da noi e nel rifiuto di certi disvalori pericolosi devono imparare a conoscere, sapere, capire, aprire, accettare e, perché no?, anche amare.
Tutto questo messaggio crediamo sia stato trasmesso con successo nel corso dell’evento, non solo attraverso la mostra, ma anche in modo diretto attraverso le teatralizzazioni di vario genere, che hanno avuto impatto diretto, ed anche indiretto, nei resoconti fatti a casa.
Sono numerose le mamme e i padri che hanno raccolto l’entusiasmo dei figli e la loro voglia di raccontare le cose originali che avevano colpito la loro immaginazione. Ad esempio, per quelli che hanno visto la performance Un circo ad Auschwitz, prodotta dall’Associazione Fuori Tempo “Luca Barba” guidata da Geltrude Barba, come era possibile dimenticare lo statuario e fantasmatico mimo domatore con divisa militare da SS, che li accoglieva all’entrata (un bravissimo Pietro Paolo Parisi)? Sembrava finto, tanto era immobile, e poi, quando si decideva a muoversi, facile immaginare le vibrazioni di sorpresa e di ammirazione e perfino di timore, soprattutto dei più piccoli. Del resto, non capita molto spesso di essere accompagnati in scena da un domatore con la frusta, che porta gli spettatori nel “suo” circo, che era proprio il lager di Auschwitz, secondo la bella intuizione della regista e attrice Geltrude Barba, che ha rielaborato ad hoc frammenti e spunti di altri autori e testi classici e li ha sapientemente integrati con idee e parole originali. Filo conduttore è infatti la figura di un nonno che racconta alla nipote la sua storia di deportato con la sopportabilità donata da un pizzico di leggerezza. In questo circo ci sono clown molto, molto particolari, di cui uno schizza addirittura da una valigia: è Anna Frank, simbolo internazionale dell’orrore Shoah. È interpretata da una magnifica Maria Grazia Lambiase, che si è raccontata con forza comunicativa, intensità emotiva e misura recitativa, lasciando una grande onda nel cuore. Grazie ad una valigia greve di dolore e alla figura dolente ed espressiva di un attore giovane e maturo come Antonio Coppola, in scena c’era anche Primo Levi, il grande scrittore, anche lui deportato ma poi superstite, che con “Se questo è un uomo” e “La tregua” ha scritto pagine indimenticabili e tremende su quell’orrendo inferno in terra creato dall’uomo per l’uomo. E non poteva mancare Roberto Benigni, evocato attraverso la lettura di una scena de “La vita è bella”, il più bell’esempio di “gioco” applicato alla tragedia. E i leoni da domare e domati? I deportati, naturalmente: nella realtà, più che leoni ruggenti, povere pecorelle sgozzate e immolate…
Bella idea e bella realizzazione. Da ripetere l’anno prossimo!
Come è da ripetere anche l’offerta fatta dai giovani emergenti di Arcoscenico, che hanno proposto in tre quadri Jude, un lavoro originale scritto da Luigi Sinacori (leader del Gruppo) e Mariano Mastuccino. I due, insieme con Gianluca Pisapia, hanno formato un tris efficace e affiatato, appoggiato dagli altri attori di Arcoscenico, che qui hanno svolto soprattutto il ruolo di figuranti. I primi due quadri, poeticamente creativi, sono efficaci per le fantasiose “angolazioni bambine” e lo straniamento con cui viene rappresentata l’assurda persecuzione razziale. È uno straniamento colto in prima persona dal personaggio che raccontava gli eventi. L’ebreo Settimino (gradito omaggio alla “nostra” Settimia Spizzichino) non capisce che senso abbia distinguersi con quella strana stella gialla, tanto obbligatoria da comportare l’arresto e anche peggio per chi la omette dal vestiario… e per questo si stimola e stimola ribellione… e scoppia uno strano fiorire di stelle gialle… e poi… come in una favola…
Al ritmo trascinante dell’agrodolce Gam Gam, inno di tutti i bambini della Shoah, un ragazzino del ghetto vede rotto, con progressiva coscienza, tutto il “suo” gioco della vita, vede interrotti tutti i suoi giochi, a cominciare dalla campana, dall’acchiapparella, dal gioco a palla, dal buzzico rampichino. E a modo suo reagisce col gioco alla prospettiva della detenzione e giocando giocando riesce a scappare.
Forse sono ebrei in fuga anche i tre che nel terzo quadro vivono una trasognata situazione di incarceramento in una metaforico vagone ferroviario: un rifugio obbligato, una pausa di attesa oppure, come è più probabile, una ragnatela di disagio esistenziale e di stralunato amore per la vita rispetto ad una vita che proprio non li ama? Il terzo quadro era teatralmente il più valido, ma anche il più impegnativo: perciò giustamente ai più piccoli sono stati riservati solo i primi due quadri, con invito alla partecipazione ai giochi, deliziosamente accolto ed applaudito, ma anche forte stimolo a capire la deprivazione che subivano i loro coetanei per un’ingiusta e mortificante discriminazione.
Oltre alle performance delle due giovani compagnie (alle quali va aggiunto anche il suggestivo spettacolo Noi pupazzi, una vita sconvolta dal razzismo, scritto, diretto e recitato da Marco De Simone), come potevano i ragazzi e i visitatori non rimanere colpiti anche dalle letture effettuate durante la visita alla mostra da Peppe Basta? Egli ha sempre accompagnato e illuminato le iniziative del Marte negli ultimi anni ed è uno di quelli che con le variazioni tonali della voce e l’occupazione dello spazio scenico, in movimento ma anche da fermo, ti sa acchiappare pure se legge l’elenco telefonico; è uno di quelli a cui non viene mai da dire “basta”…
Al tirare delle somme, non resta che complimentarsi col Direttore artistico del Marte, Rosario Memoli e con la sua collaboratrice, Michela Giordano, che insieme con tutto uno staff qualificato ed efficiente hanno portato avanti un’iniziativa meritoria e di alto livello, di quelle che fanno crescere un’intera comunità e creano fondamentali sinergie con le istituzioni scolastiche e quelle cittadine.
Insomma, c’è proprio una bella Cultura sbarcata su(l) Marte… E ora, via al prossimo sbarco, previsto per febbraio con un evento dedicato ad una di quelle figure capaci di unire tutte le generazioni, dai novantenni ai neonati. Parliamo di Walt Disney… e, come direbbe Peppino De Filippo, abbiamo detto tutto …
E da febbraio comincia la mostra su Walt Disney
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