Novità in libreria: LUNARIO DI DESIDERI a cura di Vincenzo Guarracino

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Si commetterebbe un madornale errore definire, tout court, “Lunario di Desideri (DiFelice Edizioni, Martinsicuro (TE), 2019, pagg. 348 Euro, 25,00), a cura del poeta e critico letterario Vincenzo Guarracino, un’antologia di poesie d’amore.

Non è, credetemi, la “solita” antologia. Lunario che definirei come un delizioso, originale trattato a più voci, quelle dei tanti poeti ospiti, che si avvale di una parte introduttiva, che in realtà è un pregevole mini saggio sull’ars amandi a firma del prof. Guarracino.

O meglio ancora, mi spingerei a definire questo “Lunario” un’” Amorosa Comedia” che vede al fianco di Guarracino, un Catullo nelle vesti del Virgilio dantesco. Il viaggio in cui il poeta traghettatore ci conduce, si snoda in mille gironi quanti sono i rivoli del sentimento amoroso argomentati, singolarmente, dai versi di noti e meno noti poeti italiani contemporanei. “Il Liber” di Catullo, quindi, come guida e paradigmatico indice dell’intero Lunario. Guarracino, premurosamente, prende per mano il lettore fornendogli i necessari strumenti per una lettura attenta e coinvolgente, fin dalla stessa definizione della parola “amore”: “Ma cosa vuol dire esattamente la parola “amore”? Legato etimologicamente all’accadico amaru (“conoscenza”), il verbo “amare”, come precisava anche il vescovo Isidoro di Castiglia, implica, prima e forse più ancora dell’aspetto emotivo e morale, essenzialmente un forte coinvolgimento di sensi (dilectio carnalis, “attrazione sessuale” Etymologiae, VIII, 2,7).”

E poi ancora, interrogarsi sul Basium (bacio). Dopo essersi soffermato sulla comparsa e il suo diverso uso sulla scena letteraria di questo termine (basium o anche savium), il curatore sintetizza il tutto rifacendosi a un delizioso epigramma anonimo dell’Anthologia Latina di cui riporto la traduzione in italiano: “Baci se ne danno alle mogli, baci se ne danno alle amiche/ ma i baci più baci son quelli che uniscono labbra impudiche”.

Molti i poeti presenti, dicevo. alcuni noti o notissimi quali Maurizio Cucchi, Milo De Angelis, Valerio Magrelli, Paolo Ruffilli, Gian Mario Villalta, Ottavio Rossani, Giancarlo Pontiggia, Daniele Piccini, Guido Oldani, Dante Maffia, Vivian Lamarque, Maria Lenti, Alessandro Fo, Giuseppe Conte, Franco Buffoni, Luigi Cannillo, Arnaldo Ederle, Mauro Ferrari, Franco Loi, Massimo Scrignoli, Claudio Damiani o altri meno noti o più giovani. Lunario, veramente come testimonianza variegata e ricchissima di voci poetiche che hanno caratterizzato o caratterizzano l’evoluzione della poesia italiana del secondo Novecento e di questi primi vent’anni del secondo millennio.

Mi è molto gradito sottolineare che il Lunario ospita anche un inedito dell’amico poeta parmense/cavese Fabio Dainotti e, mi sia concesso, anche un mio inedito. Testi di seguito riportati con una sintesi del commento introduttivo di Vincenzo Guarracino.

Per quel male l’amò senza ritorno”
Umberto Saba

Alla finestra

Mi affacciavo ogni giorno alla finestra,
per vederti arrivare da lontano,
e salutarti a gesti.
Tu la mano
destra agitavi; ebbi l’illusione
che potesse risorgere l’amore.

Fabio Dainotti

Uno stato d’animo tra attesa e illusione, filtrati attraverso il ricordo di una stagione di irripetibili emozioni: Fabio Dainotti ci lascia intravedere, col viatico prezioso di un verso di Umberto Saba, una scena fondante del suo immaginario, legato com’è nella sua ripetitività (“ogni giorno”) a un sentimento inconcluso, che, vissuto “alla finestra”, dall’alto cioè e da una certa distanza, e a un gesto, più che a una voce, autorizza il “cuore” ad un’attesa dolorosa e interminabile,…”

Salva neppure tu che supponevo

Almeno tu pensavo
salva d’oltraggiosa rovina
scampata bella
sempre bella come sai come so
nel respiro impaziente al tuo
volteggiare nuda
distesa accanto
presunta unicità
del bacio che a promesse eternava
or or sorpreso sulla sgualcita guancia.

Salva neppure tu che supponevo.
(2014)
Antonio Donadio

Il tempo è impietoso con tutti, deposita tracce incancellabili del suo passaggio: tracce “d’oltraggiosa rovina” che non risparmia niente e nessuno. Malae tenebrae Orci quae ominia bella devoratis, “ Maledette, maledette tenebre dell’Orco, che ogni cosa più bella divorate!” esclamava già Catullo (c. 3). E’ questo che dice Antonio Donadio, con un pensiero nostalgico ad un passato con il suo dolce ma anche con le sue ferite forse non più rimarginabili…”


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