CAVA DE’ TIRRENI (SA). Disfida dei Trombonieri 2019, trionfale per Santa Maria del Rovo … e senza la Battaglia di Sarno, probabile “fake news”
È stata archiviata con soddisfazione la quarantacinquesima edizione della Disfida dei Trombonieri, con la conferma vincente della fortissima squadra di Santa Maria del Rovo. La manifestazione, dopo una tre giorni preparatoria, si è svolta il 21 luglio allo Stadio “Simonetta Lamberti” di Cava de’ Tirreni, con la solita, tradizionale, sfavillante e tambureggiante sfilata di gruppo in costume e le rombanti salve a trentasei pistoni delle singole squadre, tra emozionate attese, festosi applausi per le botte ben riuscite e le grida di disappunto (dei sostenitori) e di piacere (dei sostenitori avversari) all’apparire fatale delle cilecche.
Con altrettanta soddisfazione dobbiamo anche rimarcare il fatto che, mentre per decenni la Disfida era anche l’occasione per rievocare la Battaglia di Sarno del 1460, quando secondo la tradizione un gruppo di cinquecento cavesi con un intervento decisivo andò a Sarno a liberare dall’assedio il Re di Napoli, ora, della Battaglia di Sarno durante la manifestazione non si parla più, per il semplice fatto che l’intervento decisivo dei Cavesi non c’è stato.
Il mito della “Battaglia”, secondo la ricostruzione di alcuni storici, in primis il prof. Francesco Senatore, sarebbe nato nel 1640, per giustificare idealmente il riscatto economico della demanialità, effettuato a proprie spese dai “Cavoti” per evitare che la Città fosse venduta a qualche feudatario. La Pergamena in bianco fu però veramente consegnata nel 1460 (uno storico “assegno in bianco” che i Cavesi non vollero “compilare”), perché il Re volle giustamente premiare Cava per non essersi arresa ai Francesi protesi nell’attacco contro gli Spagnoli, per il fatto che rappresentavano un baluardo armato fondamentale, per il ruolo strategico della Valle Metelliana nella geografia del territorio.
Su queste basi, furono ben meritate, sia la pergamena in bianco sia i successivi privilegi per cui, non pagando le dogane all’interno del Regno, potevano vendere tutto a prezzi concorrenziali. Questi episodi furono passi fondamentali perché Cava, proclamata Città nel 1394, diventasse una vera Città.
Tale cammino è stato spiegato con profondità il 19 luglio nel corso di un interessantissimo convegno su “Cava Aragonese”, durato un’intera giornata, in cui, oltre al Sindaco Vincenzo Servalli e al Vice Sindaco Armando Lamberti (che ha definito quella della Battaglia di Sarno una “fake news” della nostra storia), docenti universitari di alto profilo, come i cavesi Francesco Senatore (che l’ha promosso e che ha scoperto di recente documenti fondamentali sull’epoca) e Giuseppe Foscari e con loro Bianca De Divitiis, Pierluigi Terenzi, Davide Passerini, hanno definito le caratteristiche di Cava nel periodo aragonese, sottolineato le correzioni storiche da effettuare, dipinto il quadro sociopolitico dell’Italia Meridionale tra quindicesimo e sedicesimo secolo e in particolare tracciato il cammino progressivo della formazione identitaria della Città de La Cava.
È stato un lungo processo durato quasi due secoli che ha trasformato quella che era di fatto una federazione di villaggi sparsi sulle colline in una Città consapevolmente desiderosa di una vera Unità, fondata su interessi convergenti delle varie parti, concentrata intorno al neonato Borgo come luogo di governo e di riferimento commerciale, sociale e politico.
L’interesse primario comune aveva un nome ben preciso: la difesa della demanialità, cioè della dipendenza diretta dal Re senza le prepotenze e i freni di un feudatario. Essa apriva la disponibilità di tanti movimenti e scelte autonome, oltre che una libertà personale e sociale che nei feudi classici era solo sognata. Per difendere questa demanialità, insidiata permanentemente da aspiranti baroni o marchesi o conti, non aveva senso stare ognuno per conto suo.
Per fortuna a Cava ci fu un’élite lungimirante, formata dai commercianti, da giuristi e da uomini d’arme, che nel tempo con prudenza e saggezza operò nella difesa dell’unità e dell’identità cittadina. In questa cornice si inseriscono e si spiegano la resistenza militare contro i Francesi che attaccavano il potere spagnolo, il rifiuto orgoglioso di scrivere qualcosa sulla pergamena in bianco offerta dal Re proprio come gratitudine per i loro servizi di fedele avamposto interno, il sagace sfruttamento dei privilegi poi concesso dal Re di non pagare dazi alle dogane nei loro spostamenti mercantili all’interno del Regno, la sobrietà intelligente con cui gestirono le ricchezze che derivarono da questi privilegi.
Questa convergenza unitaria e identitaria aveva però bisogno anche del supporto di leggi ad hoc, che permettessero di gestire il complesso sistema di relazioni tra i casali tra di loro e tra di loro e il Borgo. Insomma avvenne un’opera lunga e paziente di mediazione da parte della classe dirigente, che portò ad una rotazione nell’elezione del Sindaco e ad una distribuzione equa e solidale degli incarichi istituzionali nel governo della Città. Così si spiega anche che la riconferma dei privilegi di fine quindicesimo secolo effettuata agli inizi del sedicesimo da Carlo V fu applicata, pur se nello spazio di due giorni diversi, sia al Borgo che ai Casali.
Anche la formazione architettonica mostrò progressivamente il segno della creatività e della cultura e della lungimiranza urbanistica. Il Sud del tempo rinascimentale non aveva certo le stimmate dell’arretratezza e del degrado che poi sono emerse nei secoli successivi. Era sufficientemente ricco e godeva di una sua cultura autonoma, fin dai tempi dei Longobardi, dei Normanni e soprattutto degli Svevi, mentre nello stesso tempo attento ai movimenti che provenivano da quel faro straordinario di luce che si accese nell’Italia centrale tra Quattrocento e Cinquecento.
Lì fiorivano nuove teorie e venivano riscoperte e valorizzate quelle legate al mondo classico. L’armonia e l’equilibrio di una città tutta a misura ad uomo e di palazzi elegantemente funzionali e di accorgimenti importanti come l’arco a volta, in linea con gli studi del latino Vitruvio e del geniale architetto fiorentino Leon Battista Alberti, fu determinante nello sviluppo del Borgo porticato de La Cava, con scelte che poi sono rimaste incise nei secoli e che ancora oggi rappresentano il simbolo identitario della Città.
Su queste rinfrescate e in parte rinnovate basi storiche, che non intaccano comunque lo spirito comunitario e festoso delle tradizionali rievocazioni folkloriche, è stato fatto un ulteriore e fondamentale passo in avanti verso il recupero pieno della grande storia di una Città millenaria e la sua qualificazione per essere competitiva nella concorrenza alla nomina di Città Italiana della Cultura nel 2022, che è uno dei grandi obiettivi del ticket amministrativo del duo Servalli-Lamberti.
All’interno di questo cammino, le iniziative degli ultimi mesi sono state certamente il passo giusto per l’altro importante obiettivo d’immagine, qui definibile con le parole stesse del Sindaco Servalli: “promuovere un brand, ”Cava de’ Tirreni, la città della Pergamena Bianca”. Una straordinaria storia di lealtà e fedeltà di un popolo che difese un regno senza chiedere nulla, subendo indicibili danni, tanti lutti, ed ottenne come ricompensa una pergamena che è un unicum nella storia e che è conservata da ben 559 anni gelosamente e successivamente i “privilegi” che consentirono ai cavesi di commerciare in tutto il regno senza pagare dazi e furono all’origine di quella che ancora oggi è la nostra vocazione: il commercio”.
Un bell’obiettivo, non c’è che dire… con l’augurio che le nostre speranze non finiscano “in bianco”…
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