CAVA DE’ TIRRENI (SA). Autunno cavese: serata d’amore con il Gruppo Arte Tempra, tra passioni al chiaro di Luna e Cyrano sull’altare
Una dea al femminile, Selene o Artemide, o Diana o la tolkieniana Arda… O la luce, come suggerisce la radice della parola… O la causa della follia e dell’instabilità, a pensare alla lunaticità dei volubili o al mal di luna dei licantropi… O la guida maestra per i pescatori e i contadini, che regolano le attività in rapporto alle sue fasi… O la depositaria del mistero dell’essere, come nella “pastorale” meditazione leopardiana… e via dicendo.
Quante cose potremmo dire sulla nostra amica Luna, la “femmina” più chiacchierata dell’immaginario popolare, dei poeti, degli scienziati, dei sognatori… !
Ma nel nostro personale mare delle emozioni, da quando si è sviluppata la cultura romantica, la luna e i suoi chiari evocano qualcosa che ci culla come un’onda, ci prende il cuore e ci invita al sogno e all’amore. Sarà pure un amore lunatico, ma sempre carico di quella suggestione che esalta al massimo i sensi terreni e ci fa sentire partecipi del soffio divino o del mistero dell’universo.
È quello che l’Arte Tempra di Renata Fusco e Clara Santacroce ha voluto celebrare all’Auditorium dell’Istituto Della Corte-Vanvitelli di Cava de’ Tirreni il 19 e 20 gennaio, con “Luna d’amor mutevole”, “stellare” ripresa della stagione teatrale, seguito ideale e reale dei due tuffi poetici di fine anno: la morbida e pungente sinfonia multimediale leopardo-chopiniana delle “Consonanze” e il pionieristico agone poetico con gli studenti delle scuole superiori.
La Luna è sorella celeste di Renata Fusco, che è nata proprio nel 1969, lo storico 20 luglio del primo allunaggio. Ed evidentemente le è rimasto inciso nel suo DNA il segno di un’astronave, che le ha fatto costruire una vita di danza, di canto e di recitazione, e non solo, illuminata dai sogni e trepidante di voli.
C’è chi dice “Non voglio mica la Luna”, ma Renata ha precisato che “voleva proprio la Luna” per questo spettacolo, diviso in due parti parallele e convergenti, unite dal trionfo dell’Amore, sorgente di Paradisi infiniti di piacere e di gioia, ma anche di devastanti Inferni di dolore e di follia.
Nella prima parte la scena sembra un altare lunare, con al centro una luna chiara e tutt’intorno come un invisibile abat jour che soffonde una romantica luce blu, a tratti dolcemente sfumabile in rosa. Gli attori (Antonietta Calvanese, Luca Capaldo, Giuliana Carbone, Gabriele Casale, Maria Carla Ciancio, Luciana Polacco Francesco Savino, Gerardo Senatore) si muovono in coro e recitano testi e raccontano storie con la consolidata bravura individuale, rilevabile ogni volta un gradino più su, con la perfezione firmata Arte Tempra dei movimenti in sincronia di singoli e di gruppi, con la tecnica dei frammenti testuali scomposti e ricomposti firmati anche quelli Arte Tempra.
Dopo l’introduzione di Cyrano, che prefigura la seconda parte, tra morbide atmosfere chiaroscurali voliamo attraverso la creatività e le storie che nei secoli hanno fatto la nostra storia culturale. Ed ecco il viaggio ariostesco di Astolfo sulla Luna, dove ci sono le cose smarrite sulla terra, a recuperare il senno di Orlando impazzito per la perdita/tradimento dell’amata Angelica. Ecco le passioni sconfinate e tragiche, tutte con ammiccamenti alla Luna, di Giulietta e Romeo, Tristano e Isotta, Orfeo ed Euridice, Enea e Didone, in suggestivi voli temporali che vanno dall’antichità classica agli splendori rinascimentali.
Poi, tutt’altro registro e schema scenico nella seconda parte. Filo conduttore, pur sempre l’amore. Ma… altro che Luna di amor mutevole… Quando si parla di Cyrano di Bergerac e del dramma immortale di Edmond Rostand costruito su un personaggio storico realmente esistito, dobbiamo parlare di Sole di amor durevole…
Se la prima parte era un’antologia di frammenti poetici o teatrali, la seconda è stata tutta concentrata, appunto, su un estratto dal Cyrano di Bergerac, con convergenza sulla memorabile scena finale, quando Rossana capisce finalmente che le parole e le lettere, che avevano cementato il suo amore per il bel Cristiano, erano invece opera del cugino Cyrano, di lei sempre innamorato, che si era sacrificato pur di renderla felice con Cristiano. La scena non nasce però dal nulla, perché idealmente è correlata all’incipit dello spettacolo, nel cui prologo appare appunto Cyrano, l’innamorato per eccellenza del teatro di ogni tempo.
Se la prima parte era giocata, oltre che sull’abilità vocale e motoria, sull’affiatamento degli interpreti, la seconda parte, che si risolve intorno ad una scarna scena evocante un giardino, è tutta affidata alla forza del testo e soprattutto alla capacità degli attori, segnatamente del protagonista Cyrano, di bucare la scena con la forza di un amore che si svela, di una tragedia che si consuma, di un’ingiustizia umana e sociale che si sublima.
E su questo non possiamo che dire “Chapeau!” e applaudire con tutto il sorriso dell’ammirazione che abbiamo sentito e dell’emozione che abbiamo provato. Se Giuliana Carbone, ora abituatasi a scalate di montagne attoriali (vedi la splendida sfida del recente e ammiratissimo “Giorni felici” di Beckett), si è calata con morbida disinvoltura nella sognante inconsapevolezza di Rossana e nella solare dolcezza di quel personaggio che è rimasto nella memoria degli spettatori e nelle papille degli amanti della celebre caramella, Gabriele Casale ha saputo perforare la scena con un’interpretazione “da champions”.
Con accenti vocali sempre composti è riuscito a rendere a trecentosessanta gradi tutta la gamma iridata e sinusoidale delle emozioni e dei sentimenti che agitano il personaggio e che implodono esplodendo ed esplodono implodendo nel momento della morte. Una gamma che ben rivela lo spessore di un personaggio che troppe volte è stato ingiustamente ingabbiato nella sola, zuccherosa frase del bacio che è un apostrofo rosa tra le parole t’amo.
L’amore intenso, adorante, dolcissimo da sempre provato per Rossana…
La coscienza del sacrificio fatto per anni cancellando la sua persona fisica per non distruggere l’immagine amorosa di Cristiano radicatasi nel cuore di Rossana…
La consolazione che, se non il suo corpo poco attraente, almeno la sua anima è stata amata da Rossana, essendo stata prestata al corpo di Cristiano per scelta quando lui era in vita e per necessità quando lui è scomparso in battaglia e non poteva più testimoniare lo scambio di persona tra lui e Cyrano…
Lo strazio della dichiarazione d’amore di Rossana proprio quando egli è sul punto di morire e non può più goderne…
Lo sconvolgimento fisico e psicologico per l’attentato che gli sta causando la morte…
La rabbia per aver visto lungo l’arco di una vita soffocare i suoi meriti umani e la sua sensibilità straordinaria a causa della sua deformità nasale…
L’orgogliosa consapevolezza di essere stato uno spadaccino straordinariamente abile e coraggioso ed un intellettuale di altissimo pregio, tanto che perfino Moliére gli ruba le battute e ne ricava successo… e di rimando la frustrazione di non aver mai potuto mettere a frutto tutte le sue qualità facendo da appoggio ad altri, in amore ed in società: insomma, di essere stato tutto e niente…
Ma anche, alla fine, la soddisfazione di aver tenuto sempre alto i suo pennacchio, nella sua lotta permanente contro l’ipocrisia e il compromesso e nella capacità di saper scegliere il giusto e mettere la sua forza a beneficio di altri, soprattutto se persone amate o rispettate… Perciò egli muore combattendo contro tutte le nuvole che gli hanno impedito di risplendere, ma fino all’ultimo conserva il lucido nitore della sua ironia e della sua intelligenza.
Insomma, un calderone ribollente di passione umana, civile e amorosa. Un calderone che Gabriele Casale (del resto non certo nuovo a performance da “inchino”, vedi “Casa di bambola” e “Liolà”) ha portato “al punto giusto di cottura” con le parole e i movimenti, commuovendo, ironizzando, facendo sorridere, sfidando e chiedendo carezze, emozionando e, crediamo, anche emozionandosi.
Forse, per uno di quei miracoli tipici del teatro, Gabriele si è sentito, almeno in parte, veramente Cyrano, con il suo orgoglio, le sue consapevolezze, la sua sensibilità, i suoi sogni coltivati e a volte feriti, la sua persistente voglia di sfida. In quei quaranta minuti di “Cyranizzazione”, il pubblico tutto questo l’ha sentito e alla fine ha stretto in un abbraccio solidale Gabriele attore e Gabriele personaggio e con lui la magnifica Giuliana e, naturalmente, gli altri che hanno fatto da comprimari nel dramma di Rostand e sono stati assoluti protagonisti nel viaggio spaziale sulle lune della poesia, della creatività e dell’amore.
Alla fine, tutti insieme hanno colorato e insaporito la Luna della serata, quella luna di miele bianco fatta di sogni, di slanci, di musiche, di scenari amorosi.
E tutti noi dalla luna del teatro ci siamo rituffati nelle nostre lune di ogni giorno, non sempre poetiche, ma pur sempre di miele bianco, come la Grande Bellezza della vita …
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