CAVA DE’ TIRRENI (SA). “La primavera fuori – scritti al tempo del coronavirus”: diario di un passato tornato presente

Fa proprio una strana impressione la lettura di “La primavera fuori – 31 scritti al tempo del coronavirus” (edito da Il Pendolo di Foucault di Francesco D’Amato, sempre pronto a “mordere” l’attualità): narrazioni, riflessioni, confessioni, poesie, fotografie di trentuno penne e trentuno anime raccolte da Claudia Izzo, giornalista, direttrice del periodico on line Salernonews. Fa impressione perché, nelle intenzioni della curatrice, doveva essere una serie di testimonianze di un periodo unico nella nostra storia (la pandemia e il lunghissimo lockdown di primavera), destinate a diventare esse stesse storia. Lo spirito, insomma, era quello del pur difficile dopoguerra che racconta la guerra, del reduce che ritorna dalla prigionia, o, se vogliamo, quello del ritorno alla luce mentre sta passando la nottata.

Il libro è uscito nelle ultime settimane proprio quando sta ritornando la “guerra”, si sta prospettando una nuova forma di prigionia, la nottata sembra addirittura più fonda. E, ironia della sorte, la sua presentazione ufficiale, al Comune di Cava de’ Tirreni, prevista per il 23 ottobre, è stata sospesa a tempo indeterminato perché l’arrivo galoppante della seconda ondata ha sconsigliato e impedito l’assembramento dell’incontro.

E fa ulteriormente impressione la lettura perché, pur a parità di disagio epidemico, nella sostanza le vicende e le sensazioni narrate sono già storia passata, irripetibile. Questo offre alla pubblicazione il fascino oggettivo di essere una delle prime rievocazioni corali di un momento veramente straordinario di speranzosa disperazione e il fascino “soggettivo” di essere tutta “sommersa” nella tragedia riuscendo, con la struttura e gli stili narrativi, a galleggiare con la leggerezza possibile sulla cresta delle onde in tempesta.

Tornano in queste pagine gli smarrimenti delle prime angoscianti notizie del nuovo virus, la dolorante e stimolante curiosità dell’esperienza nuova della clausura, la paura sempre più avvolgente di fronte al galoppare delle morti ed all’indimenticabile sfilata dei camion funebri… E poi gli arcobaleni, l’andrà tutto bene, qualche canto sulle terrazze, l’unità nazionale, il senso di un’identità collettiva che si stringe e si rafforza pronta a vincere e ripartire con rinnovato slancio, il tempo libero che crea dolore e disagio ma è anche la possibilità di una riscoperta e di un miglioramento. E la scrittura, a detta della stessa Izzo, è stata l’arma migliore perché tutto ardesse di speranza.

Le restrizioni di oggi, invece si stanno ricreando in tutt’altro clima: suona beffardo ogni andrà tutto bene, l’arcobaleno sembra lontano, l’unità è stata sostituita dalle tensioni e dalle proteste e di speranza “vera” sul momento ci è rimasto solo il Ministro della Salute, ma per il suo cognome…

Tutto questo rende più interessante la lettura del libro, perché è il puzzle di una storia vera vissuta da varie angolazioni ma comunque tutta nostra, tale che in essa ci riconosciamo pienamente. Non fa sognare, ma fa ricordare, è già il caminetto della memoria.

Ed è una lettura anche agevole, oltre che interessante, perché la scrittura è chiara, scorrevole e coinvolgente… e poi trentuno lavori in meno di centocinquanta pagine reali significano una media di quattro facciate l’uno, nel nome di quella brevità oggi superrirchiesta nella frenesia di questo nostro tempo senza tempo.

Soprattutto, però, questo libro, con l’insieme delle sue testimonianze singolarmente create in autonomia, è una piccola sinfonia di umanità in cui il buio del dolore e della paura è attraversato da lampi di fantasia, di memoria e di creatività. È un piccolo film in cui ai campi lunghi della storia ben nota si alternano le zoomate su dettagli che a loro volta diventano suggestivi microcosmi.

Ad esempio, la pastiera pasquale arrivata dopo un appello su Facebook restituisce il sapore di casa al giovane napoletano fuori regione, separato forzosamente dalla famiglia. E la mogliettina costretta dal lockdown a vivere i rapporti coniugali solo per “covideotelefonate”, ma per questo ancora più innamorata, rievocando la sua storia d’amore, riesce in un non lontanissimo futuro a ridare un po’ di sorriso alla nipote triste e malata (e anche a noi lettori). E il silenzio assordante delle strade vuote svuota anche l’anima di un uomo ricordandogli il silenzio di quel pomeriggio di ventitré anni fa quando si fermò il respiro della moglie amatissima: è la stessa voce del silenzio che aleggia in tantissimi di questi lavori, quella voce che ha il suono delle cose che hai perduto, quel silenzio che fa sentire il canto della propria anima. E via ciendo…

Le zoomate sono tanto forti che, negli slanci di creatività, arrivano anche a mettere a fuoco l’invisibile, come il primo virus che arrivò in Italia e che “in prima persona” racconta il suo viaggio dalla Cina e il suo progressivo passaggio in tante persone fino ad esaurirsi nel corpo di un vecchio, spegnendosi con la fierezza di aver lasciato tanti “segni” di sé…

In certi episodi non c’era neppure bisogno di creatività per farci vivere emozioni forti. Ad esempio, assistendo al tunnel della malattia e al ritorno alla luce attraverso il “diario”, emozionante e coinvolgente, di due dei primi pazienti, testimoni pionieri della paura e del dolore che stava accompagnando questo incontro ravvicinato dell’umano visibile e del “veleno” invisibile.

A volte a parlare sono non i racconti, ma le poesie, che nel nostro caso evocano il poetico positivo che emerge dalla tragedia: le canzoni sui balconi che dipingono sogni, l’attesa di un nuovo sole da raccontare poi “da nonni”, gli operatori sanitari che dall’abbigliamento sembrano spaziali, sono gli angeli del capezzale senza ali…

Bella anche l’idea di dare voce alle immagini, attraverso fotografie “parlanti”: la panchina vuota in primo piano su una piazza vuota… il riflesso tremolante di un uomo che si specchia in una pozzanghera…l’intrico di scale vuote da scende quasi con passo furtivo una sola persona… il padrone in mascherina e ombrello aperto che insieme col suo cane guarda lontano, forse oltre la pioggia…

Nel complesso, è proprio un’opera corale, di squadra, in cui il singolo individuo si scioglie nel collettivo, per formare attraverso parti dissonanti un suono unico, senza assolo. Per questo volutamente non abbiamo citato i creatori dei dettagli appena riportati:

Li citiamo ora, in un elenco che li comprende tutti e con l’invito a comprare il libro (a Cava è disponibile presso Il portico di Elisa e a breve anche nelle edicole-libreria del centro), non solo perché è un esempio di buona scrittura, ma anche perché eventuali proventi saranno devoluti all’Ospedale San Leonardo di Salerno per attrezzature di terapia intensiva. Ed eccoli qui, i nostri magnifici coristi.

Denata Ndreca, Sabrina Prisco, Paziente 2 e Paziente 3, Brunella Caputo, Alfonso Sarno, Maria Gabriella Alfano, Giuseppe Petrarca, Claudia Landolfi, Tina Cacciaglia, Domenico Notari, Francesco Fiorillo, Nicola Olivieri, Armando Cerzosimo, Rocco Papa, Alfonso Gargano, Umberto Mancini, Sergio Del Vecchio, Lina Esposito, Daniele Magliano, Giuseppe Esposito, Giuseppe Pisacane, Valeria Saggese, Emanuele Petrarca, Nicola Carrano, Marco Nitto, Luigi Avallone, Annamaria Petolicchio, Luigi D’Aniello, Antonino Papa, Irene Lamendola…

e naturalmente lei, Claudia Izzo, alla quale rinnoviamo i complimenti per l’idea e la realizzazione e facciamo gli auguri che il libro possa camminare tanto. Ne abbiamo bisogno, sia per sentir suonare questa “sinfonia di umanità”, sia perché di attrezzature ospedaliere ce ne vogliono ancora tante (purtroppo, e non solo per colpa del virus…).

E poi, pur in questo momento di sconforto e di difficoltà, non vedo perché dobbiamo rinunciare al nostro piccolo arcobaleno di speranza.

Non è primavera, fuori… ma dove sta scritto che l’autunno non possa avere una sua primavera?


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