Epidemie e pestilenza a Cava de’ Tirreni

Da quando l’uomo ha memoria, la popolazione è stata sempre vittima inerme di pestilenze e carestie.

Col prezioso ausilio della Dottoressa Beatrice Sparano, deputata principe dell’Archivio Storico Comunale della Nostra nutrita Biblioteca, pubblichiamo il presente documento, che il tempo ci aveva fatto dimenticare e dal quale, in breve, si rileva che, causa la carestia del 1734, la nostra Città ebbe un’elevata mortalità, non sappiamo se maggiore o minore della peste del 1656, tanto che le salme vennero “sotterrate” in fosse comuni; alla luce di ciò, l’Intendente del Principato Citeriore chiese al Sindaco della Città di Cava (il toponimo di Città di Cava de’ Tirreni origina col Regio Decreto n. 935 del 23 Ottobre 1862) di destinare detti vari luoghi cittadini a Camposanti.

Salerno 29 ottobre 1811

L’Intendente della Provincia di Principato Citra

Al Sindaco del Comune di Cava

Sig. Sindaco,

dal vostro rapporto del 19 dell’andante, vengo informato dei vari luoghi siti in cotesto comune, nei quali venivano sepolti i cadaveri di coloro che morirono nell’anno 1764, epoca della epidemia, e di coloro che se l’hanno appropriati e messi a coltura.

Poiché continui sono i clamori di molti abitanti di alcuni villaggi di cotesto comune per le soventi infermità che soffrono le di loro famiglie a causa della mancanza di un Camposanto, in dove dar sepoltura a cadaveri di quei che giornalmente nell’Ospedale muoiono.

Considerandone in effetti la necessità di questa formazione per la salute pubblica, v’incarico di far subito procedere ad una dettagliata perizia, per i lavori, e spesa vi occorre per la riduzione di detti luoghi a Camposanto.

Me la rimetterete indi per le provvidenze ulteriori

Ho l’onore di salutarvi distintamente

Per l’Intendete assente

Il segretario generale

Macente(?)

Da una “piccola” ricerca sull’epidemia dell’anno 1764, eseguita dalla Dottoressa Sparano, in un articolo: ” La carestia del 1764: intemperanze climatiche e cattiva gestione delle risorse di Maria Antonietta del Grosso”, si legge:

Secondo la testimonianza di Fabio Donnabella, il quale nel cominciare la Descrizzione (sic) dell’anno 1763 e 1764 non solo precisava l’andamento delle stagioni, ma era convinto che la congiuntura agricola davanti ai suoi occhi – tutti abbiamo memoria corta e buona dose di egoismo – fosse la più grande catastrofe di tutti i tempi:

L’anno 1763 fu caosa ed apportò la grandissima carestia e fame del seguente anno 1764.

Carestia non mai sperimentata maggiore, mai intesa e mai letta essere accaduta così generale e così lunga della creazione del Mondo….

Nei mesi di gennaro, febraio, marzo e aprile non nevigò, non fece freddo e neppure piové, di maniera che quell’Inverno sembrò una continua primavera e non si potè conservare neve nella montagna della Stella.

Entrato poi il mese di Maggio cominciò a piovere, a fare freddo e grandinare e la pioggia era sempre accompagnata da empetuosi venti e sempre dirotta, e durò questo continuo mal tempo per tutto la mità di Giugno; doppo la mità di Giugno anche seguitò per qualche tempo, lo che fu caosa che venne a mancare lo çrimo frutto della terra, che è la seta, sussecutivamente mancò ogni sorta di frutto’ …

L’inclemenza del tempo con pioggia di tipo alluvionale e gravi nubifragi provocavano anche lo straripamento di fiumi e torrenti e l’inondazione dei terreni limitrofi, così come capitò nella città di Benevento: circa le copiose incessanti piogge seguite nel corrente anno 1764 nel territorio di questa città, onde essendo a dismisura cresciuto il torrente che passa sotto il ponte volgarmente detto delle Tavole, si impetuosi sono stati gli urti che esso ha dato ai rispettivi argini e deviando dal naturale suo letto è giunto a scorrere nella vicina pubblica strada

… L ‘infertilissima raccolta sortita nel trapassato agosto 1763, dirivata dalla copiosità de grandi piogge cadute nel mese di settembre ed ottobre del 1762, tempo di seminar grano, che si pensava esser venuto il diluvio universale; nei mesi di maggio, giugno e luglio di detto anno 176,3 tempo di seminar grano d’india ed altre vittuaglie vi sortì tanto imminente caldo e gran nebbie derivate dalle dette acque che parve incendiarsi il mondo: per la qual cagione battuti gli seminati ben bene dalle acque e in cotta la terra dal sole e fatto il terreno più duro di un sasso i grani si mantennero smorti …

Vedendo la terra così avara di frutti, non solo contadini e “massari”, ma chiunque guardava lo spettacolo di campi così sterili, capiva subito che si prospettavano tempi molto difficili, nonché si convinceva che “l’aria e la terra fussero state avvelenate e maledette per li peccati”.


Commenti non possibili