Salerno – Modena. “Il potere del ciarlatano”, di Grete De Francesco: un libro di ieri per difenderci oggi, recuperato e tradotto dallo scrittore salernitano Marco Di Serio
Fake news distorcenti, guaritori autoreferenziali, populismi radicali, informazioni sballate… Quante mistificazioni in questa nostra società globalizzata, supertecnologica e supercomunicante!
È uno scotto che bisogna pagare al progresso, ma anche lo stimolo a correre ai ripari, documentandosi il più possibile per orientarsi in questa inondazione di dati e di parole, che delle volte rende una corretta informazione complicata come riempire un bicchiere sotto una cascata.
Lo scotto più amaro, e forse il più evitabile se si utilizzano mente, cervello e volontà, è quello del proliferare troppo spesso “vincente” di ciarlatani imbonitori, in tutti i campi, ma soprattutto nella politica e nella medicina.
Per difendersi, quindi, bisogna informarsi, conoscere, comprendere, perché il ciarlatano viene da lontano, inganna il presente e, purtroppo, punta lontano.
Ed allora bene, anzi benissimo hanno fatto, come curatore e traduttore, lo scrittore salernitano Marco Di Serio (già autore di un raffinato e profondo pamphlet dal titolo Note del sacro) e Neri Pozza come editore a portare in Italia un testo stimolante e illuminante come Il potere del ciarlatano, di Grete De Francesco, la prima pubblicazione di grande respiro in Italia su questo tema, nella quale, attraverso un racconto coinvolgente che ricopre un periodo di tre secoli, dal Rinascimento al Settecento, è possibile ravvisare anche la funzione, l’incidenza e gli ambienti dei ciarlatani nella società del secondo millennio.
Colma un vuoto non indifferente, questo libro, non a caso scritto proprio nel periodo in cui i nuovi storiografi di Les annales puntavano i riflettori su quello che si muove in società sotto la coltre della grande storia globale, politica, economica e militare.
Il saggio inoltre ha il merito di mettere in rilievo un’eccezionale figura di donna e di intellettuale come Grete De Francesco, una delle tante, troppe vittime delle “oscene” persecuzioni totalitarie degli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso.
Nata a Vienna nel 1893 da un’agiata famiglia austroungarica di origine ebraica, ebbe, grazie alla sua condizione sociale, l’opportunità di studiare fino alla laurea. Si trasferì quindi a Milano, per effetto del suo matrimonio con l’ingegnere italiano Giulio De Francesco. Visse quindi in diretta l’ascesa montante del fascismo, gli stravolgimenti della guerra e purtroppo anche la persecuzione razziale, per la quale fu deportata nel 1944 nel campo di concentramento di Ravesbrück, dove mori l’anno successivo.
L’idea del libro le venne dopo che si era venuta a trovare a contatto più da vicino con ricerche sulla storia della medicina, per la rivista Ciba, sponsorizzata dalla omonima azienda farmaceutica. La scoperta di tante vicende e storie relative ai ciarlatani, termine che in origine indicava soprattutto una certa tipologia di medici che ricorrevano a pratiche parascientifiche, le fece anche capire quanto grandi fossero le potenzialità di questi personaggi all’interno della società, tra miriadi di persone insidiate da malattie di ogni tipo, che, quando non sapevano a che santo votarsi (ma anche lì, non sempre con buoni risultati…), si buttavano tra le braccia del primo venuto che assicurasse guarigione e salute, e magari anche felicità a buon mercato.
E nacque così, in lingua tedesca, questa ricerca che è quasi un romanzo e che oggi, come già detto, è possibile conoscere anche in lingua italiana, nella fluida e chiara traduzione di Di Serio.
Il volume, ponderoso e sostanzioso, fascinoso e stimolante, è aperto dalla splendida e profonda introduzione del curatore: quasi quaranta pagine che sono di per sé un saggio autonomo, sia sulla figura intellettuale di Grete De Francesco, sia sulla figura del ciarlatano. Infatti, Di Serio ha recuperato documenti finora inediti e di grandissimo interesse, in primis la lettera di accompagnamento con la quale la De Francesco presentò il suo lavoro a Thomas Mann. Una comunicazione di alto profilo, in cui lei spiega sia quanto abbia inciso nell’ispirazione del suo saggio la lettura del celebre racconto di Mann, Mario e il mago, avente come protagonista un illusionista di nome Cipolla, sia quanti Cipolla lei veda nella storia e nel suo tempo, a cominciare da Mussolini e dalla deriva autoritaria, bellicista e razzista in cui stava portando l’Italia.
Il richiamo a Cipolla è significativo del respiro storico e culturale di cui è impregnato il libro. Il nome richiama infatti il celebre frate del Decameron di Boccaccio, che a sostegno delle sue prediche tesseva astuti inganni di parole e di artifici, ed era capace di sbrogliarsela alla grande anche in situazioni di smascheramento.
Come ricorda Di Serio, proprio la politicizzazione delle sue intenzioni causò dubbi e critiche da parte di un grande intellettuale come Benjamin, che espresse le sue riserve in una lettera ad Adorno pur apprezzando l’acutezza le sfumature con cui la De Francesco aveva rappresentato la figura del ciarlatano nella storia in rapporto alla società ed alle vicende dei tempi.
È uno sguardo a trecentosessanta gradi, che parte da considerazioni di carattere generale e poi comincia il viaggio partendo dal mondo degli alchimisti, che, pur rivelando il tentativo importante dell’uomo di “dominare la natura”, lasciava il campo, soprattutto nella ricerca “bugiarda e fallace” di pietre filosofali e trasformazioni in oro, alla moltiplicazione sia di creduloni sia di imbroglioni, quei fraudolenti che Dante colloca impietosamente nelle Malebolge dell’Inferno. Quegli alchimisti, appunto, che, come dice la De Francesco, per raggiungere i loro scopi «si erano gettati in tutte le branche del sapere, ricevendone una vaga infarinatura che permetteva loro di speculare sulle masse dalla conoscenza decisamente frammentaria». Oppure, se non usavano le parole della scienza, facevano come il veneziano Bragadin, che non dimostrava di saper trasformare i metalli in oro ma viveva nell’oro dando l’impressione di riuscirci veramente, e quindi assumeva un’autorevolezza che gli dava margine per ogni operazione anche truffaldina. .
Interessante e attuale è lo studio dell’immagine che si costruivano i ciarlatani attraverso le parole, con discorsi ricchi di una sconnessa pomposità che mettevano in soggezione gli incolti ed a volte anche i “colti”: ed è qui che conosciamo personaggi che a loro tempo riuscirono a bucare la scena, come, solo per fare qualche esempio, Magno-Cavallo (il Cagliostro di Prussia), Eisenbarth o Leonhard Thurneißer.
È questo il filo rosso che guida il cammino di tutti i ragionamenti: l’analisi del rapporto tra chi inganna e chi si lascia ingannare. E scopriamo che ciarlatani di alto livello, come Cagliostro, riuscivano ad arrivare da “divi” anche nelle corti e negli ambienti più raffinati. Ma facciamo anche una stimolante “affacciata” sugli umori delle masse popolari che accoglievano con fideistico entusiasmo le proposte e le cure dei ciarlatani. Per tutti, basti pensare all’esempio del “medico della luna” Weisleder, che sfruttava i pleniluni per effetti speciali, e soprattutto al medico di montagna Schüppach, che con spettacolari evoluzioni verbali quasi teatrali presentava talismani dai nomi più stravaganti, come «Olio della felicità», «Contro il mostro», oppure semplicemente «Maria Teresa», creando apertamente un mondo parallelo e alternativo rispetto alla scienza ufficiale, che il popolo era ben lieto di irridere, anche perché la considerava un patrimonio dei ricchi e dei potenti. La cosa non dovrebbe meravigliare più di tanto, in questi nostri tempi di pandemia in cui, pur tanto diversi e tanto tecnologici, il «dàgli al virologo e al comitato scientifico e al vaccino» è diventato uno “sport” diffuso e pericoloso.
Tornando agli atteggiamenti “magici” dei dottori ciarlatani, giustamente ricorda la De Francesco che essi, pur ponendosi in posizione “up” per incutere soggezione, riuscivano anche ad essere gioviali ed empatici comunicatori capaci di estrarre dai singoli interlocutori quella base necessaria di energia vitale che serve per curarsi con fiducia e recuperare forze e salute. Insomma, se da una parte sapevano di ingannare e volevano imbrogliare per il loro tornaconto, dall’altra più d’uno di loro aveva intuito quel flusso di reciproca influenza che si genera tra l’anima e il corpo e che oggi è una delle riconosciute fondamenta dell’equilibrio psicofisico. Non a caso già nell’introduzione Di Serio cita la favola di Grillo medico, un contadino di campagna che era assurto agli onori della fama riuscendo a guarire la figlia del re solo facendola ridere.
Il cogliere queste sfumature, però, non toglie nulla all’avversione decisa della De Francesco contro ogni «forma di seduzione manipolatoria», ma aggiunge anche forza alle sue critiche verso atteggiamenti radicali di tipo opposto, cioè verso le forme di pregiudizio che avversano i pregiudizi creando a loro volta forzature pregiudiziali.
Perciò, pur apprezzando le aperture razionalistiche e filoscientifiche dell’Illuminismo, lei ritiene un mezzo fallimento le campagne senza spiragli fatte dai philosophes contro le credenze popolari e gli atteggiamenti tutto fumo degli imbonitori.
Emerge quindi la necessità di una gestione laica ed elastica della conoscenza. Una gestione laica, detto per inciso, che la De Francesco auspicava anche nel modo di affermare la dignità femminile, che non può limitarsi ad un mero asservimento al sesso per provare piacere e capovolgere il rapporto con l’uomo, ma deve estendersi alla ricerca dell’equilibrio naturale tra bisogni, piaceri e doveri.
Sono tanti quindi gli stimoli e le informazioni che vengono fuori da questo volume, in cui per di più va rimarcato un corredo di immagini d’epoca che non sono vallette della trattazione, ma esse stesse comunicanti in proprio per la forza della rappresentazione e spesso anche per la sottile illuminazione della satira.
Insomma, questo libro è un invito ad essere saggi, nel senso ricordato dall’autrice, citando Hofmannsthal, sia all’inizio che in conclusione del libro, cioè possedere uno strato intellettivo ed emozionale di difesa e di attacco per poter trasformare le informazioni e «la realtà in un seconda esistenza più alta», in modo che «nessun imbonitore sia in grado di esercitare la benché minima influenza su noi». E da lì aiutare anche gli altri a partire verso un mondo senza ciarlatani, o almeno di ciarlatani senza potere.
Necessario quindi spostare la qualità dell’asse del potere. Si può? Certo che si può… se no che potere sarebbe?
Commenti non possibili