Cava de’ Tirreni (SA). “Genesi di un complottista in tempo di Covid”: la forza del dubbio contro opposte certezze.

Il libro sarà presentato l’11 gennaio a Palazzo di Città .- Ne parliamo con l’autore, Nicola Pellegrino.


Martedì 11 gennaio, nell’ambito della rassegna “Un libro (quasi) al giorno”, promossa dal Comune di Cava de’ Tirreni – Assessorato alla Cultura, ci sarà un appuntamento decisamente scottante, ma anche molto stimolante.

Sarà infatti presentato il libro “Genesi di un complotti sta in tempo di Covid” (Ed. PAV), scritto dall’ing. Nicola Pellegrino, cavese doc ma attualmente operativo e residente nel Lazio.

Come sempre, a far da spalla all’autore di turno, saranno il conduttore Franco Bruno Vitolo e l’Assessore alla Cultura Armando Lamberti, stavolta coadiuvati dal neopresidente dell’Associazione Giornalisti di Cava de’ Tirreni e Costa d’Amalfi “Lucio Barone” Francesco Romanelli.

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Un saggio senza pregiudizi

Il titolo balza agli occhi ed è tutto un programma. Sarà sicuramente una presentazione calda e partecipata. Proprio per questo sarà da affrontare con apertura mentale e senza pregiudiziali.

Bisogna innanzitutto capire quali sono la genesi e l’assunto di questo saggio.

È necessaria una premessa: qui non la fanno da padroni, come succede oggi, le vaccinazioni, i Provax e i Novax. Questo libro, a modo suo, è già storia, perché racconta dalla parte del comune cittadino il travaglio mentale e umano che ha accompagnato la prima fase della pandemia, quella che va dal marzo 2020 all’aprile 2021, quando il vaccino era entrato da poco nei nostri orizzonti e nelle nostre speranze (o timori), ma non aveva un volto unico o una sua identità.

Proprio perché a modo suo è già storia, il libro assume un suo precipuo interesse, perché, oltre ad essere scritto con lucida chiarezza ed appassionata lucidità, contiene i germi degli elementi essenziali del fare storia, cioè il racconto, l’analisi e la testimonianza.

La chiave del titolo non è nella parola complottista ma nel termine “genesi”. Non si pensi perciò ad uno dei pur diffusi pamphlet che dall’inizio della pandemia si sono sbellicati nella diffusione di teorie negazioniste o nella proclamazione di cure alternative o nascoste o anche nella denuncia di megaoperazioni finanziarie a carattere sanitario con la complicità più o meno consapevole del coronavirus in giro per il mondo…

Si pensi invece all’espressione completa “genesi di un complottista”, con l’autore intende il meccanismo, o uno dei meccanismi, che può aver indotto tante persone a non fidarsi delle verità ufficiali, a sentire i benefici del dubbio e magari a concedere qualche credito a quelle alternative. Partendo da questo assunto, il libro, come afferma il filosofo Diego Fusaro nella sua splendida introduzione, è un intelligente e ben riuscito esercizio di pensiero critico, in perfetta linea con la radice di tutta la filosofia occidentale, che da Platone a Kant, da Talete a Husserl si è fondata su una messa tra parentesi dell’ovvietà del fenomenico, cioè di cio che appare e/o sembra evidente.

In sostanza, il libro è la confessione antidogmatica ed intellettualmente onesta attraverso la quale Nicola Pellegrino racconta il suo passaggio da una situazione prepandemica in cui la vita politica e sociale non gli interessava quanto invece i gol di Ronaldo, ad un interesse diretto per quello che succedeva e che, per effetto della pandemia, lo coinvolgeva in prima persona.

Dopo un periodo di “fideistico abbandono” alle informazioni ufficiali ed istituzionali e la scoperta sia di falle in queste informazioni sia di alcune cose giuste nelle già demonizzate informazioni alternative, ha sentito il dovere di informarsi a trecentosessanta gradi, di cercare di capire e solo allora di fare le sue interpretazioni e le sue scelte, opinabili quanto si vuole ma certamente non indotte da pregiudiziali o da eccessi di propaganda.

Perciò, al termine del suo ragionamento, egli finisce con il definirsi un “complottista moderato”, cioè appartenente alla categoria di coloro che rifiutano gli “opposti estremismi”, cioè la demonizzazione sia delle verità ufficiali politiche e scientifiche sia delle tesi sostenute da chi “non ci sta”.

Per questo motivo il libro, come succede di rado in un mondo di aspiranti maestri, è fatto molto più di domande che di risposte e finisce con il mettere in discussione i metodi usati dalla politica, dalla scienza e soprattutto dai media nelle comunicazioni dei dati e della situazione, salve comunque restando le naturali insicurezze dettate da una situazione assolutamente nuova di fronte alla quale eravamo assolutamente impreparati.

Come tale, Nicola Pellegrino ottiene il suo scopo primario: una confessione “civica”, una pungente provocazione, una costruttiva riflessione.

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Nicola Pellegrino: “Mi sono vaccinato, ma rimango contrario al Green Pass”

Dato che siamo ancora nel pieno della tempesta ed oggi più che al “fare storia” siamo attenti e sensibili rispetto a tutto ciò che riguarda il problema delle vaccinazioni, fermo restando che i problemi di fondo legati ai pregiudizi ed all’informazione restano immutati, per cogliere meglio il senso di questo saggio viene spontanea l’esigenza di sapere qual è la posizione di Nicola Pellegrino sulle questioni più attuali. Lo abbiamo chiesto direttamente a lui.

Allora, Nico, la prima curiosità da chiarire è scontata. Sei vaccinato?

Sì, mi sono vaccinato.

Vaccinazione convinta?

Ho usato il metodo del confronto già evidenziato nel mio libro. Da ignorante in materia ho ascoltato entrambe le campane sui vaccini, spacciate per contrastanti ma in realtà complementari, e ho scelto, liberamente, di vaccinarmi, accettandone i rischi, sia reali sia potenziali.

E cosa pensi di coloro che rifiutano il vaccino?

Coerentemente con quanto ho testimoniato, non li giudico, non li demonizzo e comunque li rispetto.

Ritengo che la scelta di non vaccinarsi sia rispettabile, capisco che la si possa considerare non condivisibile, ma ciò non toglie che sia rispettabile.

I motivi per cui si sceglie di non vaccinarsi possono essere molti, che svariano da quelli più complottisti a quelli più prettamente di salute individuale, non dimenticando la semplice paura per un qualcosa che per certi versi è ancora nuovo e sotto osservazione (la scienza non sempre è infallibile così come le case farmaceutiche non sempre sono integerrime, si veda, ad esempio, il caso Thalidomide).

Io personalmente sono ideologicamente contrario agli obblighi vaccinali perché ritengo che violino il principio dell’habeas corpus. Ritengo insomma che la libertà di scelta individuale sia un diritto da tutelare al pari della tutela della salute pubblica.

Però la salute pubblica è messa ulteriormente in discussione proprio da coloro che non sono vaccinati…

La scelta di vaccinarsi implica l’accettazione di un rischio, se pur statisticamente ad oggi minore, certo (in quanto nel vaccino ci vai a sbattere di proposito) al fine di mitigare un rischio, se pur statisticamente maggiore, potenziale (in quanto il Covid ti capita per caso).

È così assurdo preferire un rischio maggiore non certo ad uno minore certo?

In questo caso però parliamo non di scelte singole, ma di responsabilità verso la collettività…, che è fatta di singole persone che possono essere più facilmente danneggiate da un non vaccinato che da un vaccinato.

Questo rimane ancora da dimostrare, ma non si può negare che la questione del rapporto con la collettività sia un nodo da affrontare e da sciogliere. E anche qui è importante porsi delle domande prima di dare delle risposte.

Da un punto di vista collettivo le cose cambiano, ma intervengono dinamiche soggettive a cui non è possibile fornire la risposta “giusta”.

Io però chiedo: fino a che punto la collettività può scavalcare l’individuo?

Se la maggioranza preferisse non vaccinarsi, di quale collettività staremo parlando?

La retorica de “la tua libertà finisce dove inizia la mia” sbandierata dal mondo provax si scontra esattamente alla pari con la libertà del mondo novax: la libertà del provax di voler ridurre il suo rischio covid finisce dove inizia la libertà del novax di non voler correre il rischio vax.

Però si fa correre il rischio Covid…

Secondo questa stessa dialettica potrei dire di voler abolire le automobili perché “la tua libertà di voler girare in auto finisce dove inizia la mia di voler girare a piedi in piena sicurezza.”

Però io posso andare in giro dove non ci sono automobili, mentre non posso andare dove con certezza non ci sono i virus…

Era solo un paradosso dialettico, sul quale comunque, per la mia etica del dubbio, si può sempre discutere. In ogni caso rimane un punto fermo. Trovo intollerabile, inaccettabile e ingiustificabile il clima d’odio, l’ordine del discorso e la discriminazione di cui sono vittima i cosiddetti novax, perseverato tanto dai politici e dai giornalisti quanto dai social e dai nostri stessi vicini di casa. E il green pass ne è la dimostrazione:

è stato propagandato dalla politica come uno strumento sanitario,

quando sanitario non è, ma di natura essenzialmente politica. Una pressione non diversa da un ricatto.

E se al posto del green pass ci fosse l’obbligo vaccinale, come piano piano si sta decidendo?

Non mi piacerebbe lo stesso, ma sarebbe meno ipocrita e indecente, comunque preferibile ad un obbligo surrettizio, veicolato alla firma di un consenso informato volontario che di volontario, in certi casi, non ha nulla. Con l’obbligo la responsabilità dello Stato obbligante diventa chiara e diretta, non trasferita al cittadino costretto ma non obbligato.

Quindi vedresti meno forzato l’obbligo che il green pass?

Il Green Pass, venduto come strumento di libertà, altro non è che la certificazione di una libertà autorizzata. Va da sé che libertà autorizzata è un ossimoro. Per di più, dal momento che è autorizzata, diventa anche revocabile a piacimento dall’ente certificatore. Il principio del Green Pass apre a scenari di deriva autoritaria e controllo di cui sarebbe opportuno considerare a fondo i rischi.

Ma, in base a quanto detto sopra, resta ferma la mia radicale contrarietà al Green Pass, in ogni sua modalità, e lo sono ancor di più per le forme ricattatorie e discriminatorie che ha assunto.

Capisco la dialettica del tuo ragionamento, ma continuo a pensare che la dialettica è una cosa, le difficoltà da affrontare sono un’altra cosa. E per di più la strada che stiamo percorrendo non è certo lineare, anzi è una giungla in cui ogni metro si deve conquistare col machete. E bisogna comprenderne le responsabilità anche per ciò che riguarda le scelte sanitarie e politiche.

Posso anche essere d’accordo, ma io ci aggiungerei anche le scelte individuali…

Sempre con la voglia di ragionarci sopra senza pregiudizi?

Ci mancherebbe! Altrimenti per quale motivo avrei scritto il libro?


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