Un consiglio di lettura per questi giorni d’estate. Tre libri di poesia a firma di tre importanti poeti Luigi Amendola, Fabio Dainotti, Mario Rondi.
Luigi Amendola, romano con origini campane, poeta, scrittore e autore teatrale scomparso, purtroppo, a soli quarantasei anni nel 1997. Preziosa la Sua amicizia e l’incondizionata stima per l’Uomo e l’Intellettuale raffinato. A Lui è legato anche il nome di Cava e del Premio Badia del 1994: fu uno dei cinque finalisti con il libro Carteggio del rancore (Mancosu Editore, 1993). Non risparmiò lodi alla nostra città e ai suoi magnifici portici ” sembra di stare a Bologna”. Mi promise che sarebbe ritornato, ma ahimè …
da Luigi Amendola Lettera a Telemaco, Bizzarro Books, Giugno 2023
Marzo è di tiglio che confonde
i viali abrasi al transito,
gli scrosci improvvisi, la luce.
In questa prima vera stagione
che di mimose e azalee profuma
le stanze, il cuore sa intuire,
oltre la sua parvenza velata,
quell’attesa di feria solare,
chimera alla risacca marina.
Una ricerca metrica “danzante”, elegante, dolcemente velata in giochi di rime al mezzo e guizzi di sospese inarcature. Estrema raffinatezza di stilemi che si contorcono e si abbracciano ora togliendo il respiro ora donando essenze vitali al sogno, ecco “ i viali abrasi al transito” in un mese di Marzo che ha nel tiglio l’emblema della sua ambiguità e così tra “scrosci improvvisi”, eccoti la luce. Non è forse marzo l’inizio di ogni viaggio, di ogni divenire? “ Tempo era dal principio del mattino; / E il Sol montava in su con quelle stelle/ Ch’ eran con lui, quando l’amor divino/ Mosse da prima quelle cose belle “ ( Dante, Inferno Canto I° , VV 37/40). Sembrerebbe, quindi, che con il segno dell’Ariete, giunga la sospirata primavera, ma neppure una consolidata consuetudine salva l’eterno dubbio del poeta, che domanda e si domanda e poi risponde e si risponde. Ed ecco che, per il poeta, giunge la “prima vera stagione “ non la primavera, una delle quattro stagioni dell’anno, ma la prima vera stagione dell’anno, della giovinezza, della vita stessa. E’ un canto non ostentato né celebrato, è un canto intimistico, dove il profumo delle mimose e delle azalee si rintana nelle stanze (l’uso dell’inarcatura è esemplare: perfetta sospensione che detta il tempo dell’attesa dell’arrivo del profumo nelle stanze). Non può il poeta non sentire sin dal profondo questo arrivo, questo messaggio di luce e profumi: ecco, il cuore sa intuire, il cuore che va al di là del mutevole e della parvenza velata” (come di leggera foschia primaverile), messaggero di una prossima esplosione di estate, di attesa di feria solare, ma il tutto appare malinconicamente solo parvenza, solo una chimera, un sogno primaverile, nel difendersi dal sopraggiungere del mancato abbraccio del mare “risacca marina”. Emblema della disillusione che accompagna il cammino dell’uomo nella sua breve stagione di vita.
Bimba
Veste una seta azzurra che la brezza, entrando
dalle finestre e dalle tende, agita.
Fuori una grande pace è nel giardino.
Solo una bimba gioca
sul ghiaino celeste tra le aiuole
di ortensie e di gerani, tra ombra e sole.
Agli uccelletti, cui sue miche tira,
parla; e s’adira.
Agropoli 1964
da Fabio Dainotti L’albergo dei morti Manni, ottobre 2023 pp.185 euro 18,00
L’albergo dei morti, quasi opera omnia di questo importante poeta nato a Pavia nel 1948 e residente da molti anni a Cava. Libro prezioso e fondamentale per uno studio del suo percorso poetico iniziato fin da giovanissimo. Non a caso, ho scelto questa lirica scritta quando il poeta era poco più che adolescente a testimonianza di una precoce maturità di scrittura. A uno sguardo disattento e frettoloso sarebbe facile etichettare “Bimba” come una breve poesia “quadrettistica” fine a se stessa: una bambina che gioca in un giardino. Ma, a ben guardare ecco che vi si scopre un articolato intreccio ritmico frutto di un sapiente uso di figure retoriche sia di suono sia di ordine sia di significato. Rappresentazione “pittorica”, inizialmente, di due piani contrapposti eppur contigui nell’assenza/presenza di una bimba. I primi due versi sono caratterizzati da un ripetuto intreccio dal ritmo assonantico: dall’incipit Veste/finestre/tende con al centro azzurra/brezza. Chiude il suono cupo: agita contrapposto subito a Fuori è pace dell’inizio del terzo verso. Ecco la protagonista: la vediamo, è una bimba che, con una gran pace del giardino, gioca (in antitesi con l’agitarsi della brezza). Stati emozionali diversi e contrapposti. L’intreccio ritmico si fa più sostenuto ancora: giardino- in rima al mezzo- è in relazione con ghiaino così celeste con veste del primo verso con vibrante rima baciata negli ultimi quattro versi: aiuole/sole e tira/s’adira. Il tutto, ad una lettura disattenta, come detto, apparirebbe da quadretto semplicistico quasi banale: una bimba gioca in un giardino fiorito e intanto lancia briciole agli uccelletti, ma, ecco in chiusura lo scatto del poeta: la bimba s’adira. Simbiosi assonantica con l’agitarsi della brezza del secondo verso. Uno scoppio improvviso che rompe l’incantesimo elegiaco. Non tutto è vero, non tutto è pace, quasi quadretto panistico, la bimba s’adira. Perché? Con chi s’adira? È il dettato impressionistico lirico dell’afflato poetico che non dà risposte rassicuranti ed esaustive, ma spinge alla ricerca del misterioso fare, del misterioso vivere dell’uomo anche nell’ apparente, scontata azione del vivere quotidiano, come di una bimba in un giorno di sole che mentre lancia briciole di pane agli uccellini, si adira.
“Il poeta che canta gli ortaggi” Questo il titolo di un video che la Rai, per l’Expo 2015, dedicò al poeta bergamasco Mario Rondi intervistandolo presso il suo rifugio, una baita in alta montagna dove ama rifugiarsi e scrivere oltre a coltivare un ampio orto giardino motivo ispiratore dei suoi versi. “L’orto è per me l’emblema della scrittura e della poesia”; il mio è uno “zappare con le parole”. Rondi, autorevolmente, s’inserisce in un’antica tradizione di poeti che cantano l’umanità attraverso un mondo in cui frutti, ortaggi, fiori hanno pregi e vizi degli uomini. Si pensi al poema in lingua napoletana di Francesco Antonio Nunziante “Le piante pensanti” (1823) che rifacendosi a Esopo aspirava a esporre il suo “morale sapere” attraverso i “vegetanti” o ad alcuni poeti come Totj Scaloja, Vito Riviello o Nico Orengo. Un genere di poesia, sottilmente ironica, particolare, che oggi non trova, purtroppo, molti estimatori. Ma si farebbe un grave torto a Rondi etichettarlo come “Il poeta che canta gli ortaggi” come un autore dalla “voce” limitata e limitante: è per questo che ho scelto, dalla sua voluminosa Opera Omnia, una lirica dalla cifra poetica illuminante.
Passaggio
( in ricordo di Padre Turoldo)
Qualcosa d’indistinto, un riflesso
nell’onda, il riverbero di un sogno
sulle acque viaggiava genuflesso
nella calda preghiera con bisogno
d’attestare, non visto, il permesso
di passare radente il cotogno
come segno fugace di speranza
nel cuore che prepara la sua danza .
da Mario Rondi Poesie e Prosa, volumi 4, Genesi Editore, aprile 2023, pp. 2.608, Euro 160,00
Schema classico: versi endecasillabi divisi in tre strofe, prime due terzine e distico finale. Rima ABA /BAB/ C/C. Nell’incipit contraddistinto da un alone di indeterminazione “ Qualcosa d’indistinto”, subito si palesa, attraverso “un riflesso nell’onda”, la rifrazione, il bagliore di un dato nel riverbero della luce sull’acqua mutevole e fragile come frutto di un sogno che fa comparire senza esplicitarla la figura di Turoldo: genuflesso in preghiera con l’ardente desiderio, anzi il bisogno di oltrepassare silenziosamente quasi come ombra il mondo naturale qui rappresentato da un albero di cotogno, “passare radente il cotogno” con nel cuore “ il segno fugace di speranza”. E la Natura, res naturalia, così care al poeta Rondi, a fare da cornice, interpreti eppure modeste e discrete nel loro ruolo di compartecipi dell’intero Creato. Nulla è certo nel disegno divino, ma d’aiuto è ben forte la speranza covata in cuore per l’agognato anelito finale.
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