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redazione | 12 Luglio, 2018
Cari ragazzi che volete un mondo senza criminalità
Nell’anniversario dell’attentato, una prof ricorda Borsellino ai giovani di buona volontà
CAVA DE’ TIRRENI (SA). Mi occupo da molti anni di Educazione alla legalità presso il Liceo Scientifico ‘Genoino’, un progetto didattico che fa parte integrante del DNA dell’Istituto e che ha favorito incontri ad altissimo tasso di interesse con personaggi simbolo a livello nazionale, tra cui Maria Falcone, Antonio Di Pietro, Gherardo Colombo. E tante sono state le produzioni creative: tra tutte, il cortometraggio Pallottolina, che una quindicina di anni fa a Marano vinse il Primo premio e il riconoscimento fu consegnato personalmente da Rita Borsellino, sorella di Paolo, generando una tempesta di emozioni e di stimoli. E poi, il viaggio a Palermo fino all’Albero Falcone con la nave della legalità… E poi, tante altre iniziative, mirate a fare in modo che gli ideali dei “grandi” come Falcone e Borsellino camminino veramente con le gambe delle nuove generazioni.
L’idea di scrivere questo articolo mi è venuta dopo aver partecipato di recente a due eventi molto significativi per la nostra città: la manifestazione ‘A testa alta’ , svoltasi presso il mio Liceo, e l’incontro al Bar Libreria “Rodaviva” con il diciassettenne Vittorio Vavuso per la presentazione del suo romanzo ‘Padre camorra’. Questi due eventi mi hanno fatto comprendere che i nostri giovani vogliono essere protagonisti, vogliono analizzare e capire eventi anche oscuri della nostra storia passata e recente. Io, come cittadina e soprattutto come prof., ho sentito il dovere di raccontare alle nuove generazioni uno di questi fatti, la condanna a morte del giudice Paolo Borsellino.
Sono trascorsi ventisei anni dal tragico attentato in cui perse la vita il giudice Paolo Borsellino, insieme ai coraggiosi agenti della sua scorta. Ventisei anni di dolore , di mistero, di rabbia per una morte annunciata che nessuno ha saputo o voluto impedire. Tra il 23 maggio e il 19 luglio 1992, in quei cinquantasette giorni che separarono le stragi di Capaci e Via D’Amelio, in Italia la fiducia nelle istituzioni venne messa a dura prova. Una parte di Paolo Borsellino morì insieme a Falcone. Lui stesso chiamava Giovanni Falcone ‘la mia assicurazione sulla vita’. Dopo il 23 maggio il giudice capì che il prossimo sarebbe stato lui.
Il 19 giugno 1992 il generale dei carabinieri Antonio Subranni, comandante del ROS, invia un rapporto al comando generale dei carabinieri in cui sottolinea che numerose fonti , mafiose e non, hanno riportato la decisione di Cosa Nostra di uccidere Paolo Borsellino.
Il 28 giugno presta giuramento il governo Amato: ministro della Giustizia Claudio Martelli, alla Difesa Salvo Andò, al Viminale Nicola Mancino. Di ritorno da Bari, a Fiumicino Paolo Borsellino viene raggiunto dal ministro Andò che gli comunica dell’informativa del ROS, spedita anche alla Procura di Palermo. Possibili bersagli di Cosa Nostra sarebbero, oltre al giudice, lo stesso ministro Andò e il PM di Milano Antonio Di Pietro. Paolo Borsellino non sa assolutamente nulla di questa informativa, il procuratore Pietro Gianmanco non gli ha comunicato nulla.
Il 29 giugno Borsellino si precipita nell’ufficio di Gianmanco, è indignato, vuol capire perché nessuno lo abbia informato. Gianmanco farfuglia delle giustificazioni incomprensibili, sa che nulla potrà mai giustificare il suo comportamento. Paolo Borsellino è ormai un Dead man walking, un uomo morto che cammina, lo Stato lo sa , i suoi colleghi lo sanno, ma nessuno muove un dito per evitare questo tragico evento.
Antonino Caponnetto ha più volte raccontato l’ultimo straziante incontro con Paolo. “Lo salutai e gli dissi : ‘Arrivederci a presto’. Paolo mi rispose:’ Sei sicuro, Antonio, che ci rivedremo?’ Allora mi abbracciò con una forza che mi fece male, come a non volersi distaccare, come a volere tenere avvinto qualcosa di caro e portarselo via. Ecco, lì ho sentito che quello era l’addio di Paolo.”
Agnese Borsellino ha ricordato che negli ultimi tempi suo marito usciva da solo per comprare le sigarette o il giornale, come se volesse mandare un messaggio ai suoi carnefici, perché lo uccidessero quando lui era solo e non quando si trovava con i suoi angeli custodi.
Il 30 giugno Paolo Borsellino inizia a verbalizzare le dichiarazioni del pentito Leonardo Messina che evidenziano con chiarezza lo stretto rapporto esistente in Sicilia tra mafiosi, politici ed imprenditori.
Il 1° luglio interroga il pentito Gaspare Mutolo. Dall’agenda grigia del giudice risulta che alle 15 sarebbe stato alla Dia per interrogare il pentito; alle 18.30 avrebbe avuto appuntamento con il Capo della Polizia Parisi e alle 19.30 con il Ministro degli Interni Mancino. Il pentito racconta che il giudice ritornò talmente sconvolto dall’incontro al Viminale ‘da mettere in bocca contemporaneamente due sigarette’: probabilmente non incontrò Mancino ma Bruno Contrada e lo stesso Parisi.
Il resto della storia,purtroppo, è noto a tutti. Paolo Borsellino dichiarò pubblicamente: ‘Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri’.
Gli ultimi giorni di vita del giudice furono tesi e febbrili. Due giovani colleghi lo videro piangere. Disteso sul divano, mentre le lacrime gli bagnavano il volto disse. ‘ Non posso pensare che un amico mi abbia tradito’. Dopo tanti anni quelle parole forse hanno trovato un senso. In questi ultimi giorni i giudici della Corte d’Assise di Caltanissetta hanno depositato le motivazioni della sentenza del processo Borsellino quater: milleottocentocinquantasei pagine, un lavoro minuzioso che dimostra senza ombra di dubbio che le indagini sulla strage di via D’Amelio furono depistate da uomini delle istituzioni. In queste ore il funzionario di polizia Mario Bo e gli agenti Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo sono stati rinviati a giudizio con l’accusa di calunnia in concorso: avrebbero confezionato una verità di comodo sulla fase preparatoria dell’attentato, costretto il finto pentito Vincenzo Scarantino a fare nomi e cognomi di persone innocenti , determinando, inoltre, la sparizione della famosa agenda rossa del giudice. Una ricostruzione, seppur sintetica, di questa amara vicenda era necessaria, per ricordare che servitori infedeli dello Stato, mossi da ‘un proposito criminoso’, esercitarono in modo distorto il loro potere.
Caro Paolo, la tua onestà è stata la tua condanna. Avevi paura di essere ucciso, eri straziato dall’idea di lasciare i tuoi bellissimi figli e la dolce Agnese, ma hai continuato anche senza il tuo amico Giovanni a combattere, a lavorare freneticamente, perché eri vicino alla verità. Su quell’agenda rossa probabilmente erano annotati i nomi dei traditori dello Stato, la loro pubblicazione sicuramente avrebbe provocato un terremoto politico di inaudite proporzioni. Così non è stato, ma non dimentico che tu, Giovanni, i ragazzi della scorta siete morti per noi , che abbiamo un grande debito di riconoscenza nei vostri confronti e che, seppure non possiamo riportarvi in vita, possiamo onorarvi ogni giorno facendo il nostro dovere, rispettando le leggi, agendo con onestà, tenendoci a debita distanza da piccole e grandi forme di corruzione. Solo questo possiamo e dobbiamo fare con coraggio per tenervi vivi e per essere degni del grande messaggio di impegno civile che ci avete lasciato. (Angela Di Gennaro)
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Tags: borsellino, genoino, legalita
redazione | 26 Febbraio, 2014
CAVA DE’ TIRRENI (SA). Urlino tutte le ingiustizie del mondo! La lezione di Falcone e Borsellino in “Quando avevo 20 anni “ di Ettore De Lorenzo, presentato al Rodaviva
Metereologicamente parlando la serata non promette bene. Arriviamo con una leggera pioggerellina che in breve peggiora decisamente. Ma, al Rodaviva caffè, l’atmosfera è decisamente più calda. C’è un libro da presentare, con l’organizzazione dei proprietari dell’originale libreria-bar e della MTN Company. Una chitarra comincia a scaldare le corde, la copertina del libro ricorda pagine di giornali che titolavano della morte di due grandi della nostra storia. Falcone e Borsellino. Due nomi che riempiono più di una sala di un caffè, più di una cittadina, molto di più.
Il libro, ispirato all’anniversario delle stragi di Capaci e via D’Amelio, è Quando avevo 20 anni del giornalista RAI Ettore De Lorenzo (ed. Isola dei ragazzi) – Interviste, riflessioni, ricordi su Falcone e Borsellino, con prefazione di Salvatore Borsellino.
Vedo l’autore per la prima volta e scopro che abbiamo la stessa età e forse gli stessi ricordi. Si sistema vicino al chitarrista Davide Munno, pronuncia le prime parole e la musica parte. Lui legge di un viaggio in autostrada, la chitarra ti ci porta. È la prima cosa bella che colpisce. Un modo intimo di raccontare quelle che sono sensazioni e pensieri. L’unione di due mondi che spesso camminano insieme e una nota racconta momenti meglio della sola memoria. Legge, e noi ascoltiamo testimonianze, emozioni, di chi ricorda dov’era e cosa hanno significato quelle morti. La grandezza di chi ha voluto vivere una vita fatta di rettitudine. Non sapevano che sarebbero diventati eroi, sapevano che volevano essere uomini, uomini veri. Di quelli che possono guardare i figli negli occhi, di quelli che possono camminare a testa alta, di quelli che non possono essere uccisi. Ci sono esempi di vita che nemmeno quintali di tritolo possono distruggere.
Ma questo libro cerca qualcosa di più: “Se Falcone e Borsellino fossero qui, non vi direbbero venite con noi, fate come noi. Piuttosto vi esorterebbero a cercare la vostra strada”.
Credo che questo pensiero diventi il tema portante per l’autore. Quando si deve scegliere una strada bisogna avere dei sogni, ma anche la forza per realizzarli; bisogna avere fiducia e trovare chi la fa nascere in te; bisogna trovare dei maestri anche quando non si è necessariamente seduti in un banco di scuola. E allora si alza forte la voce “Urlino tutte le ingiustizie del mondo”, un motto, un ricordo continuo per spingerci a lottare contro tutto ciò che ci rende schiavi senza catene. La libertà di pensare e appunto scegliere. In questo compito che a volte sembra quasi impossibile, tutti noi abbiamo un ruolo: essere insegnanti: “Tutti possono essere maestri” – dice Patti Smith – “ma bisogna assumersi la responsabilità di esserlo”. È tutto qui. Molto semplicemente rendersi conto del fatto che in ogni momento della nostra vita siamo guardati da qualcuno che ci prende ad esempio. Per essere sempre all’altezza di questo ruolo, dobbiamo fare del nostro meglio. Questo non significa essere la persona di grido, la star del momento, no; solo essere persone responsabili. Rendersi conto che stiamo vivendo la nostra vita e che, in questo compito unico, niente va sprecato.
In questo libro ci sono tantissimi spunti, non basterebbe una recensione a coglierli tutti, dalla “generazione cerniera “ all’incapacità di fare completamente nostre le fortissime emozioni che la “scatola magica” di casa propone a getto continuo. Perché basta un click per far sparire tutto e ritornare al quotidiano. Questo spreco di emozioni ci svuota, ci allontana da quelle che sono le sensazioni reali: e ci separiamo dai nostri figli, dai nostri amici, per inseguire qualcosa che non è reale. E in questa corsa perdiamo la nostra essenza.
Ciò che mi rimane, anche dopo due giorni di appunti buttati qua e là, non è tanto lo stile, il modo nuovo di impaginare il testo, ma la voglia profonda di non essere inutile, di dare un senso a un’esistenza.
E questo diventa possibile solo quando, in quello che fai, metti tutto il meglio di te.
(Paola La Valle)
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