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Un Senato scelto dal potere, una Costituzione maltrattata, io voto NO, con convinzione. Storia della Costituzione Italiana.

Il Capo dello Stato, Enrico De Nicola, firma la Costituzione italiana. 27 dicembre 1947

Il Capo dello Stato, Enrico De Nicola, firma la Costituzione italiana. 27 dicembre 1947

Il 4 dicembre è un giorno caro alla mia tradizione familiare, perché è la festa di Santa Barbara, protettrice del fuoco, e quindi anche dei marinai.
Mio padre, “marinaio per un giorno, marinaio per sempre”, ci ha trasmesso un sacro rispetto per questo giorno.
Il 4 dicembre, quest’anno, saremo chiamati ad esprimere il nostro assenso o dissenso rispetto la Riforma Costituzionale, approvata dal Governo la primavera scorsa.
Non ce l’abbiamo con Renzi ma da liberi cittadini, giudichiamo il suo/loro operato a prescindere: l
a Riforma Costituzionale NO.
Non abbiamo remore a dichiarare il nostro convinto NO. Non per questo mi devo sentire cucire addosso un’infinità di aggettivi denigrativi della mia persona!
Secondo noi è sufficiente un po’ di buonsenso e di onestà intellettuale per riconoscere che questa legge non va. Il Governo avrebbe potuto spacchettare i quesiti, cioè invece di presentare in blocco la riforma, avrebbe potuto suddividere i quesiti. Non l’ha fatto.
Perché?
Perché 47 quesiti, 47 schede sarebbero state veramente troppe per un referendum. Ma tanti sono gli articoli modificati della Costituzione. Già quest’aspetto ci fa pensare che non ci troviamo di fronte ad una modifica, ma alla revisione di un terzo della nostra Carta fondamentale. E già non condividiamo questo particolare di non secondaria importanza.
Ovviamente non ci soffermeremo su ogni articolo, sarebbe “disumana” una lettura simile, per chi non fa il politico! Giacché non hanno spacchettato, ne guarderemo solo su “un particolare” che proprio non va giù e che induce a bocciare tutta la riforma.
Non si potranno più eleggere i nuovi senatori. Mica solo io … Tutti noi cittadini!
Non saremo noi a scegliere i nuovi senatori, ma saranno alcuni nominati dal Capo dello Stato e gli altri scelti, non si sa come, tra i consiglieri regionali (74) e tra i sindaci (21).
Non voglio neppure considerare il cumulo di cariche e le eventuali (e ci sono!) incompatibilità che ne derivano.
Non vogliamo neppure considerare che, per molti consiglieri regionali e sindaci, sarebbe un toccasana entrare in Senato e ottenere l’immunità parlamentare.
Non vogliamo neppure considerare che, in caso di decadenza o commissariamento di un consiglio regionale o di un consiglio comunale, non si capisce se i nominati interessati restino o decadano a loro volta, se vengono sostituiti, se …
Non vogliamo neppure considerare che dovremo sostenere vitto e alloggio per questi nuovi senatori, provenienti da ogni dove d’Italia.
Ci soffermiamo su questo “piccolo particolare”: non saremo io a votare, a scegliere chi deve parlare anche per rappresentarci. I nuovi senatori saranno nominati a immagine e somiglianza del governo, e non ci sta bene.
Già il verbo nominare fa rabbrividire e ci riporta lontano nel tempo. Prefetti, governatori provinciali, podestà erano tutti di nomina politica.
In molti osservano che i senatori fino ad oggi eletti non corrispondevano mai alla scelta dei cittadini, ma ai calcoli partitici, insomma sempre eletti i primi di una lista! Posso ribattere che comunque votavo, comunque sceglievo …
Anche il consiglio provinciale è stato sciolto, e ancora non sappiamo a chi compete la coltivazione dell’orto botanico lungo la Statale 18, ma sappiamo che è stato nominato un consiglio che non ha potere d’intervento sul territorio e che la macchina provinciale non c’è più.
I consiglieri provinciali vengono eletti da sindaci e consiglieri comunali. Sappiamo pure che secondo la nuova legge regionale sul servizio idrico, sarà l’Ente Idrico Campano, costituito da sindaci eletti dai consigli di distretto, deputato alla gestione dell’acqua.
Insomma istituzioni eleggono istituzioni e poi dicono di rappresentare i cittadini. Di questo passo toglieranno anche la sovranità popolare dalla Costituzione!
Ma quello che più è indigesto è l’approccio casareccio che, rappresentanti autorevoli di noi cittadini, stanno manifestando avere con la nostra Carta Costituzionale. Avete letto bene: casareccio.
Ribadisco il concetto fondamentale: la Costituzione è la bibbia laica di tutti gli Italiani.
Quindi è letteralmente sacra e nutriamo il massimo rispetto per la Carta. Il che non equivale a non rivederla o non ammodernarla, però in modo chiaro e condiviso.
Il Presidente del Consiglio non può presentarsi in una pubblica trasmissione e svilire la Carta.
E ci riferiamo all’intervista di Fazio al Primo Ministro, in “Che tempo che fa” del 13 novembre scorso.
All’osservazione di Fazio relativa alla nomina dei nuovi senatori, Renzi rispondeva che si tratta di un falso problema, che riguarda la legge elettorale, non già la riforma costituzionale.
Dopo il 4 dicembre si può intervenire su una nuova legge elettorale. Ma una legge ordinaria non può modificare quella costituzionale.
Ma allora, dopo la nuova legge elettorale bisogna cambiare un’altra volta anche la Costituzione?
Visto che questa riforma sancisce la nomina e non l’elezione …
A questo punto la Costituzione diventa una bazzecola, una quisquilia!!!

Con convinzione votiamo NO.

(Patrizia Reso)


La Costituzione della Repubblica Italiana è la legge fondamentale della Repubblica italiana, ovvero il vertice nella gerarchia delle fonti di diritto dello stato italiano.

Approvata dall’Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947 e promulgata dal capo provvisorio dello stato Enrico De Nicola il 27 dicembre seguente, fu pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 298, edizione straordinaria, del 27 dicembre 1947 ed entrò in vigore il 1º gennaio dell’anno successivo, il 1948. La Costituzione Italiana consta di 139 Articoli e relativi Commi.

La nascita della repubblica e l’assemblea costituente.

Dopo la cessazione delle ostilità, fu indetto il referendum per la scelta fra repubblica e monarchia (2 giugno 1946) che sancì la nascita della Repubblica Italiana..

Dopo sei anni dall’inizio della seconda guerra mondiale e venti anni dall’inizio della dittatura, il 2 giugno 1946 si svolsero contemporaneamente il referendum istituzionale e l’elezione dell’Assemblea Costituente, con la partecipazione dell’89% degli aventi diritto. Il 54% dei voti (più di 12 milioni) fu per lo stato repubblicano, superando di 2 milioni i voti a favore dei monarchici (che contestarono l’esito).

L’Assemblea fu eletta con un sistema proporzionale e furono assegnati 556 seggi, distribuiti in 31 collegi elettorali.

Il meccanismo elettorale dell’Assemblea Costituente era proporzionale a liste concorrenti in 32 collegi elettorali plurinominali. La legge elettorale prevedeva l’elezione di 573 deputati, ma le elezioni non si poterono svolgere nelle province di Bolzano, Trieste, Gorizia, Pola, Fiume e Zara.

Risultarono quindi eletti, in seguito alle elezioni, 556 costituenti.

I lavori della Costituente avrebbero dovuto avere una durata di otto mesi, con una possibile proroga di non oltre quattro mesi. Tale termine era a contarsi dalla prima seduta del 25 giugno 1946 e scadeva, quindi, il 24 febbraio 1947. Si fece allora uso della facoltà di proroga con legge costituzionale e il termine fu spostato al 24 giugno del 1947. Il nuovo termine si rivelo comunque insufficiente e una nuova legge costituzionale approvata dalla stessa Assemblea Costituente lo spostò ulteriormente al 31 dicembre 1947.

Un’ulteriore proroga fino al 31 gennaio del 1948 era contenuta nella XVII disposizione transitoria e finale della Costituzione, ma limitatamente all’emanazione della legge sulla stampa, degli Statuti regionali speciali e della legge elettorale per il Senato della Repubblica e fino alla prima riunione delle nuove Camere in altri casi.

L’Assemblea nominò al suo interno una Commissione per la Costituzione, composta di 75 membri, incaricati di stendere il progetto generale della costituzione. La Commissione si suddivise a sua volta in tre sottocommissioni:

  1. diritti e doveri dei cittadini, presieduta da Umberto Tupini (DC);
  2. organizzazione costituzionale dello Stato, presieduta da Umberto Terracini (PCI);
  3. rapporti economici e sociali, presieduta da Gustavo Ghidini (PSI).

Un più ristretto Comitato di redazione (o Comitato dei diciotto) si occupò di redigere la costituzione, coordinando e armonizzando i lavori delle tre commissioni. La Commissione dei 75 terminò i suoi lavori il 12 gennaio 1947 e il 4 marzo cominciò il dibattito in aula del testo. Il testo finale della Costituzione della Repubblica Italianafu definitivamente approvato il 22 dicembre e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 27 dicembre 1947.

Ora i partiti del Comitato di liberazione nazionale cessarono di considerarsi uguali, e si poté constatare la loro rappresentatività. Dominarono le elezioni tre grandi formazioni: la Democrazia Cristiana, che ottenne il 35,2% dei voti e 207 seggi; il Partito socialista, 20,7% dei voti e 115 seggi; il Partito comunista, 18,9% e 104 seggi. La tradizione liberale (riunita nella coalizione Unione Democratica Nazionale), protagonista della politica italiana nel periodo precedente la dittatura fascista, ottenne 41 deputati, con quindi il 6,8% dei consensi; il Partito repubblicano, anch’esso d’ispirazione liberale ma con un approccio differente nei temi sociali, 23 seggi, pari al 4,4%. Mentre il Partito d’Azione, nonostante un ruolo di primo piano nella Resistenza, ebbe solo l’1,5% corrispondente a 7 seggi. Fuori dal coro, in opposizione alla politica del CLN, raccogliente voti dei fautori rimasti del precedente regime, c’è la formazione dell’Uomo qualunque, che prese il 5,3%, con 30 seggi assegnati.

Giorgio La Pira sintetizzò le due concezioni costituzionali e politiche alternative dalle quali si intendeva differenziare la nascente Carta, distinguendone una “atomista, individualista, di tipo occidentale, rousseauiana” ed una “statalista, di tipo hegeliano”. Secondo i costituenti, riferì La Pira, si pensò di differenziarla nel principio che per il pieno sviluppo della persona umana, a cui la nostra costituzione doveva tendere, era necessario non soltanto affermare i diritti individuali, non soltanto affermare i diritti sociali, ma affermare anche l’esistenza dei diritti delle comunità intermedie che vanno dalla famiglia sino alla comunità internazionale. 

I lavori dovevano terminare il 25 febbraio 1947 ma la Costituente non verrà sciolta che il 31 gennaio 1948, dopo aver adottato la Costituzione il 22 dicembre con 458 voti favorevoli contro 62 contrari. La Costituzione fu promulgata il 27 dicembre di quell’anno ed entrò in vigore il 1º gennaio 1948.

Referendum del 17 aprile: l’invito al voto di Legambiente

CAVA DE’ TIRRENI (SA). «Gli economisti hanno costruito un modello di sviluppo sulla falsariga della meccanica di Newton»: questo uno dei lievmotiv della battaglia contro un sistema ancora fortemente incentrato sullo sfruttamento delle risorse fossili. Un mondo in cui nulla si crea e nulla si distrugge ma in cui ci s’imbatte nel paradosso della pretesa di una crescita infinita su un pianeta con tutti i limiti del “finito”. Per cui, ferma restando l’esistenza del suddetto principio di conservazione, è anche vero che la seconda legge della termodinamica ci dice che un’energia, una volta consumata, non si può trasformarla nella sua forma originaria. Il che, empiricamente, equivale ad affermare che, quando un litro di benzina viene bruciata in un’auto, questa energia è andata via per sempre e che, per ritrovarla, bisogna consumarne dell’altra. Generando quella corsa al petrolio che si sta rivelando un tentativo piuttosto malmostoso di restare abbarbicati a schemi di sviluppo involutivi sotto ogni punto di vista.

Questo il messaggio di cui si fa foriera Legambiente Cava de’ Tirreni che da oltre un mese è attivamente impegnata, con stand e campagne di comunicazione, nel palesare alla cittadinanza le potenzialità di una politica energetica non più dipendente dal petrolio ma improntata alle risorse rinnovabili. Tutto ciò per evitare il collasso energetico quando le risorse non rinnovabili saranno ormai esaurite. Occasione per ribadire al Governo italiano l’esigenza di un modello di sviluppo più pulito, rinnovabile, finalmente legato alla vocazione territoriale che fanno del patrimonio artistico e paesaggistico, del turismo, della pesca, dell’agricoltura, della produzione alimentare di qualità, dell’innovazione industriale e delle energie innovative, il nostro vero oro nero sarà il referendum del 17 aprile. In questo giorno, infatti, gli Italiani saranno chiamati a pronunciarsi sulla loro volontà di abrogare l’art.6, comma 17, del decreto lgs n.152 del 2006, limitatamente alla possibilità di prorogare la concessione alle società petrolifere che attualmente estraggono gas e petrolio entro le 12 miglia dalle coste italiane, fino alla durata naturale del giacimento. Votare SI comporterà la cancellazione di tale norma, imponendo un limite alle politiche petrolifere del Governo e la fine delle attività a queste connesse che coinciderà con la scadenza fissata al momento del rilascio delle concessioni. «Fermare le trivellazioni in mare è di capillare importanza – dichiara Attilio Palumbo, presidente di Legambiente Cava – sia per tutelare le nostre coste, sia per mandare un messaggio al governo, sollecitandolo a puntare su energie pulite che portano maggiori posti di lavoro e non creano danni all’ambiente e alla salute umana. Attualmente il Governo non ha messo in piedi un serio programma volto ad allontanarsi dalle fonti fossili (come petrolio e gas). Questo ci penalizza perché, se da un lato trivelliamo per svincolarci, inutilmente, dalle importazioni, dall’altra parte ci troviamo ad adagiarci sul falso mito di risorse molto esigue a fronte di danni potenzialmente irreversibili. L’attività di estrazione, infatti, è estremamente dannosa per l’ecosistema marino fin dalla fase della ricerca e questo lo si fa per beneficiare di risorse assolutamente insoddisfacenti per il nostro fabbisogno e impattanti per i nostri territori. Anche quello dei presunti benefici economici dello sfruttamento dei giacimenti di gas e petrolio è solo una falsa chimera. Il petrolio, infatti, appartiene allo Stato italiano che, però, attraverso le concessioni, lo cede alle società petrolifere, in cambio di royalties irrisorie. Parliamo del 10% per il petrolio estratto su terraferma e del 7% per quello in mare. In base alle leggi italiane, inoltre, sono esenti dal pagamento di aliquote le prime 20 mila tonnellate di petrolio prodotte annualmente in terraferma, le prime 50 mila tonnellate di petrolio prodotte in mare, i primi 25 milioni di metri cubi di gas estratti in terra e i primi 80 milioni di metri cubi in mare. Addirittura gratis le produzioni in regime di permesso di ricerca. Il cavallo vincente su cui puntare è quelle del potenziamento del rinnovabile, cosa che porterebbe a solidi riscontri non solo ambientali, ma anche economici ed occupazionali. L’Italia, compiendo il 10% degli investimenti per «energia pulita» su scala globale, è balzata al secondo posto tra i produttori di energia da fonte rinnovabile: oggi abbiamo oltre 850mila impianti da fonti rinnovabili, che danno lavoro ad oltre 60mila persone, con una ricaduta economica pari a 6 miliardi di euro». La vera sfida, ora, è potenziare queste tecnologie, cosa che permetterebbe un aumento di posti di lavoro stimato a 800mila unità. E che permetterebbe alla nostra nazione di prestare fede all’impegno, sottoscritto con altri 194 paesi durante la Conferenza ONU sul Clima tenutasi a Parigi lo scorso dicembre, di contenere la febbre della Terra entro 1,5 gradi centigradi, perseguendo l’abbandono delle fonti fossili. (Stefania Villani)